accertamento
Studi di settore, dietrofront dei giudici di merito
Nonostante la posizione delle Sezioni Unite della Cassazione, alcune pronunce di merito sostengono la natura di presunzione qualificata
Riguardo agli accertamenti basati sugli studi di settore, assoluta importanza rivestono le sentenze nn. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 2009 dalla Cassazione a Sezione Unite, e ancor di più i principi nelle stesse espressi. Vi si affermava, tra l’altro, che:
- i risultati degli studi di settore costituiscono di per sé presunzioni semplici, rappresentando solo un indice di possibili anomalie del comportamento fiscale del contribuente;
- lo scostamento tra i valori dichiarati e quelli presunti “non deve essere «qualsiasi», ma testimoniare una «grave incongruenza»”, coerentemente a quanto prevede l’art. 62-sexies comma 3 del DL 331/93;
- non è possibile far conseguire all’incongruenza tra ricavi presunti e dichiarati un automatismo dell’accertamento;
- è necessario correggere i risultati degli studi considerando la concreta realtà economica del contribuente in sede di contraddittorio preventivo.
Tali principi, che non sono stati mutati, ma precisati ulteriormente, dalla successiva giurisprudenza di legittimità, non sono sempre seguiti dalla giurisprudenza di merito.
Ci segnalano alcuni lettori la C.T. Prov. di Aosta 26 novembre 2010 n. 25/4/10 e la recente C.T. Prov. di Bergamo 26 settembre 2011 n. 189/8/11 (su quest’ultima, si veda la lettera “Studi di settore: quando la Commissione tributaria giudica approssimativamente” del 6 ottobre scorso).
In tali sentenze, si afferma che i risultati degli studi di settore costituiscono una presunzione qualificata, dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che consente all’Amministrazione finanziaria di procedere ad accertamento senza effettuare alcuna ulteriore indagine o raffronto con la situazione effettiva del contribuente, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire adeguata prova contraria (onere che solo la C.T. Prov. di Aosta ha ritenuto parzialmente soddisfatto, in considerazione dell’affitto di un ramo d’azienda e di un errore materiale nella compilazione della dichiarazione dei dati rilevanti).
Sulla base dei predetti presupposti, anche le doglianze espresse dai contribuenti accertati circa la violazione dell’obbligo di motivazione sono state respinte.
Neppure è stata valutata l’entità dello scostamento tra risultati dichiarati e presunti che, secondo la Cassazione, dovrebbe invece essere grave, anche tenuto conto della fattispecie specifica. Considerando i risultati degli studi come presunzioni legali relative, anche esigui scostamenti possono essere di per sè sufficienti per procedere ad accertamento.
Inoltre creano incertezza sulla materia e soprattutto, come già evidenziato sulle colonne di questo quotidiano, creano non poche difficoltà ai contribuenti, i quali si trovano costretti a impugnare la sentenza facendosi carico delle spese legali e del versamento parziale delle imposte accertate.
/ Paola RIVETTI
- i risultati degli studi di settore costituiscono di per sé presunzioni semplici, rappresentando solo un indice di possibili anomalie del comportamento fiscale del contribuente;
- lo scostamento tra i valori dichiarati e quelli presunti “non deve essere «qualsiasi», ma testimoniare una «grave incongruenza»”, coerentemente a quanto prevede l’art. 62-sexies comma 3 del DL 331/93;
- non è possibile far conseguire all’incongruenza tra ricavi presunti e dichiarati un automatismo dell’accertamento;
- è necessario correggere i risultati degli studi considerando la concreta realtà economica del contribuente in sede di contraddittorio preventivo.
Tali principi, che non sono stati mutati, ma precisati ulteriormente, dalla successiva giurisprudenza di legittimità, non sono sempre seguiti dalla giurisprudenza di merito.
Ci segnalano alcuni lettori la C.T. Prov. di Aosta 26 novembre 2010 n. 25/4/10 e la recente C.T. Prov. di Bergamo 26 settembre 2011 n. 189/8/11 (su quest’ultima, si veda la lettera “Studi di settore: quando la Commissione tributaria giudica approssimativamente” del 6 ottobre scorso).
In tali sentenze, si afferma che i risultati degli studi di settore costituiscono una presunzione qualificata, dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che consente all’Amministrazione finanziaria di procedere ad accertamento senza effettuare alcuna ulteriore indagine o raffronto con la situazione effettiva del contribuente, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire adeguata prova contraria (onere che solo la C.T. Prov. di Aosta ha ritenuto parzialmente soddisfatto, in considerazione dell’affitto di un ramo d’azienda e di un errore materiale nella compilazione della dichiarazione dei dati rilevanti).
Sulla base dei predetti presupposti, anche le doglianze espresse dai contribuenti accertati circa la violazione dell’obbligo di motivazione sono state respinte.
Neppure è stata valutata l’entità dello scostamento tra risultati dichiarati e presunti che, secondo la Cassazione, dovrebbe invece essere grave, anche tenuto conto della fattispecie specifica. Considerando i risultati degli studi come presunzioni legali relative, anche esigui scostamenti possono essere di per sè sufficienti per procedere ad accertamento.
Incertezze e difficoltà nei contribuenti
Tali sentenze soprendono perchè costituiscono un passo indietro rispetto all’elaborazione fatta dalla Cassazione, peraltro parzialmente recepita dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate (si veda la circolare n. 5/2008).Inoltre creano incertezza sulla materia e soprattutto, come già evidenziato sulle colonne di questo quotidiano, creano non poche difficoltà ai contribuenti, i quali si trovano costretti a impugnare la sentenza facendosi carico delle spese legali e del versamento parziale delle imposte accertate.
/ Paola RIVETTI
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