accertamento
Distribuzione di utili in società a ristretta base societaria, l’appartenenza non basta
Ai fini dell’accertamento, spetta all’Ufficio provare tale distribuzione in capo al socio, non essendo sufficiente la sua mera appartenenza alla società
La presunta distribuzione di utili in capo al socio di una società di capitali a ristretta base societaria deve essere provata dall’Ufficio. L’Amministrazione finanziaria, quindi, non può emettere un avviso di accertamento nei confronti dei soci, fondando la motivazione dell’atto sulla semplice appartenenza a detta società, richiedendo le imposte parametrate agli utili extra-bilancio. Con questa decisione, la C.T. Prov. di Napoli, sentenza n. 145 depositata il 15 marzo 2012, ha accolto il ricorso del contribuente/socio, il quale aveva provato, tramite la presentazione degli estratti di c/c bancari, che i maggiori utili non erano stati effettivamente percepiti.
Il caso di specie riguarda un controllo effettuato nei confronti di una società di capitali, alla quale viene accertato un maggior reddito d’impresa a seguito di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Sulla base del citato accertamento e sul presupposto che l’ente si considera a ristretta base azionaria, l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento nei confronti del socio recante un maggior reddito di partecipazione. Contro questo avviso, il socio propone ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, eccependo l’illegittimità dell’atto di accertamento:
- in quanto il giudizio nei confronti della società, di cui è partecipe, non risulta definitivo, anche alla luce del principio dettato dalla Suprema Corte (n. 20870/2010), la quale ha stabilito che gli utili extra-contabili accertati nei confronti di una società di capitali a base ristretta e/o familiare possono essere legittimamente attribuiti ai soci solamente se esiste a carico della società un accertamento divenuto definitivo;
- per violazione del principio della doppia presunzione e, inoltre, per l’assenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge per fondare le presunzioni;
- in quanto l’Ufficio non aveva provato l’effettiva percezione degli utili;
- per estraneità del ricorrente alla gestione della società;
- per inesistenza dei presupposti di legge posti a base degli accertamenti tributari in esame.
In più, il ricorrente deposita, oltre alle memorie illustrative, gli estratti di c/c bancario, dai quali si evince la mancata percezione degli emolumenti accertati.
L’Ufficio, nella costituzione in giudizio, rileva che la società è da ritenersi a ristretta base societaria, considerato anche che i soci sono legati da un vincolo di parentela. Pertanto, ritiene legittimo il suo operato e chiede il rigetto del ricorso.
Con una motivazione breve, ma molto efficace, i giudici di primo grado accolgono il ricorso del contribuente, sostenendo che l’Ufficio ha l’obbligo di dimostrare la concreta ed effettiva percezione degli utili conseguiti e non riportati in bilancio dalla società accertata. Inoltre, non basta che il socio appartenga alla società, ma occorre che la motivazione dell’atto di accertamento contenga la verifica dei movimenti bancari del contribuente, dai quali si può evincere la concreta attribuzione degli utili. L’Ufficio non ha prodotto prove reali in merito agli utili percepiti dal socio e, quindi, il ricorso viene accolto con compensazione delle spese di giudizio.
Continua l’annoso problema degli accertamenti notificati ai soci della società a ristretta base societaria. Continua, altresì, il ricorso a questi accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, pur se la giurisprudenza (non solo di merito) è favorevole al contribuente. L’Amministrazione finanziaria fonda questa tipologia di accertamenti su un solo elemento: imputazione pro quota ai soci del reddito accertato alla società a ristretta base partecipativa, sulla legittimità della presunzione di distribuzione di utili non contabilizzati, ma riscontrati in sede di accertamento.
Si fa notare che, in tutti gli avvisi di accertamento della specie, manca uno specifico controllo probatorio che attesti l’iter logico-giuridico che porti l’Ufficio a dare certezza sulla distribuzione del maggior reddito accertato in capo ai soci. È ineccepibile, dunque, che l’inesistenza della prova comporta la carenza di motivazione dell’atto di accertamento emesso in capo ai soci, con la conseguente illegittimità dell’atto stesso.
D’altro canto, non bisogna dimenticare che, recentemente, la Corte di Cassazione ha emesso l’ordinanza n. 1867/2012, con la quale, in sostanza, ha stabilito che gli utili extra-contabili possono essere attribuiti ai soci della società a ristretta base partecipativa, ma è necessario che il giudizio nei confronti della società debba essere definitivo, prima che l’Ufficio emetta gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci. In caso di giudizio già instaurato da parte dei soci, i giudici di merito devono sospenderlo, ai sensi dell’articolo 295 c.p.c., in attesa della decisione che la Suprema Corte prenderà in merito all’accertamento effettuato nei confronti della società. / Francesco BARONE
FONTE:EUTEKNE
Il caso di specie riguarda un controllo effettuato nei confronti di una società di capitali, alla quale viene accertato un maggior reddito d’impresa a seguito di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Sulla base del citato accertamento e sul presupposto che l’ente si considera a ristretta base azionaria, l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento nei confronti del socio recante un maggior reddito di partecipazione. Contro questo avviso, il socio propone ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, eccependo l’illegittimità dell’atto di accertamento:
- in quanto il giudizio nei confronti della società, di cui è partecipe, non risulta definitivo, anche alla luce del principio dettato dalla Suprema Corte (n. 20870/2010), la quale ha stabilito che gli utili extra-contabili accertati nei confronti di una società di capitali a base ristretta e/o familiare possono essere legittimamente attribuiti ai soci solamente se esiste a carico della società un accertamento divenuto definitivo;
- per violazione del principio della doppia presunzione e, inoltre, per l’assenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge per fondare le presunzioni;
- in quanto l’Ufficio non aveva provato l’effettiva percezione degli utili;
- per estraneità del ricorrente alla gestione della società;
- per inesistenza dei presupposti di legge posti a base degli accertamenti tributari in esame.
In più, il ricorrente deposita, oltre alle memorie illustrative, gli estratti di c/c bancario, dai quali si evince la mancata percezione degli emolumenti accertati.
L’Ufficio, nella costituzione in giudizio, rileva che la società è da ritenersi a ristretta base societaria, considerato anche che i soci sono legati da un vincolo di parentela. Pertanto, ritiene legittimo il suo operato e chiede il rigetto del ricorso.
Con una motivazione breve, ma molto efficace, i giudici di primo grado accolgono il ricorso del contribuente, sostenendo che l’Ufficio ha l’obbligo di dimostrare la concreta ed effettiva percezione degli utili conseguiti e non riportati in bilancio dalla società accertata. Inoltre, non basta che il socio appartenga alla società, ma occorre che la motivazione dell’atto di accertamento contenga la verifica dei movimenti bancari del contribuente, dai quali si può evincere la concreta attribuzione degli utili. L’Ufficio non ha prodotto prove reali in merito agli utili percepiti dal socio e, quindi, il ricorso viene accolto con compensazione delle spese di giudizio.
Continua l’annoso problema degli accertamenti notificati ai soci della società a ristretta base societaria. Continua, altresì, il ricorso a questi accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate, pur se la giurisprudenza (non solo di merito) è favorevole al contribuente. L’Amministrazione finanziaria fonda questa tipologia di accertamenti su un solo elemento: imputazione pro quota ai soci del reddito accertato alla società a ristretta base partecipativa, sulla legittimità della presunzione di distribuzione di utili non contabilizzati, ma riscontrati in sede di accertamento.
Si fa notare che, in tutti gli avvisi di accertamento della specie, manca uno specifico controllo probatorio che attesti l’iter logico-giuridico che porti l’Ufficio a dare certezza sulla distribuzione del maggior reddito accertato in capo ai soci. È ineccepibile, dunque, che l’inesistenza della prova comporta la carenza di motivazione dell’atto di accertamento emesso in capo ai soci, con la conseguente illegittimità dell’atto stesso.
D’altro canto, non bisogna dimenticare che, recentemente, la Corte di Cassazione ha emesso l’ordinanza n. 1867/2012, con la quale, in sostanza, ha stabilito che gli utili extra-contabili possono essere attribuiti ai soci della società a ristretta base partecipativa, ma è necessario che il giudizio nei confronti della società debba essere definitivo, prima che l’Ufficio emetta gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci. In caso di giudizio già instaurato da parte dei soci, i giudici di merito devono sospenderlo, ai sensi dell’articolo 295 c.p.c., in attesa della decisione che la Suprema Corte prenderà in merito all’accertamento effettuato nei confronti della società. / Francesco BARONE
FONTE:EUTEKNE
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