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mercoledì 9 maggio 2012

contenzioso

Reclamo: dubbi sulla «fase di azione» all’istanza del contribuente

Nella fase successiva all’eventuale mancato accoglimento dell’istanza, è difficile che l’ufficio formuli una proposta di mediazione
/ Mercoledì 09 maggio 2012
Con la presentazione dell’atto di “reclamo” il contribuente, al contempo, ha praticamente concluso la prima parte delle azioni volte all’eventuale definizione stragiudiziale della controversia in fieri, e, laddove anche l’eventuale fase di mediazione non avesse esiti positivi, le azioni necessarie per la chiamata in causa dell’ufficio controparte.
A questo punto è necessario avere presente l’intero procedimento posto a carico dell’ufficio una volta ricevuto l’atto di reclamo, che possiamo suddividere in due fasi: la prima, concernente la disamina dell’atto ricevuto e che possiamo convenzionalmente definire “fase di reazione”, e una seconda, successiva e causata dall’eventuale mancato accoglimento dell’istanza del contribuente, che possiamo convenzionalmente definire “fase di azione”.
La “fase di reazione” contempla l’obbligo, per l’Agenzia delle Entrate, una volta ricevuto l’atto di reclamo, di procedere ad una serie di passi obbligati, idonei al riscontro della legittimità e della procedibilità dell’atto del contribuente e, successivamente, al riscontro della sua fondatezza: su queste colonne questa fase è stata esaustivamente analizzata (si veda “Inammissibilità non sanabile dell’atto di reclamo” del 12 aprile scorso).
Affrontiamo dunque la cosiddetta “fase di azione”, quella in sostanza decorrente da quando l’Agenzia delle Entrate ha maturato il convincimento che non sussistono gli estremi per l’annullamento totale dell’atto impositivo, siccome richiesto nel reclamo prodotto.
A questo punto l’ufficio competente agirà a seconda del fatto che il contribuente coevamente all’atto di reclamo abbia presentato, o meno, una proposta di mediazione: atteso che si ritiene alquanto improbabile che ciò accada – in quanto vorrebbe dire, per il proponente, l’aperta ammissione della parziale fondatezza dell’atto impositivo, con conseguente certo pregiudizio nella successiva fase processuale – concentriamoci sulle conseguenti azioni dell’Agenzia.
La circolare n. 9, in questi casi, invita gli uffici a valutare comunque la possibilità di pervenire a un accordo di mediazione: perciò, gli stessi sono liberi di procedere all’eventuale convocazione del contribuente per l’avvio del contraddittorio finalizzato alla proposta di mediazione.
In una circostanza del genere è pressoché certo che l’ufficio si guarderà dal formulare “formalmente” detta proposta di mediazione, ossia con materiale consegna della stessa al contribuente corredata da conseguente riduzione parziale della pretesa: e ciò non deve stupire, atteso che si tratta di un comportamento del tutto speculare a quello adottato, in precedenza, dal contribuente reclamante”, che a sua volta si è ben guardato dal produrre elementi documentali che, a seconda dell’esito della vicenda, potrebbero anche rivelarsi controproducenti.
Il rischio è che si replichino le “liturgie” dell’accertamento con adesione
Questa sorta di “partita a scacchi”, dove i contendenti pensano alla mossa da effettuare previa ponderazione della contromossa dell’avversario, non farà altro che replicare, per il nuovo istituto, le liturgie proprie dell’accertamento con adesione: difatti, una volta che il procedimento ha perso la sua caratterizzazione di fase propria dell’autotutela, avviata dal “reclamo” che contesta interamente l’atto e ne richiede l’annullamento, lo step successivo è quello di ammantarsi della fase propria dell’accertamento con adesione (con quali risultati è facile immaginare, soprattutto se la fase obbligatoria di reclamo e mediazione sia stata preceduta da un contraddittorio avviato dalle parti ex DLgs. n. 218).
A chiusura del cerchio, quale extrema ratio, giunge la proposta di mediazione “integrale”, caratterizzata dalla circostanza che l’Ufficio proporrà al contribuente l’accettazione dell’intero importo del tributo, accertato con l’atto impugnato, al solo fine di consentirgli il beneficio della conseguente riduzione delle sanzioni irrogate.
Ma questa sostanziale “riproposizione” dell’acquiescenza non sembra destinata a grandi successi, attesi i “trascorsi” del contribuente.
Questi, infatti, ha prima rifiutato di prestare acquiescenza post notifica dell’avviso di accertamento con la riduzione delle sanzioni, a seconda dei casi, ad 1/6 o ad 1/3, e poi, eventualmente, non ha definito la pretesa nella successiva fase di accertamento con adesione, con la quale avrebbe “lucrato”, oltre alla riduzione dell’accertato anche la riduzione delle sanzioni sul residuo dovuto ad 1/3 del minimo.
Appare dunque altamente improbabile la conversione del contribuente sulla via della mediazione, con l’accettazione a posteriori di una pretesa che ha ostinatamente avversato, peraltro gravata di un importo a titolo di sanzioni ridotto al 40% del minimo, in ossequio a quanto prevede il nuovo istituto.

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