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venerdì 11 maggio 2012

accertamento

Dati degli studi omessi o infedeli, induttivo «puro» solo per le dirette

Le ultime manovre, e in particolare i DL nn. 98/2011 e 16/2012, non hanno modificato il Decreto IVA
/ Giovedì 10 maggio 2012
In caso di omessa o infedele presentazione del modello contenente i dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, l’Ufficio può esperire l’accertamento induttivo “puro” soltanto in materia di imposizione diretta e non anche ai fini IVA. È quanto prevedono le recenti modifiche alla normativa di riferimento degli studi di settore.
L’articolo 8, comma 4, del DL 16/2012 ha modificato la lettera d-ter) del comma 2 dell’articolo 39 del DPR 600/1973, precedentemente introdotta dall’articolo 23, comma 28, del DL 98/2011. Con tale intervento sono state sostanzialmente riformate le ipotesi in cui l’Ufficio possa procedere all’accertamento induttivo. Innanzitutto, non è più prevista la condizione generale dello scostamento del 10% tra il reddito accertabile sulla base dell’applicazione degli studi di settore corretti e il reddito dichiarato. Dunque, in caso di omessa presentazione del modello contenente i dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore o nell’ipotesi in cui siano state indicate cause di esclusione o di inapplicabilità, poi rivelatesi insussistenti, l’Ufficio può comunque procedere all’accertamento induttivo, a prescindere da qualsiasi gap tra il reddito accertabile e quello dichiarato.
Nel caso, invece, di infedele compilazione dei predetti modelli recanti i dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, l’accertamento induttivo può ora essere esperito soltanto nell’ipotesi in cui vi sia una differenza superiore al 15% o, comunque, a 50.000 euro tra i ricavi/compensi accertabili sulla base degli studi di settore corretti e quelli calcolati con i dati dichiarati dal contribuente. È appena il caso di osservare a quest’ultimo proposito che, per tale ipotesi, il Decreto semplificazioni fiscali è opportunamente intervenuto sui termini del confronto, sostituendo il riferimento al maggior reddito accertabile con i maggiori ricavi/compensi accertabili; del resto, lo strumento presuntivo è finalizzato alla stima dei ricavi/compensi e non alla misurazione “diretta” del reddito (come, ad esempio, l’accertamento sintetico di cui all’art. 38 del DPR 600/1973).
Se nella versione originaria, pertanto, la lettera d-ter) del comma 2 dell’articolo 39 recava una sorta di clausola generale di salvaguardia per le infrazioni minori, che comportavano uno scostamento non significativo, ovvero non superiore al 10%, tra il reddito accertabile e quello dichiarato, ora, invece, la nuova franchigia del 15% o di 50.000 euro esplica effetti soltanto in relazione all’ipotesi di infedele dichiarazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore. Da qui la necessità, per l’imminente tornata dichiarativa, di prestare particolare attenzione alla trasmissione dei modelli recanti i predetti dati, attesa la forte penalizzazione derivante dalla loro omissione o dall’indicazione di cause di inapplicabilità ed esclusione.
Le nuove disposizioni si applicano per gli accertamenti notificati a decorrere dal 2 marzo scorso, data di entrata in vigore del DL 16/2012 e, come affermato dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 8/2012, che riguardino i periodi d’imposta a decorrere dal 2010.
In conclusione, occorre evidenziare che, come confermato dal Fisco nel predetto documento di prassi, le nuove disposizioni producono effetti soltanto ai fini dell’imposizione diretta. Infatti, i DL nn. 98/2011 e 16/2012 si sono limitati a intervenire sull’articolo 39 del DPR 600/1973, relativo, appunto, alle procedure accertative in materia di imposte dirette, ma non hanno modificato in alcun modo il Decreto IVA (DPR 633/1972), in particolare il suo articolo 55. Si è creato, così, un disallineamento tra i due settori impositivi, a cui l’Agenzia delle Entrate ha cercato di porre rimedio affermando, nel predetto documento, che gli Uffici potranno “verificare gli effetti ai fini IVA di una ricostruzione induttiva dei ricavi o dei compensi, alla luce della specifica attività esercitata dal contribuente” (in tal senso, peraltro, deponeva già la circ. 41/2011).
Sotto il profilo squisitamente normativo, però, se al verificarsi delle predette ipotesi (omissione dei dati, errata indicazione di cause di esclusione o inapplicabilità, infedele dichiarazione dei predetti dati) risultano “automaticamente” integrati i presupposti per l’accertamento induttivo ai fini delle imposte dirette ex articolo 39, comma 2, lettera d-ter), del DPR 600/1973, ciò non si verifica per l’IVA. L’articolo 55, comma 2, del DPR 633/1972 stabilisce, infatti, che l’accertamento induttivo possa essere esperito soltanto nelle ipotesi in cui il contribuente abbia sottratto libri o registri all’ispezione, non abbia emesso fatture per le operazioni effettuate o, infine, la contabilità sia inattendibile: si tratta, evidentemente, di fattispecie molto più gravi dell’omessa o infedele dichiarazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, a cui il Legislatore non ha inteso associare tale più incisiva

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