conti pubblici
Giannino: «La priorità è azzerare l’IRAP. Più sinergie tra imprese e professioni»
Il giornalista, conduttore di «Nove in punto, la versione di Oscar» su Radio24, dice la sua anche su spending review e Agenzia delle Uscite
/ Giovedì 17 maggio 2012
Nel suo libro Contro le tasse, Oscar Giannino ricorda che tutte le grandi rivoluzioni sono nate dalla disobbedienza fiscale. Le tre radici della civilità occidentale – l’antica Grecia, Roma e Israele – sono impastate di drammi e rivolte fiscali. Le tasse ebbero una funzione determinante in millenni d’impero in Cina. Nel Medioevo fu l’esaltazione a rendere sempre più incerta la presa dei signori locali sulla terra e a favorire la nascita delle moderne monarchie nazionali. La guerra civile inglese, la rivoluzione americana e quella francese, tutte nacquero sul presupposto di una vasta, motivata e risoluta protesta fiscale, che da sommossa iniziale si trasformò in breve tempo in potente moto della storia. La Guerra di secessione americana tutti la ricordiamo per via dell’emancipazione degli schiavi, ma era per un diverso regime di tassazione a favore del Nord e delle sue manifatture che il Sud si separò dall’Unione e la combattè. La storia dunque insegna che la prima vittima di un’imposizione ottusa è sempre stata la libertà.
Parte da qui la battaglia di chi, come Giannino, combatte contro gli sprechi e le inefficienze del settore pubblico. Con la penna e con la parola. Ora, la centralità dei temi del taglio della spesa e del dimagrimento dello Stato sembra finalmente divenuto patrimonio comune e trasversale del pensiero della stragrande maggioranza degli italiani. Ed è proprio dalla spending review che partiamo in questa chiacchierata. Per capire la versione di Oscar.
Alcune settimane fa, nel giro di pochi giorni, il Ministro Giarda ha dapprima detto che nuovi tagli alla spesa non sarebbero stati possibili senza incidere anche pesantemente su servizi e prestazioni, poi ha individuato in ben 80 miliardi la spesa rivedibile, quindi ha fissato in appena 4,2 miliardi il primo obiettivo. Che succede?
“Giarda ha fissato il primo obiettivo in 4,2 miliardi su indicazione del Governo. Chi ha letto, almeno in quella parte resa nota, il documento sulla spending review, sa che il Ministro non è venuto meno a indicare, su 100 miliardi di spesa corrente, in 6 punti di PIL la parte azzerabile senza rilevanti effetti recessivi. Bisognerà poi individuare il criterio giusto aggredire la spesa con impatti non invasivi. Giarda è incolpevole, il problema riguarda piuttosto l’indirizzo della politica economica del Governo e la sua effettiva disponibilità a cambiare strategia”.
È un’ impressione o questo Governo ha ben chiaro il federalismo delle tasse “multi-level market” Comuni-Regioni-Stato, mentre sembra molto più cauto nel portare avanti il federalismo dei costi standard?
“Sui costi standard, se guardiamo al decreto attuativo della Commissione bicamerale del precedente Governo, ci rendiamo conto che la formula è impropria. Nel percorso tecnico di quel decreto, stante l’opposizione della Ragioneria dello Stato, furono bocciati gli indicatori microeconomici di convergenza per l’acquisizione di beni e servizi per la sanità, che però nascevano su altre gambe e con altri strumenti. Nel decreto attuativo i costi standard corrispondono al vecchio fabbisogno storico corretto in base agli indici socio-demografici. La rivoluzione non ci sarà. E arriviamo alla nascita di questo Governo. Più che le chiacchiere sulle contrarietà a dare al federalismo fiscale un significato reale, contano i fatti: come la centralizzazione della tesoreria di Comuni più IMU, ovvero un gettito ex ante elaborato centralmente, rispetto al quale i Comuni sono responsabili con il patto di stabilità. Si tratta di una tensione che porta a un’evoluzione diversa rispetto all’iniziale obiettivo di autonomia”.
Ci fossero le risorse, cosa riterrebbe prioritario tra: abolire l’IMU, scongiurare l’aumento dell’IVA, abolire l’IRAP, introdurre un vero quoziente familiare?
“Sono questioni diverse che vanno affrontate con un ordine di emergenza reale. La prima emergenza, ovvero la più grave, è l’IRAP, ovvero un’imposta che non ha equivalenti in altri Paesi con intensità di manodopera impiegata simile al nostro. Bisogna trovare una soluzione verso l’azzeramento dell’IRAP per la parte che cofinanzia la società. La seconda emergenza è rappresentata da IMU e IVA. Non si sta intervenendo in maniera organica, l’Italia aumenta le imposte dirette con le addizionali, quelle indirette con l’IVA, quelle patrimoniale con IMU e con interventi su conto titoli. Così si accrescono gli incentivi negativi senza riflettere su come equilibrare il prelievo. Ove si restituisse abbassando l’aliquota diretta, allora avrebbe senso alzare l’IVA. Se si diminuissero le tasse sul reddito avrebbe senso difendere l’IMU. Ma non va bene farlo contemporaneamente e a prescindere dall’orizzonte sistemico. Il terzo punto riguarda la questione del sostegno alla famiglia che serve per riequilibrare la tax expenditure: diamo al sostegno alle famiglie il 4,8% delle spese per il welfare, mentre la media europea è dell’8%, mentre sulla nostra testa pende la spada di Damocle della curva demografica”.
L’Agenzia delle Uscite. Nulla più che una divertente provocazione, oppure un’idea da portare avanti come vera e propria proposta?
“La proposta nasce da una motivata e oggettiva sfiducia nell’amministrazione statale. Negli indicatori di contabilità pubblica ci sono delle falle evidenti, mancano confronti chiari con quello che è successo alla spesa pubblica nei decenni precedenti. Ecco da dove nasce l’esigenza di un’agenzia della spesa per certificare la qualità e vigilare sulla quantità. Ma questa esigenza si scontra con l’opposizione dell’organo che esercita il vero potere: il bollino blu della Ragioneria generale”.
Oggi più che mai la scelta di campo è tra pubblico e privato. Possibile che libere professioni e mondo delle imprese passino il tempo a farsi i dispetti assai più di quanto ne passino a fare fronte comune?
“Da anni, tutte le mattine ai microfoni di Radio24, mi batto per spiegare quanto queste incomprensioni siano sbagliate e vadano superate. Spesso qualcuno ha avuto la sensazione che gli articoli fossero ispirati da Confindustria, si tratta di un errore reciproco senza senso. Gli effetti sono nocivi per tutti. Anche per i commercialisti, che sono un pilastro per il sistema delle piccole e medie imprese, che hanno con loro un rapporto più aperto di quello con le banche di riferimento. Tali incomprensioni nascono in un Paese dove il privato non riesce mai a far fronte comune ma preferisce anteporre lo scontro, di guerra in guerra, con altri privati. E questo fa comodo allo Stato”.
Parte da qui la battaglia di chi, come Giannino, combatte contro gli sprechi e le inefficienze del settore pubblico. Con la penna e con la parola. Ora, la centralità dei temi del taglio della spesa e del dimagrimento dello Stato sembra finalmente divenuto patrimonio comune e trasversale del pensiero della stragrande maggioranza degli italiani. Ed è proprio dalla spending review che partiamo in questa chiacchierata. Per capire la versione di Oscar.
Alcune settimane fa, nel giro di pochi giorni, il Ministro Giarda ha dapprima detto che nuovi tagli alla spesa non sarebbero stati possibili senza incidere anche pesantemente su servizi e prestazioni, poi ha individuato in ben 80 miliardi la spesa rivedibile, quindi ha fissato in appena 4,2 miliardi il primo obiettivo. Che succede?
“Giarda ha fissato il primo obiettivo in 4,2 miliardi su indicazione del Governo. Chi ha letto, almeno in quella parte resa nota, il documento sulla spending review, sa che il Ministro non è venuto meno a indicare, su 100 miliardi di spesa corrente, in 6 punti di PIL la parte azzerabile senza rilevanti effetti recessivi. Bisognerà poi individuare il criterio giusto aggredire la spesa con impatti non invasivi. Giarda è incolpevole, il problema riguarda piuttosto l’indirizzo della politica economica del Governo e la sua effettiva disponibilità a cambiare strategia”.
È un’ impressione o questo Governo ha ben chiaro il federalismo delle tasse “multi-level market” Comuni-Regioni-Stato, mentre sembra molto più cauto nel portare avanti il federalismo dei costi standard?
“Sui costi standard, se guardiamo al decreto attuativo della Commissione bicamerale del precedente Governo, ci rendiamo conto che la formula è impropria. Nel percorso tecnico di quel decreto, stante l’opposizione della Ragioneria dello Stato, furono bocciati gli indicatori microeconomici di convergenza per l’acquisizione di beni e servizi per la sanità, che però nascevano su altre gambe e con altri strumenti. Nel decreto attuativo i costi standard corrispondono al vecchio fabbisogno storico corretto in base agli indici socio-demografici. La rivoluzione non ci sarà. E arriviamo alla nascita di questo Governo. Più che le chiacchiere sulle contrarietà a dare al federalismo fiscale un significato reale, contano i fatti: come la centralizzazione della tesoreria di Comuni più IMU, ovvero un gettito ex ante elaborato centralmente, rispetto al quale i Comuni sono responsabili con il patto di stabilità. Si tratta di una tensione che porta a un’evoluzione diversa rispetto all’iniziale obiettivo di autonomia”.
Ci fossero le risorse, cosa riterrebbe prioritario tra: abolire l’IMU, scongiurare l’aumento dell’IVA, abolire l’IRAP, introdurre un vero quoziente familiare?
“Sono questioni diverse che vanno affrontate con un ordine di emergenza reale. La prima emergenza, ovvero la più grave, è l’IRAP, ovvero un’imposta che non ha equivalenti in altri Paesi con intensità di manodopera impiegata simile al nostro. Bisogna trovare una soluzione verso l’azzeramento dell’IRAP per la parte che cofinanzia la società. La seconda emergenza è rappresentata da IMU e IVA. Non si sta intervenendo in maniera organica, l’Italia aumenta le imposte dirette con le addizionali, quelle indirette con l’IVA, quelle patrimoniale con IMU e con interventi su conto titoli. Così si accrescono gli incentivi negativi senza riflettere su come equilibrare il prelievo. Ove si restituisse abbassando l’aliquota diretta, allora avrebbe senso alzare l’IVA. Se si diminuissero le tasse sul reddito avrebbe senso difendere l’IMU. Ma non va bene farlo contemporaneamente e a prescindere dall’orizzonte sistemico. Il terzo punto riguarda la questione del sostegno alla famiglia che serve per riequilibrare la tax expenditure: diamo al sostegno alle famiglie il 4,8% delle spese per il welfare, mentre la media europea è dell’8%, mentre sulla nostra testa pende la spada di Damocle della curva demografica”.
L’Agenzia delle Uscite. Nulla più che una divertente provocazione, oppure un’idea da portare avanti come vera e propria proposta?
“La proposta nasce da una motivata e oggettiva sfiducia nell’amministrazione statale. Negli indicatori di contabilità pubblica ci sono delle falle evidenti, mancano confronti chiari con quello che è successo alla spesa pubblica nei decenni precedenti. Ecco da dove nasce l’esigenza di un’agenzia della spesa per certificare la qualità e vigilare sulla quantità. Ma questa esigenza si scontra con l’opposizione dell’organo che esercita il vero potere: il bollino blu della Ragioneria generale”.
Oggi più che mai la scelta di campo è tra pubblico e privato. Possibile che libere professioni e mondo delle imprese passino il tempo a farsi i dispetti assai più di quanto ne passino a fare fronte comune?
“Da anni, tutte le mattine ai microfoni di Radio24, mi batto per spiegare quanto queste incomprensioni siano sbagliate e vadano superate. Spesso qualcuno ha avuto la sensazione che gli articoli fossero ispirati da Confindustria, si tratta di un errore reciproco senza senso. Gli effetti sono nocivi per tutti. Anche per i commercialisti, che sono un pilastro per il sistema delle piccole e medie imprese, che hanno con loro un rapporto più aperto di quello con le banche di riferimento. Tali incomprensioni nascono in un Paese dove il privato non riesce mai a far fronte comune ma preferisce anteporre lo scontro, di guerra in guerra, con altri privati. E questo fa comodo allo Stato”.
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