diritto fallimentare
Revocatoria fallimentare con limiti
La Cassazione ha stabilito che la compensazione legale è ammessa a certe condizioni
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20753 depositata ieri, 10 ottobre 2011, si è pronunciata in tema di revocatoria fallimentare, ammettendo la compensazione legale in determinati casi.
Nei fatti, il Fallimento chiamava in causa una banca per far dichiarare inefficaci nei propri confronti le rimesse solutorie effettuate sui due conti correnti intestati alla società fallita, nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, con la conseguente condanna della banca stessa al pagamento delle relative somme.
In primo grado, venivano accolte le domande proposte dal Fallimento. In secondo grado, la Corte d’Appello, in riforma parziale della sentenza appellata, riduceva la somma da restituire al Fallimento. In sintesi – spiega la Corte di merito – risultava la revoca degli affidamenti sui due conti correnti della società poi fallita, con contestuale richiesta di immediato pagamento dello scoperto. A carico della società poi fallita, con cui era in essere un contratto per prestazioni di servizi, vi erano stati numerosi protesti cambiari in corrispondenza della prima rimessa sui conti correnti scoperti oggetto di revocatoria. Secondo la Corte, la banca non poteva non sapere dello stato di insolvenza della cliente. Riteneva, poi, la Corte infondata la tesi della banca in merito all’intervenuta compensazione legale tra i propri debiti per prestazioni di servizi e il credito per scoperto di conto vantato nei confronti della società. Ciò in quanto la banca aveva trasferito le somme dovute alla società (a titolo di corrispettivo per i servizi resi dalla società stessa) sui conti correnti scoperti “così conglobando nell’unitario rapporto di conto corrente anche la posizione debitoria legata al corrispettivo dei predetti servizi”.
Proponeva ricorso per Cassazione la banca, richiamando i principi espressi dalle Sezioni Unite, nella sentenza 12 agosto 2005 n. 16874.
Innanzitutto, la Corte di Cassazione evidenzia che il richiamo a tale pronuncia non si giustifica “alla stregua del caso specifico” (cioè, versamento del terzo fideiussore di somma sul conto corrente del debitore principale), ma in relazione al principio generale per cui il versamento eseguito da un terzo costituisce ex se un atto neutro, con valenza meramente contabile. Il suo significato giuridico va valutato alla stregua dei singoli negozi giuridici nei quali trova causa. Pertanto, ai fini della revocabilità ai sensi dell’art. 67 del RD 267/42, il versamento del terzo non si trasforma sempre e comunque in una posta attiva del correntista per il solo fatto di essere stato eseguito sul conto corrente del debitore fallito.
È necessario, invece, accertare il negozio giuridico nel quale la rimessa trova causa. Ciò per stabilire se il pagamento sia dovuto, annullabile, revocabile.
La banca, accreditando sul conto gli importi in contesa, ha adempiuto alla propria obbligazione, nascente dal contratto di appalto di servizi in essere con la società poi fallita. Gli accrediti sul conto sono solo transitati, assolvendo alla funzione di registrazione contabile della compensazione legale, ai fini dell’estinzione del debito del correntista verso la banca.
Giuridicamente, il credito della banca ha radice causale diversa dal rapporto di conto corrente. Tra i due rapporti, di conto corrente e di appalto, vi è autonomia e l’iscrizione delle poste attive non ha determinato rimesse revocabili, in quanto l’effetto solutorio non è conseguenza dell’iscrizione “ma si situa ex art. 1243 c.c. nel momento della coesistenza dei debiti e crediti, nella sussistenza dei requisiti di liquidità ed omogeneità”.
Inoltre, con l’accredito delle somme, la società non ne ha acquistato la disponibilità. Ciò in quanto l’obbligazione del debitore è divenuta esigibile con il recesso dall’apertura di credito. L’accreditamento, pertanto, non avrebbe potuto essere disponibile per il debitore o dallo stesso utilizzato.
Infine, sussiste la volontà della banca di avvalersi della compensazione legale, alla stregua dell’avvenuta registrazione contabile.
Sulla base delle seguenti ragioni, la Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello in diversa composizione.
/ Roberta VITALE
Nei fatti, il Fallimento chiamava in causa una banca per far dichiarare inefficaci nei propri confronti le rimesse solutorie effettuate sui due conti correnti intestati alla società fallita, nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, con la conseguente condanna della banca stessa al pagamento delle relative somme.
In primo grado, venivano accolte le domande proposte dal Fallimento. In secondo grado, la Corte d’Appello, in riforma parziale della sentenza appellata, riduceva la somma da restituire al Fallimento. In sintesi – spiega la Corte di merito – risultava la revoca degli affidamenti sui due conti correnti della società poi fallita, con contestuale richiesta di immediato pagamento dello scoperto. A carico della società poi fallita, con cui era in essere un contratto per prestazioni di servizi, vi erano stati numerosi protesti cambiari in corrispondenza della prima rimessa sui conti correnti scoperti oggetto di revocatoria. Secondo la Corte, la banca non poteva non sapere dello stato di insolvenza della cliente. Riteneva, poi, la Corte infondata la tesi della banca in merito all’intervenuta compensazione legale tra i propri debiti per prestazioni di servizi e il credito per scoperto di conto vantato nei confronti della società. Ciò in quanto la banca aveva trasferito le somme dovute alla società (a titolo di corrispettivo per i servizi resi dalla società stessa) sui conti correnti scoperti “così conglobando nell’unitario rapporto di conto corrente anche la posizione debitoria legata al corrispettivo dei predetti servizi”.
Proponeva ricorso per Cassazione la banca, richiamando i principi espressi dalle Sezioni Unite, nella sentenza 12 agosto 2005 n. 16874.
Innanzitutto, la Corte di Cassazione evidenzia che il richiamo a tale pronuncia non si giustifica “alla stregua del caso specifico” (cioè, versamento del terzo fideiussore di somma sul conto corrente del debitore principale), ma in relazione al principio generale per cui il versamento eseguito da un terzo costituisce ex se un atto neutro, con valenza meramente contabile. Il suo significato giuridico va valutato alla stregua dei singoli negozi giuridici nei quali trova causa. Pertanto, ai fini della revocabilità ai sensi dell’art. 67 del RD 267/42, il versamento del terzo non si trasforma sempre e comunque in una posta attiva del correntista per il solo fatto di essere stato eseguito sul conto corrente del debitore fallito.
È necessario, invece, accertare il negozio giuridico nel quale la rimessa trova causa. Ciò per stabilire se il pagamento sia dovuto, annullabile, revocabile.
Compensazione legale con rapporti autonomi
Premesso quanto sopra, la Corte di Cassazione ha osservato quanto segue.La banca, accreditando sul conto gli importi in contesa, ha adempiuto alla propria obbligazione, nascente dal contratto di appalto di servizi in essere con la società poi fallita. Gli accrediti sul conto sono solo transitati, assolvendo alla funzione di registrazione contabile della compensazione legale, ai fini dell’estinzione del debito del correntista verso la banca.
Giuridicamente, il credito della banca ha radice causale diversa dal rapporto di conto corrente. Tra i due rapporti, di conto corrente e di appalto, vi è autonomia e l’iscrizione delle poste attive non ha determinato rimesse revocabili, in quanto l’effetto solutorio non è conseguenza dell’iscrizione “ma si situa ex art. 1243 c.c. nel momento della coesistenza dei debiti e crediti, nella sussistenza dei requisiti di liquidità ed omogeneità”.
Inoltre, con l’accredito delle somme, la società non ne ha acquistato la disponibilità. Ciò in quanto l’obbligazione del debitore è divenuta esigibile con il recesso dall’apertura di credito. L’accreditamento, pertanto, non avrebbe potuto essere disponibile per il debitore o dallo stesso utilizzato.
Infine, sussiste la volontà della banca di avvalersi della compensazione legale, alla stregua dell’avvenuta registrazione contabile.
Sulla base delle seguenti ragioni, la Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello in diversa composizione.
/ Roberta VITALE
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