reddito d'impresa
Per i beni in godimento, rebus leasing e noleggio
Privilegiando un’interpretazione logico-sistematica, la norma si dovrebbe applicare anche ai beni non di proprietà
Mentre l’Agenzia delle Entrate sta lavorando al provvedimento che dovrà fissare le modalità e i termini per comunicare all’Amministrazione i beni in godimento ai soci e ai familiari dell’imprenditore, sono diversi i punti controversi della disciplina al centro dell’attenzione degli operatori.
Si ricorda che il DL 138/2001 convertito ha previsto l’indeducibilità dei costi relativi ai beni concessi in godimento, qualora il corrispettivo annuo pagato da soci o familiari sia inferiore al valore di mercato del diritto di godimento.
Lo stesso provvedimento ha inoltre sancito che la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento dei beni costituisce un reddito diverso per il socio o il familiare.
La norma si applica ai “beni dell’impresa”, così afferma testualmente l’art. 2 comma 36 terdecies del DL 138/2001 convertito.
A ben vedere, l’art. 65 del TUIR fa riferimento ai “beni relativi all’impresa”, intendendosi tali, per presunzione assoluta, fra l’altro, i beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa.
Quindi, potrebbe rientrare nell’ambito applicativo della disposizione l’immobile merce dell’imprenditore individuale che eserciti attività di costruzione concesso in uso ad un figlio nelle more della vendita.
Costituiscono, invece, beni relativi all’impresa per scelta dell’imprenditore, se indicati nell’inventario ai sensi dell’art. 2217 del c.c.:
- gli immobili strumentali per natura o per destinazione;
- tutti gli altri beni appartenenti all’imprenditore.
Non rientra, quindi, nell’ambito applicativo della disposizione l’immobile strumentale per natura di proprietà dell’imprenditore concesso in uso ai familiari, ma non iscritto nell’inventario.
Con riferimento, poi, alle società di persone commerciali, l’art. 65 comma 2 del TUIR prevede che si considerino relativi all’impresa tutti i beni ad esse appartenenti.
Analoga presunzione vale per le società di capitali, ancorché non vi sia una previsione espressa nel Titolo II del TUIR (a differenza di quanto avveniva ante riforma del 2004 con l’art. 95).
Per quanto riguarda i soggetti in questione, secondo l’orientamento dottrinale prevalente costituiscono beni relativi all’impresa quei beni che sono di proprietà della società ovvero rispetto ai quali la società vanta un diritto reale di godimento (es. uso, usufrutto).
Lo stesso orientamento è rinvenibile nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, ad avviso della quale la nozione di bene relativo all’impresa richiede l’esistenza di una relazione tra bene e società che non sia di semplice utilizzabilità del bene, ma di titolarità giuridica dello stesso (Cass. 10 febbraio 2006 n. 2934).
Pertanto, non può considerarsi bene relativo all’impresa un immobile adibito ad abitazione di uno dei soci se lo stesso è detenuto per effetto di un contratto di locazione finanziaria, titolo giuridico che “non attribuisce il bene alla società conduttrice ma ne consente soltanto la utilizzazione, salvo l’acquisto dello stesso al termine del contratto”.
Analoghe considerazioni valgono per i beni noleggiati dalla società.
In primo luogo, deve evidenziarsi come la formulazione letterale non sia perfettamente coincidente. Da un lato si parla di “beni d’impresa”, dall’altro di “beni relativi all’impresa” (anche se la relazione tecnica al DL 138/2011 utilizza quest’ultima locuzione).
Sul piano sistematico, poi, appare arduo sostenere che dovrebbero essere oggetto della nuova disposizione solo i beni di proprietà dell’impresa o posseduti per effetto di un diritto reale di godimento, e non i beni noleggiati o in locazione finanziaria.
Posto che la finalità della norma è quella di contrastare l’utilizzo dell’impresa o della società per schermare utilizzi privati dei beni, e posto che spesso i beni in questione (autovetture, natanti) sono noleggiati o in leasing, dovrebbe concludersi che agli stessi si applichino le nuove disposizioni.
Per queste ragioni, è plausibile e auspicabile che la tematica sarà oggetto di specifica disciplina da parte del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate citato in premessa.
/ Alessandro COTTO
Si ricorda che il DL 138/2001 convertito ha previsto l’indeducibilità dei costi relativi ai beni concessi in godimento, qualora il corrispettivo annuo pagato da soci o familiari sia inferiore al valore di mercato del diritto di godimento.
Lo stesso provvedimento ha inoltre sancito che la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo per la concessione in godimento dei beni costituisce un reddito diverso per il socio o il familiare.
La norma si applica ai “beni dell’impresa”, così afferma testualmente l’art. 2 comma 36 terdecies del DL 138/2001 convertito.
A ben vedere, l’art. 65 del TUIR fa riferimento ai “beni relativi all’impresa”, intendendosi tali, per presunzione assoluta, fra l’altro, i beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa.
Quindi, potrebbe rientrare nell’ambito applicativo della disposizione l’immobile merce dell’imprenditore individuale che eserciti attività di costruzione concesso in uso ad un figlio nelle more della vendita.
Costituiscono, invece, beni relativi all’impresa per scelta dell’imprenditore, se indicati nell’inventario ai sensi dell’art. 2217 del c.c.:
- gli immobili strumentali per natura o per destinazione;
- tutti gli altri beni appartenenti all’imprenditore.
Non rientra, quindi, nell’ambito applicativo della disposizione l’immobile strumentale per natura di proprietà dell’imprenditore concesso in uso ai familiari, ma non iscritto nell’inventario.
Con riferimento, poi, alle società di persone commerciali, l’art. 65 comma 2 del TUIR prevede che si considerino relativi all’impresa tutti i beni ad esse appartenenti.
Analoga presunzione vale per le società di capitali, ancorché non vi sia una previsione espressa nel Titolo II del TUIR (a differenza di quanto avveniva ante riforma del 2004 con l’art. 95).
Per quanto riguarda i soggetti in questione, secondo l’orientamento dottrinale prevalente costituiscono beni relativi all’impresa quei beni che sono di proprietà della società ovvero rispetto ai quali la società vanta un diritto reale di godimento (es. uso, usufrutto).
Lo stesso orientamento è rinvenibile nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, ad avviso della quale la nozione di bene relativo all’impresa richiede l’esistenza di una relazione tra bene e società che non sia di semplice utilizzabilità del bene, ma di titolarità giuridica dello stesso (Cass. 10 febbraio 2006 n. 2934).
Pertanto, non può considerarsi bene relativo all’impresa un immobile adibito ad abitazione di uno dei soci se lo stesso è detenuto per effetto di un contratto di locazione finanziaria, titolo giuridico che “non attribuisce il bene alla società conduttrice ma ne consente soltanto la utilizzazione, salvo l’acquisto dello stesso al termine del contratto”.
Analoghe considerazioni valgono per i beni noleggiati dalla società.
I beni in leasing e a noleggio non sono relativi all’impresa
Tanto premesso in termini generali, occorre verificare le conseguenze di tale ricostruzione interpretativa ai fini della disposizione introdotta dal DL 138/2011.In primo luogo, deve evidenziarsi come la formulazione letterale non sia perfettamente coincidente. Da un lato si parla di “beni d’impresa”, dall’altro di “beni relativi all’impresa” (anche se la relazione tecnica al DL 138/2011 utilizza quest’ultima locuzione).
Sul piano sistematico, poi, appare arduo sostenere che dovrebbero essere oggetto della nuova disposizione solo i beni di proprietà dell’impresa o posseduti per effetto di un diritto reale di godimento, e non i beni noleggiati o in locazione finanziaria.
Posto che la finalità della norma è quella di contrastare l’utilizzo dell’impresa o della società per schermare utilizzi privati dei beni, e posto che spesso i beni in questione (autovetture, natanti) sono noleggiati o in leasing, dovrebbe concludersi che agli stessi si applichino le nuove disposizioni.
Per queste ragioni, è plausibile e auspicabile che la tematica sarà oggetto di specifica disciplina da parte del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate citato in premessa.
/ Alessandro COTTO
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