redditi diversi
Incognita minusvalenze realizzate fino al 2011
Le norme del DL 138/2011, se applicate in modo letterale, determinerebbero un aggravio di tassazione per i portafogli azionari in perdita
La recente riforma delle rendite finanziarie (art. 2, commi 6-34 del DL 138/2011) pone motivati dubbi sulla sorte delle minusvalenze su partecipazioni non qualificate e perdite assimilate realizzate dalle persone fisiche (art. 67, comma 1, lettere da c-bis) a c-quater) del TUIR). Si tratta di una questione di grande e diffusa rilevanza, alla luce delle perdite persistenti dei mercati borsistici da fine 2008 ad oggi che hanno determinato, nei portafogli azionari di qualsiasi consistenza, decurtazioni sensibili dei valori rispetto a quelli di acquisto.
La regola prevista dall’art. 68, comma 5, del TUIR, per cui le minusvalenze su partecipazioni non qualificate si scomputano dalle plusvalenze relative alla stessa “massa” non qualificata, e l’eventuale eccedenza negativa può essere riportata entro i successivi quattro anni, non è stata modificata dalla riforma (la quale, come noto, riguarda le componenti reddituali realizzate a decorrere dal 1° gennaio 2012, per le quali è previsto l’aumento al 20% dell’imposta sostitutiva). Il dubbio nasce, però, dalla formulazione dell’art. 2, comma 28, del decreto legge, secondo cui “le minusvalenze (…) realizzate fino alla data del 31 dicembre 2011 sono portate in deduzione delle plusvalenze e degli altri redditi diversi (…) realizzati successivamente, per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare”.
Ora, si consideri il caso di un contribuente che abbia realizzato nel 2010 minusvalenze per 800 e nel 2011 plusvalenze per 1.000. Posto che si applica il “vecchio regime”, egli sarebbe tenuto a dichiarare nel quadro RT del modello UNICO 2012 un reddito di 200 che, data l’aliquota dell’imposta sostitutiva del 12,5%, originerebbe un debito verso l’Erario di 25. Se, dati gli stessi numeri, la minusvalenza fosse realizzata nel 2012 e la plusvalenza nel 2013, in costanza di base imponibile pari a 200, l’imposta effettiva sarebbe pari a 200 x 20% = 40.
Nell’ipotesi in cui la minusvalenza sia stata realizzata nel 2011 (“vecchio regime”) e la plusvalenza nel 2012 (“nuovo regime”), se si applicasse in modo testuale l’art. 2, comma 28, del DL 138/2011, la minusvalenza potrebbe essere compensata solo nel limite di 800 x 62,5% = 500. Si sarebbe, quindi, in presenza di un reddito imponibile di 500 (1.000 – 500) con una conseguente imposta di 100 (500 x 20%).
Se l’intenzione del Legislatore (legittima, pur se penalizzante) è quella di far sì che, per effetto del cambio del regime impositivo, il contribuente sia comunque inciso dall’imposta come se le minusvalenze fossero state prodotte in vigenza del nuovo regime (quella di far sì, in altre parole, che il contribuente paghi l’imposta nella misura di 40), la percentuale del 62,5% – il rapporto tra 12,5 e 20 – appare inidonea a realizzare questo scopo, portando anzi a un aggravio di imposizione sensibile (nell’esempio, il quadruplo rispetto al passato).
L’ipotesi stessa potrebbe, tra l’altro, trovare una “sponda” nelle modifiche apportate all’art. 5 del DLgs. 461/97 relativamente ai titoli “privilegiati” dalla riforma (essenzialmente, i titoli di Stato italiani ed esteri), che mantengono la tassazione nella misura del 12,50% sia per quanto riguarda gli interessi, sia per il capital gain. Posto che l’aliquota dell’imposta sostitutiva è fissata nel 20% dal 2012, il Legislatore ha previsto che i redditi diversi riferibili a questi titoli “sono computati nella misura del 62,5 per cento dell’ammontare realizzato”. In questo modo, dato ad esempio in 327 il costo del titolo e in 427 il prezzo di vendita, l’imposta è dovuta nella misura di 12,5 sia nel vecchio regime (100 x 12,5%), sia nel nuovo regime (100 x 62,5% x 20%); l’invarianza è proprio garantita dal fatto che la percentuale del 62,5% è applicata non su un provento “lordo”, ma sul risultato netto, ovvero sulla differenza tra il reddito realizzato e il valore di acquisto.
/ Gianluca ODETTOLa regola prevista dall’art. 68, comma 5, del TUIR, per cui le minusvalenze su partecipazioni non qualificate si scomputano dalle plusvalenze relative alla stessa “massa” non qualificata, e l’eventuale eccedenza negativa può essere riportata entro i successivi quattro anni, non è stata modificata dalla riforma (la quale, come noto, riguarda le componenti reddituali realizzate a decorrere dal 1° gennaio 2012, per le quali è previsto l’aumento al 20% dell’imposta sostitutiva). Il dubbio nasce, però, dalla formulazione dell’art. 2, comma 28, del decreto legge, secondo cui “le minusvalenze (…) realizzate fino alla data del 31 dicembre 2011 sono portate in deduzione delle plusvalenze e degli altri redditi diversi (…) realizzati successivamente, per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare”.
Ora, si consideri il caso di un contribuente che abbia realizzato nel 2010 minusvalenze per 800 e nel 2011 plusvalenze per 1.000. Posto che si applica il “vecchio regime”, egli sarebbe tenuto a dichiarare nel quadro RT del modello UNICO 2012 un reddito di 200 che, data l’aliquota dell’imposta sostitutiva del 12,5%, originerebbe un debito verso l’Erario di 25. Se, dati gli stessi numeri, la minusvalenza fosse realizzata nel 2012 e la plusvalenza nel 2013, in costanza di base imponibile pari a 200, l’imposta effettiva sarebbe pari a 200 x 20% = 40.
Nell’ipotesi in cui la minusvalenza sia stata realizzata nel 2011 (“vecchio regime”) e la plusvalenza nel 2012 (“nuovo regime”), se si applicasse in modo testuale l’art. 2, comma 28, del DL 138/2011, la minusvalenza potrebbe essere compensata solo nel limite di 800 x 62,5% = 500. Si sarebbe, quindi, in presenza di un reddito imponibile di 500 (1.000 – 500) con una conseguente imposta di 100 (500 x 20%).
Se l’intenzione del Legislatore (legittima, pur se penalizzante) è quella di far sì che, per effetto del cambio del regime impositivo, il contribuente sia comunque inciso dall’imposta come se le minusvalenze fossero state prodotte in vigenza del nuovo regime (quella di far sì, in altre parole, che il contribuente paghi l’imposta nella misura di 40), la percentuale del 62,5% – il rapporto tra 12,5 e 20 – appare inidonea a realizzare questo scopo, portando anzi a un aggravio di imposizione sensibile (nell’esempio, il quadruplo rispetto al passato).
Da valutare un’interpretazione tesa a favorire la neutralità nel passaggio
Si potrebbe, pertanto, ipotizzare che questa percentuale debba essere applicata (nonostante, è bene ribadirlo, una formulazione letterale che non autorizzerebbe questa lettura) non tanto alla minusvalenza riportata, bensì al risultato netto che emerge nel 2012 dalla compensazione tra plusvalenze e minusvalenze. Riprendendo lo stesso esempio, se questa lettura fosse corretta, la base imponibile dell’imposta sostitutiva nel 2012 potrebbe essere determinata in (1.000 – 800) x 62,5% = 125, importo che, soggetto alla nuova aliquota del 20%, condurrebbe allo stesso carico fiscale che si origina nel vecchio regime (25). Si tratterebbe, in definitiva, di un’ipotesi che garantirebbe i contribuenti con portafogli azionari con perdite consistenti, non penalizzati in caso di vendite “plusvalenti” dal 1° gennaio 2012 in poi.L’ipotesi stessa potrebbe, tra l’altro, trovare una “sponda” nelle modifiche apportate all’art. 5 del DLgs. 461/97 relativamente ai titoli “privilegiati” dalla riforma (essenzialmente, i titoli di Stato italiani ed esteri), che mantengono la tassazione nella misura del 12,50% sia per quanto riguarda gli interessi, sia per il capital gain. Posto che l’aliquota dell’imposta sostitutiva è fissata nel 20% dal 2012, il Legislatore ha previsto che i redditi diversi riferibili a questi titoli “sono computati nella misura del 62,5 per cento dell’ammontare realizzato”. In questo modo, dato ad esempio in 327 il costo del titolo e in 427 il prezzo di vendita, l’imposta è dovuta nella misura di 12,5 sia nel vecchio regime (100 x 12,5%), sia nel nuovo regime (100 x 62,5% x 20%); l’invarianza è proprio garantita dal fatto che la percentuale del 62,5% è applicata non su un provento “lordo”, ma sul risultato netto, ovvero sulla differenza tra il reddito realizzato e il valore di acquisto.
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