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Ricorsi Tributari

mercoledì 12 ottobre 2011

penale tributario

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«Lista Falciani»: la disponibilità di cospicue somme non dimostra il reato

Per la dichiarazione infedele, non basta una disponibilità non confacente ai redditi dichiarati, dato che l’evasione va ricostruita dal giudice penale

/ Mercoledì 12 ottobre 2011
Il decreto di archiviazione emesso dal GIP presso il Tribunale di Pinerolo in data 4 ottobre 2011, relativamente ad un soggetto indagato per l’art. 4 (“dichiarazione infedele”) o 5 (“omessa dichiarazione”) del DLgs. 74/2000, ovviamente nel ritenuto superamento delle soglie di punibilità del reato – al di là delle polemiche provenienti da altri Uffici giudiziari non direttamente interessati alla vicenda e non titolari di specifici poteri di impugnazione – pone essenzialmente due interessanti ed importanti questioni giuridiche.
La prima, di carattere sostanziale, riguarda la prova del superamento delle soglie dei reati contestati (nel testo della motivazione vengono citati sia l’art. 4 che l’art. 5, mentre nella parte iniziale del provvedimento si menziona solo l’art. 4). Risulta che l’indagato, a seguito di indagini svolte dalle Autorità svizzere, è risultato avere effettuato dei depositi di somme di denaro presso una banca elvetica. Da quanto precede, è nato automaticamente un procedimento penale, è da presumere per art. 4 (citato in premessa del provvedimento), non essendosi verosimilmente accertato che il contribuente italiano indagato avesse omesso la dichiarazione dei redditi.
Orbene, in relazione a tale profilo, appare evidente che il semplice fatto di possedere cospicue disponibilità di denaro non è ancora prova di commissione del reato in questione. Quali che siano, infatti, i profili strettamente tributari della questione, legittimanti una verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria ed eventualmente un avviso di accertamento – sulla base, appunto, delle presunzioni tributarie applicabili in tale settore – il fatto della disponibilità di somme non confacenti ai redditi dichiarati non costituisce ancora dimostrazione dell’esistenza del reato tributario, dato che questa deve ovviamente soggiacere alle regole del codice di procedura penale. Il contribuente, infatti, potrebbe aver depositato tali somme relative a redditi esenti, oppure costituenti il frutto di restituzioni di prestiti o di vincite al gioco, e così via, senza che automaticamente se ne debba e possa dedurre che le dichiarazioni dei redditi ed IVA relative alle annualità a cui i depositi bancari si riferiscono siano mendaci e quindi costitutive del delitto di dichiarazione infedele.
Il regime del “doppio binario” (artt. 20 del DLgs. 74/2000 e 654 c.p.p.), che caratterizza il nostro sistema processuale in materia tributaria e penale, infatti, impone che la ricostruzione dell’“imposta evasa” (nello schema previsto dall’art. 1, lett. f) del citato DLgs.) sia compiuta dal giudice penale con i mezzi probatori a sua disposizione (consulenze tecniche e perizie, audizione di testimoni, sequestro di documenti, ecc.), al di fuori quindi di generiche e rozze presunzioni del tipo “l’avere depositato su conti svizzeri delle somme fa presumere che sia stato evaso il Fisco italiano”, come invece – pur entro certi limiti – è possibile fare in campo tributario. La dottrina penal-tributaria sul punto è, infatti, pacifica, nel senso che la nozione d’“imposta evasa” va intesa con riferimento all’evasione ricostruita dal giudice penale, senza alcuna interferenza con le presunzioni fiscali.
La problematica suscitata dal provvedimento in esame non è, dunque, particolare al caso della “lista Falciani”, ma si inserisce nel più vasto discorso delle prove della responsabilità ex art. 4 citato in presenza di depositi di denaro sui conti bancari, anche italiani. In sede tributaria, i verificatori sono soliti chiedere spiegazioni al contribuente circa la provenienza delle somme, con la conseguente efficacia “presuntiva” dell’evasione nel caso le risposte non ci siano o non siano soddisfacenti.
Il deposito di somme ingiustificate è solo uno degli elementi rilevanti
In sede penale, ripetesi, al di fuori di ogni presunzione, la scoperta del deposito delle somme ingiustificate può costituire solo uno degli elementi rilevanti a fini istruttori, dovendo essere integrato da tutte le altre prove possibili.
Il secondo profilo della vicenda, di natura strettamente processuale, concerne l’interpretazione dell’art. 240 c.p.p. nel caso di illeciti commessi all’estero, atteso che la disposizione in esame,nel suo tenore letterale e sistematico, si riferisce a fatti posti in essere in Italia.
Al riguardo, sono pienamente accettabili le considerazioni contenute nella richiesta di archiviazione del 19 aprile 2011 da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pinerolo: “Deve ritenersi senz’altro applicabile il disposto dell’art. 240 c. 2 c.p.p., giacchè la norma, pur formulata in maniera non immediatamente chiara (soprattutto con una rubrica che sembrerebbe limitarne l’applicazione alle sole intercettazioni illegali), è applicabile, al di là delle intercettazioni illegali, anche a tutti i documenti (cartacei o informatici) formati attraverso la raccolta illegale di informazioni. L’apprezzamento della illegalità qui rilevante va effettuato dall’A.G. penale anche incidentalmente quando, come nella specie, si discuta di condotte commesse integralmente all’estero, rispetto alle quali l’accertamento diretto dell’illegalità della formazione del documento non potrebbe essere effettuata per difetto di giurisdizione... Secondo quanto puntualizzato ed integrato dalla Corte costituzionale, l’unico spazio di persistente rilevanza dei documenti illegalmente formati e avviati alla distruzione è rinvenibile nel verbale sostitutivo che deve essere redatto durante le operazioni di distruzione, giacchè in tale verbale, destinato a provare il fatto contestato in luogo del materiale destinato alla distruzione, si deve fare menzione dell’oggetto e della natura delle informazioni illegalmente acquisite per soddisfare il diritto di difesa della persona offesa per il risarcimento del danno e l’obbligo di esercitare l’azione penale a carico dell’autore dell’illegale registrazione” (Corte Cost. n. 173/2009). Sul tema, si vedano, tra le altre, Cass. SS.UU. 9 aprile 2010 n. 13426, Cass. 4 aprile 2011 n. 13494.
In particolare, va sottolineato che il comma 2 di tale articolo prevede la secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti ed altro, relativi a traffico telefonico e telematico, “illegalmente formati o acquisiti”, aggiungendo che “allo stesso modo (il PM) provvede per i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni”.
Nella specie, infatti, l’acquisizione illegale dei conti bancari da parte del Falciani è avvenuta in Svizzera, ed alla magistratura italiana non è dato compiutamente sapere se per tale fatto pende procedimento penale, e per quale reato, e qual è la sua sorte.
Un conto è, infatti, conoscere (attraverso i mezzi di comunicazione) che il predetto si è reso responsabile di un reato all’estero, a seguito del quale si è ottenuta l’acquisizione illegale dei documenti bancari, ed altra e diversa cosa averne la certezza in sede giudiziaria. Certezza che, appunto, allo stato attuale, manca del tutto, con conseguente inapplicabilità dell’art. 240 c.p.p.
Lo stesso fatto del deposito di somme su conti esteri risulta, dunque, non confermato, con le regole del nostro codice di rito, nella vicenda in esame. Onde, in aggiunta a quanto si è detto circa l’insufficienza probatoria del deposito di somme alla dimostrazione di estremi del reato di dichiarazione infedele, si deve ulteriormente tener conto del fatto che in sede processuale non esiste la prova, regolarmente acquisita, dell’esistenza dello stesso presupposto di fatto del deposito delle somme.
/ Ivo CARACCIOLI

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