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mercoledì 12 ottobre 2011

Scambi intracomunitari, la prova è a carico del cedente

Iva

Scambi intracomunitari, la prova è a carico del cedente

La Cassazione ha confermato che la natura dell’operazione deve essere dimostrata dall’emittente la fattura, intenzionato a non applicare l’IVA

/ Sabato 08 ottobre 2011
L’elemento della movimentazione territoriale dei beni oggetto di cessione, da uno Stato membro a quello del cessionario finale, deve essere considerato elemento strutturale della fattispecie normativa, da cui non si può prescindere senza disconoscere lo stesso carattere intracomunitario dell’operazione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20575/2011, depositata ieri, 7 ottobre, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, avverso la decisione della Commissione tributaria regionale della Liguria, favorevole, invece, al contribuente.
In particolare, non è stato ritenuto conforme alla previsione di cui all’art. 41, comma 1, lett. a) del DL n. 331/1993, né al criterio di riparto previsto dall’art. 2697 c.c., l’assunto del giudice di merito fondato sulla convinzione che un’operazione deve considerarsi intracomunitaria e, quindi, non imponibile per il solo fatto che i beni ceduti siano destinati ad un soggetto straniero in possesso del codice d’identificazione attribuitogli dallo Stato di appartenenza.
L’orientamento della Cassazione trova giustificazione nella citata norma tributaria, che qualifica come “non imponibili Iva” – al solo fine di evitare doppie imposizioni e garantire l’assolvimento dell’imposta nel Paese comunitario di destinazione al consumo – le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti d’imposta. Conseguentemente, a dispetto di quanto sostenuto dalla C.T. Reg. Liguria, deve affermarsi che l’onere di provare lo scambio intracomunitario, ovvero l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro, è posto a carico del contribuente che emette la fattura, a norma dell’art. 46, comma 2 del DL n. 331/1993. Tale documento contiene, infatti, l’indicazione che l’operazione non è imponibile, coerentemente con il principio generale di cui all’art. 2697 c.c., in virtù del quale l’obbligo di dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga agevolativa.
La Suprema Corte ha, pertanto, confermato quanto già sostenuto in passato in tema di onere della prova, con riferimento alle operazioni di cessione all’esportazione disciplinate dall’art. 8 del DPR n. 633/1972 (Cass. n. 3603/2009), compreso il caso della triangolazione (Cass. 21956/2010).
In tema di onere della prova, è stato ribadito quanto sostenuto in passato
La giurisprudenza di legittimità in commento ha, inoltre, precisato che l’art. 50 del DL n. 331/1993 – descrivente gli obblighi connessi agli scambi intracomunitari, come la comunicazione del numero di identificazione attribuito dallo Stato membro di appartenenza – opera su un piano distinto, rispetto all’identificazione degli elementi costitutivi della fattispecie descritti dal precedente art. 41 che individua i presupposti della “operazione intracomunitaria non imponibile”.
Con l’effetto che, contrariamente a quanto affermato dal giudice regionale, dalla norma disponente i predetti adempimenti formali non è possibile desumere l’ambito della prova – relativa alla sussistenza dei presupposti applicativi del beneficio – richiesta dall’Amministrazione Finanziaria, in sede di contestazione dell’esistenza dell’operazione intracomunitaria non imponibile, fondata sulla mancata introduzione dei beni ceduti nel territorio dello Stato membro in cui il cessionario è soggetto passivo d’imposta.
Analogamente, non è stata, infine, ritenuta condivisibile la considerazione della C.T. Reg. Liguria, secondo cui, con la consegna al cessionario straniero, avvenuta in Italia, i beni erano usciti dalla sfera giuridica del cedente, e non competeva a costui l’obbligo di verifica degli eventi successivi: la norma tributaria richiede, infatti, espressamente – quale presupposto della non imponibilità – la destinazione effettiva dei beni nel territorio di altro Stato membro, ponendo a carico del soggetto che intende avvalersi del beneficio l’onere di fornire la prova dei relativi fatti costitutivi.
In altri termini, la Cassazione non ha ritenuto sufficiente, ai fini probatori, che il cedente abbia richiesto ed ottenuto la conferma del numero d’identificazione del cessionario assegnatogli dallo Stato membro di appartenenza, essendo, invece, necessaria la dimostrazione della reale introduzione dei beni in quest’ultimo Paese.

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