reddito d'impresa
La penalità per il ritardo nella consegna è deducibile
Per la Cassazione, la penale è deducibile perché inerente allo svolgimento dell’attività d’impresa, fondata su contratti
Il costo sostenuto per effetto della mancata osservanza dei pattuiti tempi di consegna al cliente rileva in sede di determinazione dell’imponibile fiscale, a norma dell’art. 101 del TUIR, in quanto non ha carattere punitivo, essendo funzionale alla produzione dei ricavi. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19702 del 27 settembre 2011, rigettando il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che aveva accolto le eccezioni formulate dal contribuente, annullando l’avviso di accertamento dell’Amministrazione finanziaria.
La tesi di quest’ultima, ovvero l’indeducibilità della penale sul presupposto della propria presumibile qualificazione sanzionatoria, in quanto derivante dall’inosservanza di obblighi contrattuali, non è stata ritenuta condivisibile dai supremi magistrati, per una serie di motivazioni. In primo luogo, la natura della clausola contrattuale stabilita, ai sensi dell’art. 1382 c.c., per la ritardata consegna ai clienti, la quale si propone esclusivamente di determinare il risarcimento del danno in relazione all’ipotesi pattuita, che può consistere nell’esecuzione intempestiva ovvero omessa (Cass. n. 23706/2009). In altri termini, si tratta di un accordo accessorio del contratto, con una duplice funzione: la coercizione all’adempimento e la determinazione della misura del risarcimento, nel caso di mancata ottemperanza dello stesso (Cass. n. 6561/1991).
I predetti principi hanno, pertanto, indotto la Corte a ribadire che la penale non è connotata da una finalità sanzionatoria o punitiva, bensì assolve il compito di rafforzare il vincolo contrattuale e liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria, al punto che – nel caso di abuso o sconfinamento dell’autonomia privata, oltre specifici limiti di equilibrio negoziale – può essere equamente ridotta secondo il prudente apprezzamento del giudice. La considerazione in parola ha, pertanto, orientato i supremi giudici a negare che la clausola penale possa essere ricondotta nell’alveo dei punitive damages previsti dalla legislazione nord-americana, poiché incompatibili con l’eventualità del sindacato del giudice sulla sproporzione tra l’importo liquidato e il danno effettivamente subito (Cass. n. 1183/2007).
È risultata, quindi, decisiva la debenza delle somme in forza di un’apposita clausola penale inserita nel contratto con la clientela: tale circostanza riconduce la corrispondente erogazione alle pattuite vicende del rapporto, escludendo l’interruzione del nesso sinallagmatico. L’evoluzione delle relazioni contrattuali costituisce, infatti, espressione dinamica dell’attività d’impresa, le cui conseguenze sono disciplinate, in via preventiva e consensuale, dalle parti, che hanno pure quantificato l’onere economico posto a carico del contraente che dovesse rivelarsi intempestivo nell’adempimento. La sentenza n. 19702/2011 ha, inoltre, riscontrato la rilevanza legale, a favore del contribuente, dei possibili casi di deducibilità fiscale di questa sopravvenienza passiva (art. 101, comma 4, del TUIR), e in particolare il sostenimento di spese, perdite o oneri a fronte di ricavi e altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti periodi d’imposta.
Conseguentemente, la penalità per ritardo nelle consegne ai clienti è stata ritenuta deducibile dal reddito d’impresa, in quanto inerente allo svolgimento dell’attività della stessa, fondata su contratti – così come i relativi ricavi – e funzionale alla produzione del reddito. Non sono stati, pertanto, ritenuti sussistenti i presupposti per eccepire l’assenza di correlazione, prospettabile, invece, con riferimento al pagamento della sanzione pecuniaria, irrogata al fine di punire i comportamenti illeciti del contribuente (Cass. n. 11766/2009 e 18860/2007), ovvero pratiche concordate per falsare la concorrenza sul mercato (Cass. n. 8135/2011 e 5050/2010).
/ Michele BANA
La tesi di quest’ultima, ovvero l’indeducibilità della penale sul presupposto della propria presumibile qualificazione sanzionatoria, in quanto derivante dall’inosservanza di obblighi contrattuali, non è stata ritenuta condivisibile dai supremi magistrati, per una serie di motivazioni. In primo luogo, la natura della clausola contrattuale stabilita, ai sensi dell’art. 1382 c.c., per la ritardata consegna ai clienti, la quale si propone esclusivamente di determinare il risarcimento del danno in relazione all’ipotesi pattuita, che può consistere nell’esecuzione intempestiva ovvero omessa (Cass. n. 23706/2009). In altri termini, si tratta di un accordo accessorio del contratto, con una duplice funzione: la coercizione all’adempimento e la determinazione della misura del risarcimento, nel caso di mancata ottemperanza dello stesso (Cass. n. 6561/1991).
I predetti principi hanno, pertanto, indotto la Corte a ribadire che la penale non è connotata da una finalità sanzionatoria o punitiva, bensì assolve il compito di rafforzare il vincolo contrattuale e liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria, al punto che – nel caso di abuso o sconfinamento dell’autonomia privata, oltre specifici limiti di equilibrio negoziale – può essere equamente ridotta secondo il prudente apprezzamento del giudice. La considerazione in parola ha, pertanto, orientato i supremi giudici a negare che la clausola penale possa essere ricondotta nell’alveo dei punitive damages previsti dalla legislazione nord-americana, poiché incompatibili con l’eventualità del sindacato del giudice sulla sproporzione tra l’importo liquidato e il danno effettivamente subito (Cass. n. 1183/2007).
È risultata, quindi, decisiva la debenza delle somme in forza di un’apposita clausola penale inserita nel contratto con la clientela: tale circostanza riconduce la corrispondente erogazione alle pattuite vicende del rapporto, escludendo l’interruzione del nesso sinallagmatico. L’evoluzione delle relazioni contrattuali costituisce, infatti, espressione dinamica dell’attività d’impresa, le cui conseguenze sono disciplinate, in via preventiva e consensuale, dalle parti, che hanno pure quantificato l’onere economico posto a carico del contraente che dovesse rivelarsi intempestivo nell’adempimento. La sentenza n. 19702/2011 ha, inoltre, riscontrato la rilevanza legale, a favore del contribuente, dei possibili casi di deducibilità fiscale di questa sopravvenienza passiva (art. 101, comma 4, del TUIR), e in particolare il sostenimento di spese, perdite o oneri a fronte di ricavi e altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti periodi d’imposta.
Conseguentemente, la penalità per ritardo nelle consegne ai clienti è stata ritenuta deducibile dal reddito d’impresa, in quanto inerente allo svolgimento dell’attività della stessa, fondata su contratti – così come i relativi ricavi – e funzionale alla produzione del reddito. Non sono stati, pertanto, ritenuti sussistenti i presupposti per eccepire l’assenza di correlazione, prospettabile, invece, con riferimento al pagamento della sanzione pecuniaria, irrogata al fine di punire i comportamenti illeciti del contribuente (Cass. n. 11766/2009 e 18860/2007), ovvero pratiche concordate per falsare la concorrenza sul mercato (Cass. n. 8135/2011 e 5050/2010).
Penalità non assimilabile alla sanzione antitrust
In particolare, la Suprema Corte ha sostenuto che la penalità per ritardo non sia assimilabile alla sanzione antitrust, imputabile a un illecito idoneo a spezzare il nesso d’inerenza: in altre parole, il costo è deducibile se la somma aggiuntiva per la violazione di un divieto deriva da un’attività connessa al corretto esercizio dell’impresa, può qualificarsi come fattore produttivo, non è autonoma ed esterna rispetto alla normale vita aziendale, né antitetica rispetto al corretto svolgimento di tale attività. Diversamente, non sarebbe ammissibile la deducibilità del costo, poiché si finirebbe per neutralizzare la ratio punitiva della sanzione pecuniaria, trasformandola in un risparmio d’imposta, ovvero un premio per le imprese che hanno agito in violazione di norme imperative./ Michele BANA
Nessun commento:
Posta un commento