Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Agenzia delle Entrate

Attestazione del requisito idoneità finanziaria

ai sensi art 7 Reg. Europeo n. 1071/2009 – art. 7 D. D . 291/2011

Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Invio Bilancio
Aggiornamento Consiglio di Amministrazione ed elenco Soci
Variazioni all 'Agenzia delle Entrate
Cessioni di quote di Società Srl
Gestione del contenzioso con l' Agenzia delle Entrate
Ricorsi Tributari

lunedì 28 maggio 2012

Revisione degli enti locali

Revisori degli enti locali: niente estrazione fino all’istituzione dell’elenco

Per le Regioni a statuto speciale, occorre aspettare le leggi regionali

/ Giovedì 24 maggio 2012
Con l’Informativa n. 44 del 22 maggio 2012, il CNDCEC ha portato all’attenzione degli Ordini territoriali la circolare n. 7 del 5 aprile 2012, con cui il Ministero dell’Interno ha fornito le prime indicazioni in ordine alle nuove modalità per la nomina dei revisori dei conti degli Enti locali, successivamente all’entrata in vigore, avvenuta in data 4 aprile 2012, del regolamento attuativo in materia (DM 15 febbraio 2012 n. 23). Il documento punta a richiamare l’attenzione sull’importanza di tale provvedimento e sulla delicatezza delle competenze che esso attribuisce al Ministero dell’Interno e alle Prefetture, anche al fine di uniformare le conseguenti procedure applicative su tutto il territorio nazionale.
La circolare si sofferma dapprima sulle regole da seguire per il rinnovo degli organi di revisione economico-finanziaria degli Enti locali nelle more della piena operatività del nuovo sistema di scelta “per estrazione”, introdotto dall’art. 16 comma 25 del DL n. 138/2011 (conv. L. n. 148/2011) e disciplinato dal DM 23/2012 in esame.
In merito, va precisato che l’istituzione dell’elenco dei revisori dei conti degli Enti locali è attribuita alla competenza del Ministero dell’Interno e, più in particolare, al Dipartimento per gli affari interni e territoriali (art. 1 comma 1 del DM 23/2012). Una volta completata la fase di formazione dell’elenco, il Ministero renderà nota, mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e divulgato sul sito internet del Ministero stesso, la data di effettivo avvio del nuovo procedimento per la scelta dei revisori in scadenza di incarico (art. 5 comma 1 del DM 23/2012). Solo dopo tale pubblicazione potrà procedersi all’estrazione dei nominativi dei revisori dall’elenco.
La circolare sottolinea inoltre che, ai sensi dell’art. 235 comma 1 del DLgs. n. 267/2000 (TUEL), all’organo di revisione contabile degli Enti locali si applicano le norme relative alla proroga degli organi amministrativi contenute nel DL n. 293/1994 (conv. L. n. 444/1994), per cui, allo scadere della durata in carica di tre anni dalla data di esecutività della delibera di nomina, per tale organo opera l’istituto della cosiddetta “prorogatio” per il periodo di 45 giorni. Tale disposizione continua ad operare anche a seguito dell’introduzione del richiamato art. 16 comma 25 del DL 138/2011.
Pertanto, secondo il Ministero, gli organi di revisione in scadenza prima della data di effettivo avvio del nuovo procedimento proseguono la propria attività nell’Ente per 45 giorni e, allo scadere di tale periodo, continuano ad essere nominati con le modalità previste dall’art. 234 e seguenti del DLgs. 267/2000, secondo cui “i consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane eleggono con voto limitato a due componenti, un collegio di revisori composto da tre membri”. Peraltro, l’organo di revisione durerà in carica tre anni.
Per contro, i procedimenti di rinnovo non conclusi alla data di effettivo avvio del procedimento dovranno essere sottoposti alla nuova procedura di estrazione dall’elenco.
Altro punto su cui si sofferma la circolare è la problematica relativa all’applicabilità delle nuove disposizioni agli Enti locali appartenenti alle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano.
In merito, l’art. 16 comma 29 del DL 138/2011 stabilisce che le disposizioni ivi contenute “si applicano ai comuni appartenenti alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto degli statuti delle regioni e province medesime, delle relative norme di attuazione e secondo quanto previsto dall’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42”.
Secondo il Ministero, deve quindi escludersi l’applicabilità tout court delle disposizioni riguardanti l’estrazione dei revisori nei citati ambiti territoriali, fino a quando le Regioni a statuto speciale e le Province autonome non avranno legiferato recependo le previsioni della normativa statale in materia. Rimane salva ovviamente l’ipotesi in cui gli statuti prevedano che, per quanto non disciplinato dalla normativa regionale o provinciale, si applica quella statale di riferimento.
Alla circolare sono poi allegate specifiche linee guida per l’iscrizione dei revisori nell’elenco.
 / Silvia LATORRACA
fonte: eutekne

Diritto societario

Diritto societario

Fuori dal cda l’amministratore/socio che aderisce ad un sindacato di gestione

È una giusta causa di revoca perché si lede il rapporto fiduciario con la società

/ Lunedì 28 maggio 2012
Costituisce giusta causa di revoca degli amministratori/soci l’adesione ad un “sindacato di gestione”, con il quale si vincolano a svolgere i loro compiti in conformità con quanto voluto e deciso dal patto a maggioranza semplice.
È quanto precisato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 24 maggio 2012 n. 8221.
Alcuni soci di una spa, nel corso del 2000, concludevano un patto parasociale con il quale, da un lato, si riconosceva alla direzione dello stesso la facoltà di adottare, a maggioranza semplice, le decisioni che avrebbe ritenuto più opportune e convenienti circa le deliberazioni da prendere nelle assemblee ordinarie e straordinarie della spa, dall’altro, si precisava che assunzioni e/o licenziamenti di dirigenti e quadri rientravano nelle competenze del sindacato e che tutte le delibere dell’assemblea e del cda dovevano essere votate secondo quanto stabilito dalla maggioranza del patto. Un nuovo socio di maggioranza della spa, venuto a conoscenza di tale patto, nel corso del 2002, proponeva all’assemblea la revoca dell’intero cda, composto anche da taluni soci firmatari del patto. L’assemblea accoglieva la proposta. Due amministratori/soci, adducendo l’inesistenza di una giusta causa di revoca, chiedevano al competente Tribunale, ex art. 2383 comma 3 c.c., la condanna della spa al risarcimento del danno, costituito dal lucro cessante (per il venir meno dei compensi da percepire fino alla scadenza dell’incarico) e dal danno emergente (per lesione all’immagine professionale). Il Tribunale, rilevata la validità del patto parasociale e la mancanza di prova della violazione dei doveri di lealtà, correttezza e fedeltà, accoglieva la domanda degli amministratori/soci. La Corte d’Appello, però, adita dalla società, ribaltava la decisione, ravvisando nei peculiari obblighi parasociali un pregiudizio per il rapporto fiduciario tra società e amministratori idoneo ad integrare giusta causa di revoca dei medesimi. La Corte di Cassazione, come evidenziato in premessa, condivide l’orientamento espresso dai giudici di secondo grado.
A prescindere dalla nullità o meno di un patto parasociale del tipo concluso anche dagli amministratori/soci (e riconducibile ai sindacati di gestione), gli obblighi ad esso connessi pongono gli amministratori in una situazione di potenziale, quanto immanente, conflitto tra il dovere di fedeltà nei confronti della società e quello nei confronti del patto di sindacato, tale da ledere il necessario rapporto fiduciario con la società. Gli amministratori, infatti, a differenza dei soci, sono inderogabilmente investiti dell’intera ed esclusiva responsabilità della gestione dell’impresa sociale nell’interesse della società, nonché dei terzi che con essa vengono in contatto. Questo principio è stato espressamente sancito dal Legislatore della riforma del diritto societario nell’art. 2380-bis c.c. Esso, peraltro, era già riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza sulla base di un’interpretazione sistematica di talune disposizioni della disciplina precedente, applicabile al caso di specie (cfr. i previgenti artt. 2364, 2392, 2394 e 2395 c.c., che delimitavano le competenze dell’organo deliberativo rispetto alla competenza generale dell’organo investito della gestione della società, attribuendo a quest’ultimo la responsabilità piena di tale attività nei confronti non solo della società, ma anche dei terzi). La situazione che si viene a determinare tramite l’adesione ad un sindacato di gestione, d’altra parte, non può essere equiparata a quella dell’influenza che possa derivare sull’agire dell’amministratore dai meri orientamenti espressi dal socio di maggioranza che lo ha nominato. Nel caso in questione, infatti, è presente l’assunzione di un vincolo giuridico di natura obbligatoria che non avrebbe ragione alcuna di essere costituito ove non aggiungesse alcunché.
Carattere innovativo per la disciplina dei patti parasociali
La Suprema Corte precisa, inoltre, che il nuovo art. 2341-bis c.c. presenta portata innovativa, quantomeno sotto il profilo dell’estensione a tutte le spa di un riconoscimento dei patti parasociali che il Legislatore aveva in precedenza espresso solo in normative settoriali, con conseguente non applicabilità a patti sottoscritti “ante” riforma. Tale articolo, da un lato, insieme al successivo art. 2341-ter c.c., si limita a dettare alcuni profili di disciplina dei patti parasociali senza alcun carattere esaustivo, specie con riferimento ai limiti di ammissibilità di tali accordi; dall’altro, non pare contemplare i sindacati di gestione, rispetto ai quali resta valido il principio secondo cui i patti parasociali, pur vincolando esclusivamente le parti contraenti e non potendo incidere direttamente sull’attività sociale, devono ritenersi illegittimi quando il contenuto dell’accordo si ponga in contrasto con norme imperative o sia idoneo a consentire l’elusione di norme o principi generali dell’ordinamento inderogabili, ma non quando destinati a realizzare un risultato pienamente consentito dall’ordinamento (cfr. Cass. 28 aprile 2010 n. 10215, Cass. 18 luglio 2007 n. 15963, Cass. 23 novembre 2001 n. 14865 e Cass. 20 settembre 1995 n. 9975).
 / Maurizio MEOLI
fonte: eutekne

diritto fallimentare

diritto fallimentare

Insinuazione al passivo anticipata per il concessionario

Per la Cassazione, è sufficiente l’esistenza del ruolo quale titolo attestante il credito

/ Lunedì 28 maggio 2012
Sulla presentazione da parte di Equitalia dell’istanza di insinuazione al passivo del fallimento di crediti tributari del contribuente è tornata a pronunciarsi la Cassazione, che, con la sentenza n. 8223 dello scorso 24 maggio 2012, ha chiarito le condizioni per la proposizione della richiesta tardiva di cui all’art. 101 del RD 267/42.
Ai sensi di tale disposizione, sono considerate tardive le domande di ammissione al passivo di un credito (oltre che di restituzione o di rivendicazione di beni mobili e immobili) depositate in cancelleria oltre il termine di 30 giorni prima dell’udienza fissata per la verifica del passivo, e non oltre 12 mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. In caso di particolare complessità della procedura, il Tribunale, con sentenza dichiarativa del fallimento, può prorogare quest’ultimo termine fino a 18 mesi (comma 1). Decorso tale termine, e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo fallimentare, le domande tardive sono ammissibili se l’istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile (comma 4).
Nel caso di specie, il ricorso di Equitalia per insinuazione tardiva di crediti tributari al passivo del fallimento della società debitrice era stato dichiarato inammissibile dal giudice delegato perché depositato oltre i termini di legge. Equitalia si era difesa, in sede di opposizione, rilevando la non imputabilità delle circostanze di fatto determinanti il ritardo nella domanda né al creditore procedente né alla società di riscossione. Causa del ritardo, nella specie, i tempi funzionali alla formazione e all’esecutività del ruolo con conseguente e successiva consegna all’Agente della riscossione e notifica da parte di questi della cartella di pagamento. Respinto il ricorso da parte del Tribunale, Equitalia si rivolgeva alla Cassazione deducendo, in particolare, la violazione dell’art. 101, quarto comma, del RD 267/42.
Anche in sede di legittimità Equitalia non ha avuto la meglio, vedendo dichiarare il proprio ricorso inammissibile alla stregua degli orientamenti giurisprudenziali di legittimità recentemente emersi: in caso di crediti tributari, ai fini della presentazione dell’istanza di ammissione al passivo, è sufficiente l’esistenza del ruolo, che costituisce titolo attestante il credito. Non è, pertanto, necessario attendere la formazione e la notifica della cartella esattoriale. L’ufficio finanziario può presentare così istanza di ammissione al passivo anche con documentazione incompleta, con conseguente ammissione del credito ex art. 96 del RD 267/42 con riserva di produzione di documenti.
In particolare, Cass. 31 maggio 2011 n. 12019 ha precisato che i crediti iscritti a ruolo ed azionati da società concessionarie per la riscossione (cfr. art. 87, comma 2, del DPR 602/73) seguono, nel caso di avvenuta dichiarazione di fallimento del debitore, l’iter procedurale prescritto per gli altri crediti concorsuali dagli artt. 92 e ss. del RD 267/42. Sicché, la domanda di ammissione al passivo può essere presentata, se del caso con riserva (qualora vi siano contestazioni), sulla base del solo ruolo, senza la previa notifica della cartella esattoriale al curatore fallimentare.
Si veda, poi, Cass. 11 ottobre 2011 n. 20910, che ha ribadito tale principio, ritenendo non condivisibile la tesi secondo cui non è colpevole la condotta dell’Amministrazione finanziaria e del concessionario che si attengono ai termini stabiliti dalla legge per le procedure di accertamento e di emissione dei ruoli e delle cartelle. Infatti, anche l’Amministrazione finanziaria, come tutti gli altri creditori, è tenuta al rispetto del termine annuale di cui all’art. 101 del RD 267/42, e i diversi e più lunghi termini previsti per la formazione dei ruoli e per l’emissione delle cartelle non possono costituire un’esimente. Ciò vuol dire che l’Amministrazione finanziaria, venuta a conoscenza della dichiarazione di fallimento, deve attivarsi immediatamente per predisporre i titoli per la tempestiva insinuazione al passivo dei propri crediti senza poter contare su un periodo di tempo più ampio (si veda “Per il ritardo nell’insinuazione «paga» anche l’Agenzia delle Entrate” del 12 ottobre 2011).
A tal proposito, però, è necessario rilevare quanto precisato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 4126 del 15 marzo 2012 (si veda “L’insinuazione al passivo fallimentare può essere proposto anche dall’Agenzia” del 16 marzo 2012). Le pronunce citate sono state emesse, infatti, con riferimento all’ipotesi in cui il credito erariale sia stato azionato dal concessionario, quindi con riferimento a fattispecie che presupponeva in concreto la preventiva formazione del ruolo. Nel caso, invece, di domanda di insinuazione del credito erariale avanzata direttamente dall’Amministrazione finanziaria – in alternativa all’Agente della riscossione, così come espressamente riconosciuto dalle stesse Sezioni Unite – non risulta necessaria la precedente iscrizione a ruolo delle imposte dovute, né la notifica della cartella di pagamento, potendo essere basata anche su titolo diverso (nel caso di specie, la domanda era stata corredata da titoli erariali, fogli di prenotazione a ruolo, sentenze tributarie).
 / Roberta VITALE
fonte : eutekne

ACE, modifiche anche per gli imprenditori individuali

agevolazioni

ACE, modifiche anche per gli imprenditori individuali

Il Provvedimento correttivo di UNICO 2012 aggiunge due nuovi campi al rigo RS37 per la dichiarazione dell’agevolazione
/ Lunedì 28 maggio 2012
Il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 18 maggio 2012 ha apportato correzioni significative alle modalità di dichiarazione dell’ACE anche per i soggetti IRPEF. Se per le società di capitali le modifiche hanno riguardato solo le istruzioni al modello (si veda “ACE, nuove istruzioni a UNICO 2012” del 23 maggio 2012), per quanto riguarda il modello UNICO 2012 PF esse sono state ancora più incisive, essendo stata variata anche la struttura del rigo RS37, al quale sono stati aggiunti due campi.
Per i soggetti IRPEF la deduzione è calcolata applicando il coefficiente del 3% al patrimonio netto al 31 dicembre 2011 risultante dal bilancio, assunto al netto delle riduzioni che eventualmente derivano dalle clausole “anti abuso” (acquisti di aziende, conferimenti infragruppo e così via).
Inoltre:
- la deduzione non può eccedere né il “reddito complessivo netto dichiarato” (in virtù dei principi generali che regolano l’ACE), né il reddito d’impresa assunto al netto delle perdite (in virtù dell’art. 8, comma 2, del DM 14 marzo 2012), tanto che le istruzioni precisano correttamente che l’agevolazione utilizzabile non può essere superiore al minor importo tra il reddito complessivo (rigo RN1, colonna 5) e il reddito d’impresa complessivamente prodotto dal contribuente;
- in caso di partecipazione a società di persone, se la società ha una deduzione per ACE superiore al reddito prodotto, l’eccedenza viene attribuita ai soci in proporzione alle quote di partecipazione (art. 7, comma 2, del DM 14 marzo 2012, richiamato dal successivo art. 8, comma 2) e si somma alla deduzione eventualmente prodotta “in proprio” se la persona esercita altre imprese in forma individuale.
La struttura originaria del rigo RS37 contemplava 11 campi; in estrema sintesi, nel campo 4 veniva indicata la deduzione prodotta “in proprio”, nel campo 6 l’eccedenza eventualmente attribuita dalla società di persone e nel campo 7 la somma dei due importi; dopo di che, nel campo 9 si indicavano i redditi d’impresa (somma degli importi dei quadri RF, RG, RD ed RH), nel campo 10 l’agevolazione effettivamente utilizzata e nel campo 11 l’eccedenza rinviata al futuro per incapienza del reddito. La nuova struttura lascia invariati i primi nove campi, rinumera i precedenti campi 10 e 11 in 12 e 13 e inserisce due nuovi campi, il 10 (nel quale sommare la deduzione ACE utilizzata e “la quota dedotta dalle società partecipate beneficiarie della deduzione”) e l’11 (nel quale indicare la parte della somma risultante dal nuovo campo 10 “relativa alle società partecipate beneficiarie della deduzione”).
Si prenda ad esempio un soggetto che esercita un’impresa in forma individuale e ha una deduzione ACE “propria” di 100; lo stesso soggetto detiene una partecipazione del 50% in una snc che produce un reddito di 350 e, avendo una deduzione ACE teorica di 500, attribuisce alla persona fisica l’eccedenza di 75 (il 50% della differenza non utilizzata). Il modello UNICO 2012 PF evidenzierà quindi un’ACE totale disponibile di 175 (rigo RS37, colonna 7), frutto della somma dell’ACE “propria” (100, colonna 4) e di quella attribuita (75, colonna 6).
Ipotizzando un reddito d’impresa pari a 160 (inferiore al reddito complessivo), da inserire nel campo 9, nel “vecchio” modello occorreva inserire nel campo 10 l’ACE effettivamente utilizzata (160) e nel campo 11 l’importo di 15 (eccedenza riportabile).
Nel modello risultante dalle modifiche, invece:
- il campo 10 dovrebbe vedere esposto l’importo di 335, risultante dalla somma di 160 (deduzione effettivamente utilizzata) e di 175, ovvero la “quota dedotta dalle società partecipate beneficiarie della deduzione”, che si ritiene ragguagliata alla quota di partecipazione del 50% del socio;
- nel campo 11 si dovrebbe indicare 175, ovvero l’ACE effettivamente “sfruttata” dalla snc (350) ponderata per il 50%;
- nel campo 12 si indica 160 (ACE effettivamente utilizzata dalla persona fisica);
- nel campo 13, infine, si ritorna ad un’eccedenza riportabile pari a 15, frutto della differenza tra l’ammontare di colonna 7 (175) e quello di colonna 12 (160).
Non appare chiaro, ad un’analisi sommaria, il motivo di questa complicazione ad un adempimento già di per sé non privo di problematiche. L’unica motivazione plausibile è che si voglia evidenziare la “quota ACE” sfruttata dalla società partecipata (175, dato in precedenza non esposto), oltre all’eccedenza attribuita di 75, in quanto il quadro RH, che tradizionalmente evidenzia tutti i dati delle società di persone partecipate (reddito attribuito, ritenute, crediti d’imposta ecc.) non prevede l’indicazione distinta dell’ACE della quale la società ha beneficiato, e che l’estensore dei modelli abbia quindi preferito “accorpare” tutti i dati sull’agevolazione nel rigo RS37 della dichiarazione della persona fisica. Va da sé che il prospetto consegnato dalla snc al socio per la sua dichiarazione dei redditi non potrà limitarsi a quantificare il reddito attribuito, ma dovrà anche specificare l’ACE sfruttata.
 
fonte : eutekne

imu 2012

Detrazione aggiuntiva per i figli di età non superiore a 26 anni

La circolare del MEF precisa che non rileva la condizione di figlio fiscalmente a carico
/ Lunedì 28 maggio 2012
Le disposizioni IMU, contenute nell’art. 13 del D.L. n. 201/2011 contengono particolari modalità di conteggio dell’imposta per gli immobili adibiti ad abitazione principale e per le relative pertinenze.
In tale ambito, il comma 10 del predetto art. 13 prevede che dall’imposta dovuta sull’abitazione principale spettino le seguenti detrazioni:
- “base” pari ad euro 200 (elevabile dai Comuni fino a concorrenza dell’imposta dovuta) per il periodo durante il quale l’immobile è effettivamente destinato ad abitazione principale (in presenza di più soggetti aventi diritto, la detrazione si ripartisce in parti uguali, a prescindere dalla percentuale di possesso dell’immobile);
- “aggiuntiva”, e limitatamente agli anni 2012 e 2013, pari ad euro 50 per ciascun figlio di età non superiore a 26 anni (importo non variabile da parte dei Comuni), a condizione che lo stesso risieda anagraficamente e dimori abitualmente nell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale. Non rileva ai fini della fruizione di tale detrazione aggiuntiva, precisa la circolare n. 3/DF, la condizione di figlio fiscalmente a carico, peraltro vincolo che non può neppure essere introdotto dal Comune in via regolamentare; vista la diversità dei presupposti, occorrerà quindi una gestione dei figli del contribuente ulteriore e parallela rispetto a quella necessaria per la compilazione del prospetto dei familiari a carico in dichiarazione dei redditi.
É stabilito inoltre che la suddetta detrazione aggiuntiva non può eccedere l’importo di euro 400 (corrispondente quindi a 8 figli di età non superiore a 26 anni dimoranti e residenti nell’immobile), e che la sommatoria delle detrazioni fruibili non può dunque superare l’importo di euro 600 (euro 200 di detrazione “base” ed euro 400 di detrazione “aggiuntiva”). Relativamente alla detrazione aggiuntiva, la circolare n. 3/DF correttamente precisa che “costituendo una maggiorazione della detrazione, si calcola con le stesse regole di quest’ultima e, quindi, in misura proporzionale al periodo in cui persiste il requisito che dà diritto alla maggiorazione stessa”. Se si verificano in corso d’anno, occorre quindi verificare la data di nascita del figlio, il compimento del 26esimo anno di età così come eventuali cambi di residenza o di domicilio.
Prendendo spunto anche dagli esempi illustrati nella citata circolare n. 3/DF, emerge che la detrazione aggiuntiva per i figli con i requisiti descritti, spetta in presenza delle seguenti ulteriori condizioni:
- il soggetto beneficiario della detrazione aggiuntiva (genitore) deve essere proprietario, o titolare di altro diritto reale, dell’immobile adibito ad abitazione principale, a prescindere tuttavia dalla percentuale di possesso;
- il figlio deve essere effettivamente tale rispetto al genitore cui è attribuita la detrazione.
Relativamente a tale ultimo aspetto, in altre parole, la detrazione non spetta, ad esempio, al marito, titolare del 100% dell’immobile, che vive insieme alla moglie ed un figlio di 15 anni che deriva da un precedente matrimonio della moglie stessa. Laddove, invece, la titolarità dell’immobile fosse anche in parte della moglie, a quest’ultima spetterebbe per intero (euro 50) la detrazione per il predetto figlio.
Ulteriore fattispecie da evidenziare riguarda l’ipotesi di due coniugi, contitolari dell’immobile adibito ad abitazione principale, in cui convivono sia figli (di età non superiore a 26 anni) di entrambi i coniugi, sia figli derivanti da precedenti matrimoni contratti dagli stessi. In tal caso:
- per i figli di entrambi, la detrazione deve essere ripartita in parti uguali tra gli stessi (euro 25 ciascuno), a prescindere dalla percentuale di possesso dell’immobile;
- per i figli di uno solo di essi (derivanti da precedenti matrimoni), la detrazione di euro 50 è attribuita per intero al genitore “effettivo” dei figli stessi.
Infine, la circolare n. 3/DF contiene alcuni esempi riferiti alla fattispecie di titolare dell’immobile adibito ad abitazione principale, in cui risiedono e dimorano anche la figlia di età inferiore a 26 anni, e la figlia di quest’ultima.
In tali situazioni:
- se la titolarità dell’immobile è in capo ad uno solo dei genitori, la detrazione spetta limitatamente per il figlio di tale genitore e nella misura intera di euro 50;
- se la titolarità dell’immobile è in capo ad entrambi i genitori predetti (ed a prescindere dalla quota), a ciascuno di essi spetta la detrazione di euro 50 con riferimento al proprio figlio (alla madre per la figlia di età non superiore a 26 anni convivente, ed a quest’ultima per la propria figlia).

Società in perdita sistemica

società non operative

Società in perdita sistemica alla prova disapplicazione

Se le perdite vengono conseguite nei primi 3 periodi d’imposta, si potrebbe configurare una causa di disapplicazione

/ Venerdì 25 maggio 2012
La circostanza che le nuove disposizioni in materia di società di comodo debbano essere considerate ai fini del calcolo degli acconti 2012 impone agli operatori una riflessione sulle possibili cause di disapplicazione della norma, con specifico riferimento alla nuova ipotesi di non operatività, introdotta dal DL 138/2011 convertito nella L. n. 148/2011 e riferita ai soggetti in perdita sistemica.
Come si è più volte evidenziato su questo quotidiano, l’art. 2 comma 36-decies e 36-undecies del citato provvedimento ha esteso la disciplina delle società di comodo:
- alle società ed enti che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d’imposta consecutivi;
- alle società ed enti che per due periodi d’imposta siano in perdita fiscale e in uno abbiano dichiarato un reddito inferiore a quello minimo determinato ai sensi dell’art. 30 della L. 724/94.
Il DL 138/2011 precisa che restano ferme le cause di non applicazione della disciplina in materia di società non operative di cui al summenzionato art. 30 della L. 724/94.
Si tratta delle ipotesi di esclusione individuate dal comma 1 dell’art. 30 (ad esempio, soggetti che si trovano nel primo periodo d’imposta, società con un numero di soci non inferiore a 50) e delle ipotesi di disapplicazione previste dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 14 febbraio 2008, emanato ai sensi dell’art. 30 comma 4-ter della L. 724/94, che consente di evidenziare determinate situazioni oggettive in presenza delle quali è consentito disapplicare le disposizioni sulle società di comodo, senza dover assolvere all’onere di presentare l’istanza di interpello (ad esempio, soggetti in liquidazione).
Queste ultime ipotesi sono state, tuttavia, individuate in relazione a soggetti che si considerano non operativi sulla base dell’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal Conto economico e confrontati con la somma degli importi che risultano applicando determinate percentuali al valore di determinati elementi patrimoniali.
La nuova ipotesi introdotta dal DL 138/2011 presenta indubbie specificità in funzione delle quali l’Agenzia delle Entrate ha da tempo annunciato la volontà di ampliare le cause di disapplicazione automatica della disciplina, anche al fine di limitare le istanze di interpello disapplicativo di cui all’art. 37-bis comma 8 del DPR 600/73.
Al momento, però, tutto tace. L’unico intervento dell’Agenzia (peraltro non ancora recepito in un documento ufficiale) riguarda i soggetti con anzianità inferiore ai 3 periodi d’imposta. In tale circostanza, l’Agenzia ha opportunamente rilevato che le nuove disposizioni in materia di società di comodo presuppongono un “periodo di osservazione di tre anni”.
Pertanto, in tali casi, la normativa sulle società in perdita sistemica non trova applicazione, ferma restando la possibilità di applicare la disciplina ordinaria delle società di comodo se il test dei ricavi non viene superato.
Quindi, in conformità a quanto affermato dall’Agenzia, il soggetto che si è costituito nel 2010 ed è in perdita nel 2010 e nel 2011, nel 2012 non avrà comunque un problema di società di comodo, in quanto occorrerà attendere lo scadere del triennio.
Nella fattispecie in esame, più che di causa di esclusione, si dovrebbe parlare di presupposto applicativo della norma, al pari della presenza, nel triennio di riferimento, dei beni idonei a generare ricavi minimi presunti; in assenza di beni “di comodo” nel triennio, infatti, il prospetto per la determinazione dei ricavi e del reddito minimo in UNICO non deve essere compilato.
Si potrebbe invece ipotizzare, quale causa di disapplicazione automatica, la presenza di perdite conseguite nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione della società, perdite che, ai sensi dell’art. 84 comma 2 del TUIR, sono riportabili senza limiti di tempo, né di valore.
Tale disposizione ha subìto nel corso degli anni diverse modifiche, ma la ratio originaria è rimasta immutata ed è ben descritta dalla relazione al DLgs. 358/97 che la introdusse. In tale occasione, si affermò che per le imprese di nuova costituzione il conseguimento di perdite negli anni iniziali è, spesso, “un purgatorio imposto dalle regole del mercato”. In questa prospettiva, la nuova disposizione mirava proprio “a rimuovere questo tendenziale svantaggio delle nuove iniziative”, garantendo alle perdite nei primi tre periodi d’imposta la piena riportabilità, senza limiti di tempo.

Proprio in applicazione di tale principio, ricordando che i soggetti che si trovano nel primo periodo d’imposta sono comunque esclusi, sembrerebbe ragionevole applicare la nuova disciplina introdotta dal DL 138/2011 a partire dal quarto periodo d’imposta dalla data di costituzione, non conteggiando le perdite dei primi tre periodi d’imposta. Ovviamente ciò a condizione che, come avviene per il riporto delle perdite, queste si riferiscano ad una nuova attività produttiva.
 / Alessandro COTTO
fonte: eutekne

Riscossione Va disapplicato il condono per gli omessi versamenti IVA

Riscossione

Va disapplicato il condono per gli omessi versamenti IVA

L’art. 9-bis della L. 289/2002 contrasta con il diritto comunitario, in quanto comporta una rinuncia alla riscossione del tributo
/
/ Venerdì 25 maggio 2012
Mediante la sentenza 8110 depositata in data 23 maggio, la Suprema Corte è tornata ad occuparsi dei condoni IVA, nello specifico della loro compatibilità con l’ordinamento comunitario.
Il caso in oggetto riguardava l’art. 9-bis della L. 289/2002, ovvero la definizione degli omessi versamenti, più precisamente il diniego di condono opposto dall’Ufficio. Il ricorso avverso quest’ultimo atto è stato rigettato, proprio in ragione del fatto che le sanatorie della L. 289/2002, se relative all’IVA, devono essere disapplicate.
Tutto, come oramai noto, trae origine dalla sentenza Corte di Giustizia UE 17 luglio 2008 causa C-132/06, resa a seguito di procedura di infrazione, che aveva sancito che gli artt. 8 e 9 della L. 289/2002 contrastano con gli artt. 2 e 22 della VI direttiva comunitaria in materia di IVA, nonché con l’art. 10 del Trattato della Comunità europea.
Secondo la Corte, inoltre, le norme citate hanno superato i confini del margine di discrezionalità amministrativa concesso agli Stati membri dal legislatore comunitario, in quanto, con la L. 289/2002, il legislatore italiano ha offerto ad ogni soggetto passivo IVA la possibilità di escludere, relativamente ad una serie di periodi d’imposta, l’eventualità di un qualsiasi controllo fiscale.
Ciò ha però una valenza generale: non a caso, nella sentenza in commento, i giudici rammentano che l’art. 9-bis, “consentendo di definire una controversia evitando il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento del tributo, comporta una rinuncia definitiva alle sanzioni che, per il loro carattere dissuasivo, oltre che repressivo, incidono sul corretto adempimento dell’obbligo di pagamento del tributo principale”.
Inoltre, la Corte di Cassazione afferma espressamente che la disapplicazione di una norma interna per contrasto con il diritto comunitario ben può avvenire d’ufficio, senza quindi necessità che la questione sia stata eccepita nei motivi di ricorso.
Principio con valenza generale
Occorre peraltro rammentare che se, nel caso in oggetto, la disapplicazione ha avuto un effetto negativo nella sfera giuridica del contribuente (in quanto ha comportato il rigetto del ricorso introduttivo contro il diniego di condono), non sempre è così.
Infatti, è possibile sostenere che, da un lato, non sono irrogabili le sanzioni amministrative in caso di omesso/tardivo versamento delle rate da condono, dall’altro, che è nulla la cartella di pagamento emessa al fine di riscuotere le somme derivanti dalle dichiarazioni da condono non versate (per quest’ultima ipotesi, C.T. Reg. Torino 16 novembre 2010 n. 78).
Per contro, senza motivazioni soddisfacenti, la Corte ha di recente affermato che la disapplicazione delle sanatorie del 2002 non può riguardare l’art. 10, che aveva contemplato la proroga biennale dei termini di decadenza dal potere di accertamento per i contribuenti che avevano scelto di non aderire ai condoni (si veda “Proroga biennale da mancato condono ad ampio raggio per l’IVA” del 19 maggio 2012).
  Alfio CISSELLO
FONTE:EUTEKNE

riscossione: Crediti verso la P.A., certificazione entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza

riscossione

Crediti verso la P.A., certificazione entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza

Lo prevede la bozza di uno dei decreti presentati dal Governo per attenuare il problema dei ritardati pagamenti alle imprese
/ Giovedì 24 maggio 2012
Il sistema che il Governo ha delineato per attenuare la problematica dei ritardati pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione nei confronti delle imprese è imperniato sulla certificazione dei crediti da parte degli enti debitori, regolamentata con due dei quattro decreti che sono stati emanati.
Il meccanismo della certificazione è stato introdotto nel nostro sistema con il comma 3-bis dell’art. 9 del DL 185/2008, mentre ulteriori interventi in materia sono stati realizzati con l’art. 13 della L. 183/2011 e con il recente DL 16/2012 (art. 12). La certificazione è funzionale a diversi “utilizzi” del credito: la sua cessione pro soluto o pro solvendo, l’ottenimento dell’anticipazione del credito da parte del sistema bancario, la compensazione con eventuali somme iscritte a ruolo entro il 30 aprile 2012.
Oggetto della certificazione sono i crediti vantati nei confronti di Regioni, Enti locali ed enti del Servizio Sanitario Nazionale in relazione a rapporti di somministrazione, fornitura e appalto. Va però evidenziato come il comma 2 dell’art. 1 della bozza di decreto circolata ieri esclude dall’ambito applicativo della disposizione i crediti verso gli enti commissariati, ma soprattutto nei confronti delle Regioni in deficit sanitario (penalizzando in questo modo ulteriormente le imprese interessate).
A regime, il sistema di certificazione sarà interamente telematico, poggiando su una piattaforma elettronica che verrà predisposta nei prossimi mesi: la piattaforma, oltre che dalle amministrazioni debitrici, dovrà essere utilizzata da parte delle imprese creditrici, che si dovranno abilitare su di essa per presentare l’istanza di certificazione.
Fino a quando non sarà a disposizione la procedura telematica disciplinata dall’art. 4 della bozza di decreto, la certificazione seguirà quella “ordinaria” prevista dall’art. 3, che inizia con la presentazione di un’istanza cartacea da parte dell’impresa.
L’istanza deve essere predisposta sulla base del modello all’allegato 1 della bozza decreto che, oltre ai dati identificativi del creditore, dell’amministrazione interessata e della posizione creditoria, deve contenere una serie di dichiarazioni che attestino che:
- non vi sono procedimenti giurisdizionali pendenti in relazione al credito in questione;
- il creditore si impegna a non attivare procedimenti di recupero del credito e a non cederlo a terzi durante la procedura di certificazione;
- nel caso di rilascio della certificazione, il creditore si asterrà dall’attivare procedimenti giurisdizionali fino alla data indicata per il pagamento o, in mancanza, nei 12 mesi successivi alla data di certificazione;
- vi è o meno l’intenzione di utilizzo in compensazione del credito con somme iscritte a ruolo.
Entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza da parte dell’impresa, l’amministrazione debitrice dovrà rilasciare la certificazione, numerata progressivamente, utilizzando il modello di cui all’allegato 2 della bozza di decreto.
Nel caso in cui il credito superi l’importo di 10.000 euro, sulla base di quanto previsto dall’art. 48-bis del DPR 602/1973, nella certificazione l’amministrazione interessata dovrà dare atto di aver verificato l’esistenza di cartelle di pagamento non onorate da parte del creditore (indicando eventualmente il loro ammontare).
La certificazione dovrà attestare che il credito è certo, liquido ed esigibile a quella data, ovvero, in alternativa, che esso è totalmente o parzialmente insussistente o inesigibile, motivandone però le ragioni. Deve essere indicata anche la data di pagamento, che non può essere successiva ai 12 mesi dalla data della presentazione dell’istanza di certificazione da parte dell’impresa (o l’impossibilità di fissarla qualora scatti il meccanismo d’incompatibilità con i vincoli del Patto di stabilità interno).
Nella peggiore delle ipotesi, 120 giorni per ottenere la certificazione
L’art. 5 della bozza di decreto regolamenta anche la fattispecie della eventuale “inerzia” dell’amministrazione interessata, al fine di tutelare l’impresa che fosse danneggiata da un comportamento di questo tipo.
Decorso il termine di 60 giorni dalla presentazione dell’istanza senza che l’amministrazione debitrice abbia rilasciato la certificazione (o rilevato l’insussistenza o inesigibilità del credito), l’impresa può presentare istanza di nomina di un commissario ad acta alla Ragioneria Territoriale dello Stato. Considerato che, entro 10 giorni dall’istanza il commissario deve essere nominato, e poi questi ha ulteriori 50 giorni per provvedere al rilascio della certificazione, nella peggiore delle ipotesi, quindi, le imprese interessate dovranno attendere un termine massimo di 120 giorni per vedere i propri crediti certificati.
 Sergio PELLEGRINO e Giovanni VALCARENGHI
FONTE: EUTEKNE

Contenzioso: L’Agenzia conferma la non ricorribilità degli «avvisi bonari»

Contenzioso

L’Agenzia conferma la non ricorribilità degli «avvisi bonari»

Nel ricorso contro il ruolo, non verrà eccepita l’inammissibilità per omesso ricorso contro l’avviso bonario

/ Giovedì 24 maggio 2012
Mediante apposito comunicato stampa pubblicato ieri ( http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/be5812004b5917159d9bdd0a16ee8a29/067_Com.+st.+avvisi+bonari+23.05.12.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=be5812004b5917159d9bdd0a16ee8a29 ), l’Agenzia delle Entrate, “in merito ad alcuni recenti articoli di stampa che hanno riproposto il tema della impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità”, conferma la propria adesione all’orientamento giurisprudenziale che ritiene detti provvedimenti non autonomamente impugnabili (cfr. Cass. SS.UU. 16293/2007).
Infatti, la sola opinione espressa dalla sentenza 7344/2012, favorevole all’impugnabilità delle “comunicazioni bonarie” (si veda “Impugnabile l’avviso bonario da 36-bis” del 15 maggio), non può essere ancora espressione di un principio consolidato.
Alla luce di ciò, da un lato, non verranno modificate le “avvertenze” poste all’interno degli avvisi bonari (nel senso che non verrà “ventilata” la possibilità del ricorso), dall’altro, “gli uffici, pertanto, continueranno a sostenere l’inammissibilità dei ricorsi eventualmente proposti contro gli avvisi bonari”.
Come prima osservazione, non resta che attendere se la pronuncia richiamata troverà conferma nella successiva giurisprudenza.
Poi, circa l’intenzione di non modificare il contenuto degli avvisi, va da sé che si tratta di un atto rientrante nella discrezionalità degli uffici. Ferme restando le questioni relative al legittimo affidamento (che, allo stato attuale, pare abbiano rilievo solo per ciò che concerne l’eventuale irrogazione di sanzioni amministrative), è chiaro che la giurisprudenza non è una fonte del diritto, e che, di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate non è tenuta ad adeguare la propria prassi alla luce di quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione.
Dal lato del contribuente, il diritto immediato al ricorso non viene meno, chiaramente, neanche ove nel cosiddetto “avviso bonario” venisse data notizia circa l’impossibilità di impugnazione sino al ruolo, siccome la sussistenza della giurisdizione tributaria (ma alle medesime conclusioni può pervenirsi in merito al carattere impugnabile dei provvedimenti) “non dipende dalla volontà, o, peggio ancora, dagli errori delle parti, ma dall’oggetto della lite in relazione alle previsioni della legge” (Cass. SS.UU. 9 maggio 2008 n. 11498 e 30 giugno 2009 n. 15242).
Dovrebbe valere la cosiddetta “impugnazione facoltativa”
Più interessante appare la seconda affermazione contenuta nel comunicato, ovvero: “Coerentemente con questo orientamento, gli Uffici dell’Agenzia si asterranno dal chiedere l’inammissibilità del ricorso contro il ruolo per mancata impugnazione dell’avviso bonario”.
Tale specificazione è di certo obbligata, ma non muterebbe nemmeno se si ritenesse l’avviso bonario impugnabile.
Come osservato in altra sede (si veda “Ricorso contro l’avviso bonario non «imposto» dalla Cassazione” del 21 maggio 2012), l’omesso ricorso contro l’avviso non ha effetti nel successivo ricorso contro il ruolo.
In altre parole, non è giuridicamente possibile che la situazione sia paragonata alla sequenza procedimentale avviso di accertamento/cartella di pagamento. A ciò osta l’art. 6, comma 5 della L. 212/2000, ove è sancito che la nullità del ruolo si verifica non per il semplice fatto circa l’omissione dell’avviso bonario, ma solo se a tale fatto si aggiungono le “incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (ergo, se il ruolo non è di per sé nullo se non preceduto dal cosiddetto “avviso bonario”, allora il contribuente può, a sua scelta, decidere di ricorrere contro quest’ultimo atto o contro il ruolo).
Ravvisando la necessità di attendere la futura giurisprudenza, potrebbe trovare applicazione il principio, espresso più che altro in tema di fiscalità locale, della cosiddetta “impugnazione facoltativa”, secondo cui  l’elencazione tassativa degli atti ex art. 19 del DLgs. 546/92 non preclude al contribuente la possibilità di ricorrere avverso provvedimenti non rientranti in tale elenco ma contenenti una pretesa tributaria definita, ma la mancata impugnazione di un atto non indicato nell’art. 19 nel termine di sessanta giorni dalla sua notifica “non determina la non impugnabilità (cristallizzazione) di quella pretesa che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall’art. 19” (Cass. 21045/2007).
 / Alfio CISSELLO
FONTE: EUTEKNE

Accertamento

Accertamento

La «riserva» di produrre i documenti non fa venire meno il rifiuto di esibizione

La preclusione probatoria si verifica ugualmente, posto che alla richiesta degli uffici deve subito seguire l’esibizione
/ Giovedì 24 maggio 2012
La Corte di Cassazione, con la sentenza 8109 depositata ieri, è tornata a pronunciarsi in merito ad un argomento di estrema importanza: la preclusione probatoria relativa al rifiuto di esibizione di documenti richiesti dai verificatori nelle more del controllo.
Il disposto normativo di ciò è rinvenibile negli artt. 32 del DPR 600/73 e 52 del DPR 633/72, che, in sostanza, normano gli effetti del rifiuto di esibizione, e, più in generale, della mancata collaborazione alla fase di controllo sia nei controlli sostanziali che nelle cosiddette “indagini a tavolino”.
I giudici hanno stabilito che l’espressa riserva del contribuente di fornire i documenti in un momento successivo (nella specie, nella fase contenziosa) fosse circostanza idonea ad integrare il cosiddetto “rifiuto di esibizione”, con la conseguenza che i documenti prodotti nel processo sono stati giudicati inutilizzabili proprio per questo motivo.
Nella sentenza si legge testualmente che la norma in oggetto “non attribuisce al contribuente nessuna facoltà di scelta tra esibizione immediata agli inquirenti o differita (in giudizio): la riserva espressa dalla contribuente, quindi, si rivela evidentemente illegittima perché, nella sostanza, suppone una interpretazione della norma che ne rimette l’effettiva osservanza al mero arbitrio del contribuente”.
Ciò, a nostro avviso, non significa che, su espressa domanda dei verificatori, debbano essere prodotti tutti i documenti richiesti quando, per questioni oggettive di tempo, non si possa ottemperare al comando.
In primo luogo, anche se su tale aspetto parrebbe opportuna una conferma della giurisprudenza, nulla vieta che il contribuente, illustrandone il motivo, presenti agli uffici apposita domanda di differimento del termine per la consegna della documentazione.
Poi, non si dimentichi che l’art. 52, comma 10 del DPR 633/72 prevede che il contribuente ben può dichiarare che i documenti si trovano presso altri soggetti, ma deve esibire un’attestazione dei soggetti stessi recante la specificazione delle scritture in loro possesso.
Vale anche la semplice colpa
Si rammenta che, dopo un primo orientamento giurisprudenziale, che riteneva necessario, per integrare il cosiddetto “rifiuto di esibizione”, l’elemento intenzionale (si veda la famosa sentenza delle Sezioni Unite n. 45 del 2000), ora la giurisprudenza pare consolidata nell’affermare la sufficienza della semplice colpa.
È stato infatti sancito che non è necessario che il contribuente abbia dolosamente opposto il rifiuto, siccome è sufficiente che egli “dichiari, contrariamente al vero, di non possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorché non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative...)” (Cass. 16 ottobre 2009 n. 21967; Cass. 26 marzo 2009 n. 7269; Cass. 27 giugno 2011 n. 14027).
 Alfio CISSELLO
FONTE:EUTEKNE

ACE, nuove istruzioni a UNICO 2012

ACE, nuove istruzioni a UNICO 2012


Indicazioni importanti, per la determinazione dell’agevolazione ACE, dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 18 maggio 2012 (  http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/cf9668004b53c1c59bf7db0a16ee8a29/Provvedimento+Rettifica+TOTALE+AGG.PDF?MOD=AJPERES&CACHEID=cf9668004b53c1c59bf7db0a16ee8a29,)  che ha corretto in più parti i modelli UNICO, IRAP, 730 e 770, unitamente alle relative istruzioni. Le istruzioni al quadro RS del modello UNICO 2012 risultanti da tali correzioni, precisano:
- che il patrimonio...
Gianluca ODETTO, Mercoledì 23 maggio 2012
 

mercoledì 23 maggio 2012

Imu: per i beni in leasing paga il locatario

Imu: per i beni in leasing paga il locatario

In vigenza di contratto la soggettività passiva grava sul locatario

Premessa - Nel caso di locazione finanziaria ai fini IMU, l’art. 9, D.Lgs. n. 23/2011, richiamato dal D.L. n. 201/2011, stabilisce che è soggetto passivo dell’IMU il locatario. Tale soggettività decorre dalla dati di stipula del contratto e per tutta la durata dello stesso.

Soggetti passivi Imu - I soggetti passivi dell'IMU sono individuati dall'art. 9 co. 1 del D.Lgs. 23/2011 come segue: in linea di massima soggetto passivo è il proprietario dell'immobile, tuttavia, se l'immobile è gravato da un diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, soggetto passivo è il titolare di tale diritto, e non il proprietario (anche detto “nudo proprietario”).

Possesso dell’immobile - Solo il possesso di diritto di un immobile obbliga al pagamento dell’Imu. L'unica eccezione è rappresentata dal coniuge assegnatario dell'immobile, che è obbligato al pagamento della nuova imposta locale anche nei casi in cui non sia né proprietario né titolare di altro diritto reale di godimento sul bene. Come per l’ICI, non sono invece soggetti al prelievo il locatario, l'affittuario o il comodatario. Il tributo è infatti dovuto dai contribuenti per anni solari, proporzionalmente alla quota di possesso dell'immobile e in relazione ai mesi dell'anno per i quali il bene è stato posseduto. Se il possesso si è protratto per almeno 15 giorni, il mese deve essere computato per intero.

Usufrutto e diritto di abitazione - L’articolo 9 del decreto legislativo 23/2011 stabilisce che oltre al proprietario dell'immobile, sono obbligati al pagamento anche il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione. Va precisato che la prova della proprietà o della titolarità dell'immobile non è data dalle iscrizioni catastali, ma dalle risultanze dei registri immobiliari. In caso di difformità è tenuto al pagamento dell’IMU il soggetto che risulta titolare da questi registri (CTR Lazio, sentenza 90/2006). Quindi per l’assoggettamento agli obblighi tributari non è probante quello che risulti iscritto in catasto. Rientra tra i diritti reali, poi il diritto di abitazione che spetta, al coniuge superstite, in base all'articolo 540 del codice civile.

Nudo proprietario - Non è soggetto al prelievo fiscale, invece, il nudo proprietario dell'immobile. Allo stesso modo, non sono obbligati al pagamento dell'imposta il locatario, l'affittuario e il comodatario, in quanto non sono titolari di un diritto reale di godimento sull'immobile, ma lo utilizzano sulla base di uno specifico contratto.

Beni in leasing - In deroga al principio che individua il presupposto per l'applicazione dell'IMU nel possesso degli immobili, la soggettività passiva IMU, rispetto agli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, detenuti in leasing, è riferita al locatario (art. 9 co. 1 del D.Lgs. 23/2011). La soggettività passiva IMU si configura in capo al locatario finanziario a decorrere dalla data della stipula del contratto di leasing e per tutta la durata dello stesso. La disposizione ricalca quella già contenuta, ai fini dell'ICI, nell'art. 3 co. 2 del D.Lgs. 504/92.
FONTE: Redazione Fiscal Focus

 

Srl semplificate

Srl semplificate: estesa la platea dei beneficiari

Tra le indiscrezioni del nuovo decreto sulla crescita sembra cancellato il limite anagrafico dei 35 anni

In queste ore il Governo tecnico sta mettendo a punto i contenuti del decreto legge per la crescita, grazie al coordinamento con il Dicastero dello Sviluppo economico, guidato da Corrado Passera. Tra le misure importanti che meritano attenzione vi è quella relativa alla nuova società a responsabilità limitata semplificata, quella per giovani under 35 anni.

Srls - Questa nuova forma societaria ha il merito di produrre effetti benefici su nuove realtà e iniziative imprenditoriali, poiché consente a tutti di costituire società a responsabilità limitata in maniera semplificata, versando un capitale sociale che varia da minimo 1 euro a massimo di 9.999 euro. Si dice a tutti perché, a differenza di quanto previsto con il decreto liberalizzazioni che ha creato, almeno per ora sulla carta, questo nuovo strumento di rilancio dell’imprenditoria italiana e giovanile, con il decreto crescita in dirittura d’arrivo si troverebbe esteso a tutti i soggetti, senza limiti anagrafici.

Sistri: ancora proroghe - Tra le altre novità del nuovo provvedimento del Governo Monti, si segnala anche quella relativa al Sistri, per cui il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti non entrerà in funzione da giugno 2012, ma sia per i rifiuti ordinari che per quelli speciali pericolosi, prodotti da imprese con oltre 10 dipendenti, il decreto sembra rinviare alla data del 31 dicembre 2013.

Finanziamento PMI - E infine anche le modalità di finanziamento delle imprese, per cui si pensa all’emissione da parte di società e Pmi di cambiali finanziarie come strumenti di finanziamenti alternativo ai normali canali di approvvigionamento di capitale.

Rinvio testo ufficiale - Ovviamente queste indiscrezioni saranno svelate con l’annuncio dell’adozione in via ufficiale del decreto che dovrebbe vedere la luce con tutta probabilità nella giornata di venerdì prossimo.
FONTE: Redazione Fiscal Focus

 

lunedì 21 maggio 2012

IMMOBILI

Dal MEF chiarimenti su abitazione principale e immobili per le imprese

Con la circolare del Ministero dell’Economia e delle finanze n. 3/DF sono state esaminate alcune questioni sulla corretta applicazione dell’IMU
/ Lunedì 21 maggio 2012
La circolare n. 3/DF del Ministero dell’Economia e delle finanze pubblicata venerdì 18 maggio, ha chiarito alcuni aspetti concernenti l’applicazione dell’imposta municipale propria introdotta a decorrere dall’anno 2012, in via sperimentale, dall’art. 13 del DL 201/2011.
Anzitutto, il documento precisa che sono assoggettati all’imposta i fabbricati, le aree fabbricabili e i terreni a qualsiasi uso destinati. Sono compresi anche gli immobili strumentali e quelli alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa; in altre parole, l’IMU colpisce tutti gli immobili delle imprese, indipendentemente dalla loro classificazione catastale. Quindi, in considerazione del fatto che l’IMU sostituisce, oltre all’ICI, l’IRPEF e le relative addizionali per gli immobili non locati, ne consegue che i beni che non producono reddito fondiario, come quelli delle imprese, subiranno un’ulteriore aggravio impositivo.
A tal proposito, la circolare in oggetto precisa che nella locuzione “beni non locati” sono compresi sia i fabbricati che i terreni che non risultano locati o affittati.
Con riferimento alle aliquote, il Ministero precisa che i limiti minimi e massimi stabiliti dalla legge costituiscono dei “vincoli invalicabili” da parte del Comune. Nell’esercizio della propria potestà regolamentare, infatti, l’ente locale può esclusivamente manovrare le aliquote, differenziandole sia nell’ambito della stessa fattispecie impositiva, sia con riferimento alle singole categorie catastali.
In relazione all’abitazione principale e relative pertinenze, la circ. n. 3/DF ha precisato, anzitutto, che  l’abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in Catasto. Il fatto che più unità immobiliari distintamente iscritte in Catasto siano utilizzate unitariamente come abitazione principale non rileva. In questo caso il contribuente può scegliere quale unità destinare ad abitazione principale (con applicazione del regime agevolato) e quali considerare come abitazioni diverse da quella principale con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal Comune per tali tipologie di fabbricati (l’aliquota di base è pari allo 0,76%). Il contribuente non può applicare le agevolazioni su più di un’unità immobiliare a meno che non abbia preventivamente proceduto al loro accatastamento unitario.
Come si è già avuto modo di osservare, per abitazione principale si intende l’immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Se i componenti del nucleo familiare hanno stabilito dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nello stesso territorio comunale, ai fini dell’IMU, l’agevolazione compente una volta soltanto per nucleo familiare.
Se ad esempio due coniugi, non legalmente separati, dimorano e risiedono in immobili diversi situati nello stesso Comune, l’agevolazione spetta soltanto ad uno dei due coniugi.
Se è il figlio a dimorare e risiedere anagraficamente in un altro immobile ubicato nello stesso Comune, precisa la circ. n. 3/DF, risulta costituito un nuovo nucleo familiare (quello del figlio appunto) ed il genitore perde soltanto l’eventuale maggiorazione di 50 euro della detrazione (se il figlio non supera i 26 anni).
Spetta due volte il beneficio per gli immobili in Comuni diversi
Meno scontata, invece, è un’altra precisazione contenuta nel documento ministeriale.
La limitazione prevista nel caso di diversi immobili destinati ad abitazione principale da parte dei componenti dello stesso nucleo familiare nel territorio dello stesso Comune non è prevista nel caso in cui gli immobili siano ubicati in Comuni diversi. La motivazione, secondo il ministero, riguarderebbe il fatto che “in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative”.
Per quanto concerne le pertinenze dell’abitazione principale, che possono essere al massimo tre, appartenenti ciascuna ad una categoria catastale diversa (C/2, C/6 e C/7), il Ministero precisa che rientra nel limite suddetto anche la pertinenza che risulta iscritta in Catasto unitamente all’abitazione principale. Nel caso in cui le pertinenze superino il limite stabilito dalla norma, il contribuente può scegliere a quali pertinenze applicare il regime agevolato e quali assoggettare all’aliquota ordinaria. In ordine all’individuazione delle pertinenze, i Comuni non possono intervenire con alcuna disposizione regolamentare in conseguenze dell’abrogazione dell’art. 59 del DLgs. 446/97.
IMMOBILI

Agevolazioni IMU estese alle società agricole

I chiarimenti della circolare ministeriale n. 3/DF in materia di IMU per il settore agricolo
/ Lunedì 21 maggio 2012
La circolare del Ministero dell’Economia e delle finanze n. 3/DF del 18 maggio osserva che il codice civile non dà una definizione precisa del “coltivatore diretto”, pur operando richiami a tale figura negli articoli 2083 (ove è ricompresa fra i “piccoli imprenditori”) e 1647 (“Quando l’affitto ha per oggetto un fondo che l’affittuario coltiva col lavoro prevalentemente proprio o di persone della sua famiglia, si applicano le norme che seguono”).
Altri indizi utili per l’identificazione di tale figura possono essere ricavati da norme contenute in leggi settoriali, che la circolare richiama in nota, che consentono di concludere che a tale nozione corrisponde chi si dedica direttamente e abitualmente alla coltivazione del fondo con lavoro proprio o della sua famiglia e la cui forza lavorativa non sia inferiore a un terzo di quella complessiva richiesta dalla normale conduzione del fondo.
Quanto alla definizione di imprenditore agricolo professionale (IAP) iscritto nella previdenza agricola, è la stessa normativa IMU (articolo 13, comma 2 del DL n. 201/2011) che rinvia all’articolo 1 del DLgs. n. 99 del 2004, che individua tale soggetto in colui che dedica alle attività agricole di cui all’art. 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricava dalle attività medesime almeno il 50% del reddito globale da lavoro e prevede che la qualifica di IAP può essere riconosciuta anche alle società di persone, cooperative e di capitale, anche a scopo consortile, qualora lo statuto preveda come oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile e che siano in possesso dei requisiti ivi specificati.
Ai fini del riconoscimento alle società della qualifica di IAP è necessaria, però, l’ulteriore condizione di cui al comma 5-bis dello stesso articolo 1 in base al quale “l’imprenditore agricolo professionale persona fisica, anche ove socio di società di persone o cooperative, ovvero amministratore di società di capitali, deve iscriversi nella gestione previdenziale ed assistenziale per l’agricoltura. Ai soci lavoratori di cooperative si applica l’art. 1, comma 3, della legge 3 aprile 2001, n. 142”.
La circolare conclude pertanto confermando quanto già affermato in sede di commento della disciplina IMU, ossia che il riconoscimento della qualifica di IAP non può più essere limitato alle sole persone fisiche ma compete anche alle società, ciò che avviene solo se lo statuto sociale prevede l’esercizio esclusivo delle attività agricole, se ricorrono i requisiti di cui al comma 3 dell’art. 1 del DLgs. n. 99/2004 e se i soggetti indicati in tale comma 3 sono iscritti nella gestione previdenziale ed assistenziale per l’agricoltura.
Le agevolazioni per i terreni agricoli e per quelli incolti
La circolare conferma, inoltre, l’interpretazione di favore secondo la quale il moltiplicatore di favore (110, anziché 135) di cui all’articolo 13, comma 5, del DL n. 201/2011 si rende applicabile, oltre che ai terreni agricoli, anche a quelli “non coltivati” (in entrambi i casi purché posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola) nel caso in cui questi ultimi debbano essere lasciati a riposo in applicazione delle tecniche agricole (cosiddetto “set aside”).
La circolare conferma che le stesse considerazioni operano ai fini del riconoscimento dell’agevolazione prevista dal comma 8-bis dell’art. 13 del DL n. 201/2011, che consente (come già previsto ai fini ICI, ma in misura assai meno favorevole) di fruire di una franchigia (limitata a un valore dei terreni non superiore a euro 6.000) e di riduzioni dell’imposta decrescenti per scaglioni.
Sempre con riguardo ai coltivatori diretti e IAP, la circolare richiama anche la fictio iuris agevolativa (mutuata dalla disciplina ICI) secondo la quale non sono comunque considerati fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli IAP, iscritti nella previdenza agricola, sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all’allevamento di animali e sottolinea altresì che nell’ipotesi in cui il terreno sia posseduto da più soggetti, ma condotto da uno solo di essi che abbia i requisiti sopra indicati, l’agevolazione si estende a tutti i comproprietari, come sancito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in ragione del fatto che la considerazione del terreno in termini agricoli anziché di “area fabbricabile” (come sarebbe in assenza della statuizione agevolativa de qua) ha carattere oggettivo.

L’imposta municipale propria in pillole

IMMOBILI

L’imposta municipale propria in pillole

Chi paga, quando si paga e come. Un riepilogo della disciplina dell’IMU

/ Lunedì 21 maggio 2012
Presupposto impositivo: possesso di qualunque immobile (fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli), comprese le abitazioni principali e le relative pertinenze.
Esenzioni: riproposte alcune esenzioni previste per l’ICI e introdotta l’esenzione per i fabbricati rurali a uso strumentale ubicati nei Comuni montani, per i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da IAP di valore complessivo non superiore a 6.000 euro e per i fabbricati inagibili colpiti dal sisma in Abruzzo del 6 aprile 2009.
Soggetti passivi: il proprietario, il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, l’ex coniuge affidatario della casa coniugale, il locatario di immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria ed il concessionario di aree demaniali.
Base imponibile: i criteri di determinazione variano con riferimento, rispettivamente, ai fabbricati iscritti in Catasto e dotati di rendita catastale, ai fabbricati non iscritti in Catasto e sprovvisti di rendita catastale, ai fabbricati non iscritti in Catasto e non dotati di rendita catastale che risultino ad un tempo classificabili nel gruppo D, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, ai fabbricati in corso di costruzione o di ristrutturazione, ai terreni agricoli ed alle aree fabbricabili.
Riduzioni della base imponibile: riduzione del 50% per i fabbricati di interesse storico o artistico e per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili. La base imponibile, inoltre, è ridotta per i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da IAP iscritti alla previdenza agricola, per la parte di valore che eccede 6.000 euro.
Aliquota base: 0,76%. Può essere modificata dai Comuni entro un minimo dello 0,46% ed un massimo dell’1,06%.
Aliquota per l’abitazione principale e relative pertinenze: 0,4%. Può essere modificata dai Comuni entro un minimo dello 0,2% ed un massimo dello 0,6%.
Aliquota per i fabbricati rurali ad uso strumentale all’attività agricola: 0,2%. Può essere ridotta dai Comuni fino allo 0,1%.
L’aliquota di base può essere ridotta fino allo 0,4% 0,4% per gli immobili utilizzati esclusivamente per l’esercizio di arti o professioni (es. studio professionale), gli immobili (terreni e fabbricati) relativi ad imprese commerciali, gli immobili posseduti da soggetti passivi IRES e gli immobili locati e fino allo 0,38% per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita invenduti (a determinate condizioni).
Abitazione principale e relative pertinenze: è soggetta all’IMU e deve essere costituita da una sola unità immobiliare. Si intende l’immobile iscritto o iscrivibile nel Catasto fabbricati, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano e risiedono anagraficamente. Oltre all’aliquota ridotta è prevista una detrazione pari a 200 euro per l’abitazione principale. La detrazione può essere aumentata dai Comuni fino a concorrenza dell’imposta dovuta. Per gli anni 2012 e 2013, maggiorazione di 50 euro per ciascun figlio convivente e residente con età non superiore a 26 anni (per 8 figli al massimo). La circ. 18 maggio 2012 n. 3/DF del Ministero dell’Economia e delle finanze ha precisato che detrazione e maggiorazione devono essere rapportate ai mesi dell’anno nei quali si sino verificate le condizioni richieste dalla norma (sul punto il documento ministeriale contiene diverse esemplificazioni). Inoltre, se il Comune ha disposto l’aumento della detrazione fino a concorrenza dell’imposta dovuta, lo stesso ente non potrà fissare un’aliquota superiore a quella ordinaria per le unità immobiliari tenute a disposizione.
Versamento per il 2012 – Tutti gli immobili: in due rate, la prima rata, che scade il 18 giugno 2012 è pari al 50% dell’imposta dovuta applicando le aliquote di base, la seconda rata, che scade il 17 dicembre 2012 è versata a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno con conguaglio sulla prima rata, tenendo conto delle aliquote deliberate dai singoli Comuni.
Versamento per il 2012 – Abitazione principale e pertinenze: in due rate (come sopra indicato) oppure, a scelta del contribuente, in tre rate, la prima e la seconda rata, che scadono rispettivamente il 18 giugno 2012 e il 17 settembre 2012, sono pari a 1/3 dell’imposta dovuta applicando le aliquote e le detrazioni di base, mentre la terza rata, che scade il 17 dicembre 2012, è versata a saldo dell’imposta complessivamente dovuta per l’intero anno con conguaglio sulle rate precedenti, tenendo conto delle aliquote deliberate dai singoli Comuni.
Versamento per il 2012 – Fabbricati rurali strumentali iscritti nel Catasto Fabbricati: in due rate. Entro il 18 giugno 2012, deve essere versata la prima rata dell’IMU per l’anno 2012 che sarà pari al 30% dell’IMU calcolata con l’aliquota base di legge prevista per tali fabbricati (0,2%), mentre entro il 17 dicembre 2012, deve essere versata la seconda rata tenendo anche conto dell’aliquota eventualmente deliberata dal Comune, se diversa da quella di legge.
Versamento per il 2012 – Fabbricati rurali strumentali iscritti nel Catasto Terreni: in un’unica rata entro il 17 dicembre 2012.
 / Arianna ZENI

Contenzioso

Contenzioso

Ricorso contro l’avviso bonario non «imposto» dalla Cassazione

Se il contribuente ritiene, può anche impugnare la successiva cartella di pagamento

/ Lunedì 21 maggio 2012
Pochi giorni fa abbiamo evidenziato come la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7344 del 2012, abbia affermato che, sulla base dell’interpretazione estensiva o analogica dell’art. 19 del DLgs. 546/92, anche gli avvisi bonari siano soggetti a immediata impugnazione, senza la necessità che il contribuente attenda la formazione del ruolo e la notifica della cartella di pagamento (si veda “Impugnabile l’avviso bonario da 36-bis” del 15 maggio 2012).
Tale nuovo orientamento pone, subito, due importanti quesiti a cui l’interprete deve dare risposta:
- la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso o del reclamo contro l’avviso bonario;
- i nessi tra ricorso/reclamo contro avviso bonario e successiva cartella di pagamento.
In merito al termine per il ricorso o per il reclamo, pochi problemi (almeno in via concettuale) emergono ove l’avviso bonario venga recapitato presso la residenza del contribuente, auspicando che venga utilizzata la raccomandata con ricevuta di ritorno: dal giorno in cui il contribuente riceve l’avviso, scattano i sessanta giorni.
Quid iuris nel caso in cui l’avviso, su richiesta espressa del contribuente, seguita dall’accettazione dell’intermediario, venga spedito all’intermediario?
Tecnicamente, non si tratta di elezione di domicilio, quindi il termine non può decorrere dal giorno in cui l’intermediario ha “scaricato” il file dal proprio computer.
A questo punto, come prevede l’art. 2-bis, comma 1, lett. a) del DL 203/2005, il professionista, entro trenta giorni, deve notiziare il contribuente circa l’avvenuta emissione dell’avviso.
Il termine dovrebbe, quindi, decorrere non da quando l’intermediario ha scaricato l’invito ma da quando il contribuente lo ha ricevuto e ciò apre un ulteriore problema: come si può delineare con certezza il momento in cui il contribuente ha preso visione dell’invito, posto che l’intermediario potrebbe semplicemente telefonare al cliente per notiziarlo della ricezione dell’avviso bonario?
Relativamente all’altro problema, si ritiene che tra comunicazione bonaria e cartella di pagamento non sussista alcun rapporto di presupposizione, sicché l’omessa impugnazione della comunicazione non pregiudica in alcun modo il ricorso contro la cartella, che potrà concernere tanto il merito della pretesa quanto i vizi propri della cartella.
Rebus decorrenza dei termini per il ricorso
Non è possibile fare un paragone con il rapporto avviso di accertamento/cartella di pagamento, perché a ciò osta l’art. 6, comma 5, della L. 212/2000, che impone l’emissione dell’avviso bonario non sempre, ma solo se sussistono incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione.
Pertanto, l’omessa notifica dell’avviso bonario non rende di per sé nulla la cartella, salvo il caso delle incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione e l’omessa impugnazione del contribuente non causa alcuna preclusione.
Invero, vi è un ulteriore quesito che ha non poco rilievo: il contribuente può chiedere la sospensiva e, se sì, con che effetti? Si ritiene che la domanda di sospensiva al giudice, in tal caso, non possa inibire la formazione del ruolo, siccome per la notifica della cartella di pagamento occorre il rispetto di termini decadenziali, i quali di certo non possono essere sospesi per effetto del ricorso contro l’avviso.
In altre parole, non è corretto, ad avviso di chi scrive, che, per effetto della sospensiva, l’Ufficio ed Equitalia si vedano, in concreto, ristretti i tempi per l’iscrizione a ruolo e per la notifica della cartella di pagamento.
 / Alfio CISSELLO
fonte: eutekne

Immobile al valore del momento dell’avverarsi della condizione

Immobili

Immobile al valore del momento dell’avverarsi della condizione

Secondo la Corte di Cassazione, la base imponibile della compravendita soggetta a condizione sospensiva va computata al momento dell’avveramento

/ Lunedì 21 maggio 2012
In caso di contratto sospensivamente condizionato, l’imposta di registro deve essere applicata:
- sulla base della disciplina vigente al tempo della stipula del contratto;
- determinando il valore del bene al tempo dell’avveramento della condizione.
Infatti, non sarebbe corretto ancorare l’applicazione dell’imposta di registro al valore del bene al momento della stipula del contratto, in quanto ciò svincolerebbe il prelievo tributario dalla concreta consistenza dei riflessi economici dell’atto.
Questo è uno dei chiarimenti resi dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 7877, depositata il 18 maggio 2012.
Nel caso di specie, in seguito alla stipula di un contratto di compravendita immobiliare assoggettato a condizione sospensiva (per la possibilità di esercizio del diritto di prelazione da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e degli enti pubblici territoriali ex artt. 60 e 61 del DLgs. 42/2004), il contribuente, al momento dell’avverarsi della condizione chiedeva il rimborso dell’imposta pagata in eccesso al momento della registrazione, in quanto faceva istanza di applicazione della disciplina del “prezzo valore” (art. 1 comma 497 della L. 266/2005), entrata in vigore dopo la stipula del contratto, ma prima dell’avveramento della condizione. Atteso che l’Amministrazione non rispondeva alla richiesta di rimborso, il contribuente impugnava il silenzio rifiuto, ma perdeva in primo e secondo grado, in quanto i giudici affermavano la “retroattività della condizione sospensiva”.
Tuttavia, la Corte di Cassazione dà ragione al contribuente, fornendo un esame dell’applicazione dell’imposta di registro in caso di compravendita immobiliare assoggettata a condizione sospensiva.
In primo luogo, la Corte ricorda che le nozioni civilistiche relative alla condizione sospensiva devono essere valutate alla luce delle specifiche disposizioni del DPR 131/86.
In particolare, l’art. 43, comma 1, lett. a) del DPR 131/86 dispone che la base imponibile del contratto traslativo o costitutivo di diritti reali soggetto a condizione sospensiva è data dal valore del bene alla “data in cui si producono gli effetti traslativi”. Pertanto, nella determinazione della base imponibile, bisogna fare riferimento al valore del bene alla data del verificarsi della condizione. Infatti – precisa la Corte – l’effetto traslativo è “prodotto” non dalla stipula del contratto, ma dall’avverarsi della condizione, anche se, poi, gli effetti del contratto retroagiscono effettivamente al momento della stipula. Il fatto generatore degli effetti reali è comunque costituito dall’avverarsi della condizione.
D’altro canto, l’art. 27 del DPR 131/86 dispone che, quando la condizione si verifica, l’imposta è dovuta secondo le norme vigenti al momento della formazione dell’atto.
Coordinando le due disposizioni sopra illustrate, la Corte deduce che il legislatore ha individuato due diverse “regole” per l’applicazione dell’imposta di registro agli atti sospensivamente condizionati:
- per quanto concerne la definizione della normativa applicabile, bisogna fare riferimento alla disciplina vigente al tempo della stipula del contratto;
- per quanto concerne la determinazione della base imponibile, bisogna guardare al valore del bene al tempo dell’avveramento della condizione.
Il prelievo è ancorato alla concreta consistenza del bene
D’altro canto – aggiunge la Corte – applicare l’imposta al valore del bene al momento della stipula del contratto svincolerebbe il prelievo tributario dalla reale consistenza degli effetti economici dell’atto e, quindi, dalla capacità contributiva dei contraenti.
Pertanto, nel caso di specie, era possibile per i contribuenti chiedere l’applicazione della disciplina del “prezzo valore”, atteso che tale normativa (art. 1 comma 497 della L. 266/2005) era entrata in vigore prima dell’avverarsi della condizione (sebbene non fosse ancora in vigore al momento della stipula dell’atto). Infatti, la norma sul “prezzo valore” non incide sull’individuazione della disciplina applicabile, ma sulla determinazione del valore del bene.
 / Anita MAURO
fonte:eutekne