Diritto societario
Fuori dal cda l’amministratore/socio che aderisce ad un sindacato di gestione
È una giusta causa di revoca perché si lede il rapporto fiduciario con la società
Costituisce giusta causa di revoca degli amministratori/soci l’adesione ad un “sindacato di gestione”, con il quale si vincolano a svolgere i loro compiti in conformità con quanto voluto e deciso dal patto a maggioranza semplice.
È quanto precisato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 24 maggio 2012 n. 8221.
Alcuni soci di una spa, nel corso del 2000, concludevano un patto parasociale con il quale, da un lato, si riconosceva alla direzione dello stesso la facoltà di adottare, a maggioranza semplice, le decisioni che avrebbe ritenuto più opportune e convenienti circa le deliberazioni da prendere nelle assemblee ordinarie e straordinarie della spa, dall’altro, si precisava che assunzioni e/o licenziamenti di dirigenti e quadri rientravano nelle competenze del sindacato e che tutte le delibere dell’assemblea e del cda dovevano essere votate secondo quanto stabilito dalla maggioranza del patto. Un nuovo socio di maggioranza della spa, venuto a conoscenza di tale patto, nel corso del 2002, proponeva all’assemblea la revoca dell’intero cda, composto anche da taluni soci firmatari del patto. L’assemblea accoglieva la proposta. Due amministratori/soci, adducendo l’inesistenza di una giusta causa di revoca, chiedevano al competente Tribunale, ex art. 2383 comma 3 c.c., la condanna della spa al risarcimento del danno, costituito dal lucro cessante (per il venir meno dei compensi da percepire fino alla scadenza dell’incarico) e dal danno emergente (per lesione all’immagine professionale). Il Tribunale, rilevata la validità del patto parasociale e la mancanza di prova della violazione dei doveri di lealtà, correttezza e fedeltà, accoglieva la domanda degli amministratori/soci. La Corte d’Appello, però, adita dalla società, ribaltava la decisione, ravvisando nei peculiari obblighi parasociali un pregiudizio per il rapporto fiduciario tra società e amministratori idoneo ad integrare giusta causa di revoca dei medesimi. La Corte di Cassazione, come evidenziato in premessa, condivide l’orientamento espresso dai giudici di secondo grado.
A prescindere dalla nullità o meno di un patto parasociale del tipo concluso anche dagli amministratori/soci (e riconducibile ai sindacati di gestione), gli obblighi ad esso connessi pongono gli amministratori in una situazione di potenziale, quanto immanente, conflitto tra il dovere di fedeltà nei confronti della società e quello nei confronti del patto di sindacato, tale da ledere il necessario rapporto fiduciario con la società. Gli amministratori, infatti, a differenza dei soci, sono inderogabilmente investiti dell’intera ed esclusiva responsabilità della gestione dell’impresa sociale nell’interesse della società, nonché dei terzi che con essa vengono in contatto. Questo principio è stato espressamente sancito dal Legislatore della riforma del diritto societario nell’art. 2380-bis c.c. Esso, peraltro, era già riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza sulla base di un’interpretazione sistematica di talune disposizioni della disciplina precedente, applicabile al caso di specie (cfr. i previgenti artt. 2364, 2392, 2394 e 2395 c.c., che delimitavano le competenze dell’organo deliberativo rispetto alla competenza generale dell’organo investito della gestione della società, attribuendo a quest’ultimo la responsabilità piena di tale attività nei confronti non solo della società, ma anche dei terzi). La situazione che si viene a determinare tramite l’adesione ad un sindacato di gestione, d’altra parte, non può essere equiparata a quella dell’influenza che possa derivare sull’agire dell’amministratore dai meri orientamenti espressi dal socio di maggioranza che lo ha nominato. Nel caso in questione, infatti, è presente l’assunzione di un vincolo giuridico di natura obbligatoria che non avrebbe ragione alcuna di essere costituito ove non aggiungesse alcunché.
/ Maurizio MEOLI
fonte: eutekne
È quanto precisato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 24 maggio 2012 n. 8221.
Alcuni soci di una spa, nel corso del 2000, concludevano un patto parasociale con il quale, da un lato, si riconosceva alla direzione dello stesso la facoltà di adottare, a maggioranza semplice, le decisioni che avrebbe ritenuto più opportune e convenienti circa le deliberazioni da prendere nelle assemblee ordinarie e straordinarie della spa, dall’altro, si precisava che assunzioni e/o licenziamenti di dirigenti e quadri rientravano nelle competenze del sindacato e che tutte le delibere dell’assemblea e del cda dovevano essere votate secondo quanto stabilito dalla maggioranza del patto. Un nuovo socio di maggioranza della spa, venuto a conoscenza di tale patto, nel corso del 2002, proponeva all’assemblea la revoca dell’intero cda, composto anche da taluni soci firmatari del patto. L’assemblea accoglieva la proposta. Due amministratori/soci, adducendo l’inesistenza di una giusta causa di revoca, chiedevano al competente Tribunale, ex art. 2383 comma 3 c.c., la condanna della spa al risarcimento del danno, costituito dal lucro cessante (per il venir meno dei compensi da percepire fino alla scadenza dell’incarico) e dal danno emergente (per lesione all’immagine professionale). Il Tribunale, rilevata la validità del patto parasociale e la mancanza di prova della violazione dei doveri di lealtà, correttezza e fedeltà, accoglieva la domanda degli amministratori/soci. La Corte d’Appello, però, adita dalla società, ribaltava la decisione, ravvisando nei peculiari obblighi parasociali un pregiudizio per il rapporto fiduciario tra società e amministratori idoneo ad integrare giusta causa di revoca dei medesimi. La Corte di Cassazione, come evidenziato in premessa, condivide l’orientamento espresso dai giudici di secondo grado.
A prescindere dalla nullità o meno di un patto parasociale del tipo concluso anche dagli amministratori/soci (e riconducibile ai sindacati di gestione), gli obblighi ad esso connessi pongono gli amministratori in una situazione di potenziale, quanto immanente, conflitto tra il dovere di fedeltà nei confronti della società e quello nei confronti del patto di sindacato, tale da ledere il necessario rapporto fiduciario con la società. Gli amministratori, infatti, a differenza dei soci, sono inderogabilmente investiti dell’intera ed esclusiva responsabilità della gestione dell’impresa sociale nell’interesse della società, nonché dei terzi che con essa vengono in contatto. Questo principio è stato espressamente sancito dal Legislatore della riforma del diritto societario nell’art. 2380-bis c.c. Esso, peraltro, era già riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza sulla base di un’interpretazione sistematica di talune disposizioni della disciplina precedente, applicabile al caso di specie (cfr. i previgenti artt. 2364, 2392, 2394 e 2395 c.c., che delimitavano le competenze dell’organo deliberativo rispetto alla competenza generale dell’organo investito della gestione della società, attribuendo a quest’ultimo la responsabilità piena di tale attività nei confronti non solo della società, ma anche dei terzi). La situazione che si viene a determinare tramite l’adesione ad un sindacato di gestione, d’altra parte, non può essere equiparata a quella dell’influenza che possa derivare sull’agire dell’amministratore dai meri orientamenti espressi dal socio di maggioranza che lo ha nominato. Nel caso in questione, infatti, è presente l’assunzione di un vincolo giuridico di natura obbligatoria che non avrebbe ragione alcuna di essere costituito ove non aggiungesse alcunché.
Carattere innovativo per la disciplina dei patti parasociali
La Suprema Corte precisa, inoltre, che il nuovo art. 2341-bis c.c. presenta portata innovativa, quantomeno sotto il profilo dell’estensione a tutte le spa di un riconoscimento dei patti parasociali che il Legislatore aveva in precedenza espresso solo in normative settoriali, con conseguente non applicabilità a patti sottoscritti “ante” riforma. Tale articolo, da un lato, insieme al successivo art. 2341-ter c.c., si limita a dettare alcuni profili di disciplina dei patti parasociali senza alcun carattere esaustivo, specie con riferimento ai limiti di ammissibilità di tali accordi; dall’altro, non pare contemplare i sindacati di gestione, rispetto ai quali resta valido il principio secondo cui i patti parasociali, pur vincolando esclusivamente le parti contraenti e non potendo incidere direttamente sull’attività sociale, devono ritenersi illegittimi quando il contenuto dell’accordo si ponga in contrasto con norme imperative o sia idoneo a consentire l’elusione di norme o principi generali dell’ordinamento inderogabili, ma non quando destinati a realizzare un risultato pienamente consentito dall’ordinamento (cfr. Cass. 28 aprile 2010 n. 10215, Cass. 18 luglio 2007 n. 15963, Cass. 23 novembre 2001 n. 14865 e Cass. 20 settembre 1995 n. 9975)./ Maurizio MEOLI
fonte: eutekne
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