Contenzioso
Se la società si estingue, il contenzioso tributario prosegue con i soci
La successione avviene, però, solo se i soci hanno riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione
/ Giovedì 17 maggio 2012
Lunedì scorso, è stata commentata su Eutekne.info la sentenza n. 7327 della Suprema Corte, ove, in tema di effetti dell’estinzione della società nelle more del processo tributario, era stato affermato, per quanto è dato comprendere dal testo della sentenza, che una volta estinta la società non si può verificare alcun fenomeno successorio a carico di soci, liquidatori e amministratori, poiché è necessario che il Fisco faccia valere le proprie pretese dimostrando i requisiti imposti, a seconda della fattispecie, dall’art. 2495 del codice civile o dall’art. 36 del DPR 602/73 (si veda “Responsabilità del liquidatore «limitata» con la cancellazione dal Registro imprese” del 14 maggio 2012).
Ecco che, con la sentenza n. 7676 depositata ieri, la Suprema Corte torna sull’argomento, fornendo una soluzione diversa da quella prospettata in precedenza (la sentenza si sofferma solo sulla responsabilità ex art. 2495 del codice civile, ma alle medesime conclusioni si può giungere per l’art. 36 del DPR 602/73).
I giudici, dopo aver riaffermato l’inammissibilità del ricorso per Cassazione notificato nei confronti del soggetto estinto, si soffermano sulla “sorte” del contenzioso nell’ipotesi in cui la società venga cancellata dal Registro delle imprese, e, quindi, sia da considerarsi a tutti gli effetti estinta.
In altri interventi (si veda “Società cancellata durante il processo: rebus riassunzione” del 15 marzo 2011), contrariamente a quanto esposto nella sentenza in commento, avevamo prospettato, con una motivazione accolta dalla giurisprudenza di merito, l’eventualità che, essendo la fattispecie paragonabile al decesso di una persona fisica senza eredi, il processo deve ritenersi estinto per cessazione della materia del contendere. A questo punto, a prescindere dalla tipologia di atto impugnato dalla società estinta (sia questo un accertamento o una cartella di pagamento), il Fisco dovrebbe notificare apposito atto dimostrando la sussistenza della responsabilità fiscale del socio o del liquidatore.
La Suprema Corte, in sostanza, ritiene che, da un lato, non vi può essere nessuna successione nel debito a titolo universale a carico dei soci, dall’altro, che la successione si verifica se e nei limiti in cui sussistono i presupposti di cui all’art. 2495 del codice civile, quindi se il socio ha riscosso somme in forza del bilancio finale di liquidazione. Nella specie, quindi, sarebbe stato ammissibile il ricorso per Cassazione notificato nei confronti dell’ex socio nella misura in cui il Fisco avesse dimostrato i requisiti ex art. 2495 c.c., nonostante il processo abbia avuto origine dall’impugnazione di un atto notificato alla società.
In breve, si accoglie l’opinione in virtù della quale il legislatore, con l’articolo riportato, “ha scelto il successore universale al solo fine di proseguire l’attività processuale della parte venuta meno, perchè una successione universale c’è in ogni ipotesi di venir meno della parte, a prescindere dal fatto che il successore sia anche tale quanto al diritto controverso”.
Tutto quadrerebbe, se la causa riguardasse il processo civile, ma siamo nell’ambito fiscale, ove il processo non è un processo di accertamento ma di impugnazione, il cui oggetto è costituito dalla domanda di annullamento dell’atto.
Non è possibile sostenere, come fatto, che l’azione proposta dalla società avverso un suo atto possa proseguire nei confronti dei soci, posto che il presupposto per la loro responsabilità fiscale è del tutto diverso, essendo legata all’art. 2495 del codice civile o all’art. 36 del DPR 602/73. Inoltre, può non esserci coincidenza tra debito della società e somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e ciò fa emergere ancor di più la traballanza di questa tesi (vi sarebbe, nel caso prospettato, una parziale cessazione della materia del contendere?).
Dando per buono quanto affermato, occorrerebbe allora che i soci riassumessero il processo, in quanto, se si opta per la tesi della successione, non può che verificarsi l’interruzione, essendo la situazione paragonata al caso dell’erede.
Al massimo, volendo proprio accogliere il menzionato principio, si potrebbe sostenere la tesi della successione nei debiti sociali nel caso delle società in nome collettivo, posto che i soci rispondono illimitatamente e solidalmente dei debiti tributari della società, ma questo è, come detto, un discorso non fattibile per il caso delle società di capitali.
Il problema deve essere per forza di cose risolto a livello legislativo: solo in questo modo si può determinare in che maniera la responsabilità può essere azionata nei confronti di soci e liquidatori, che cosa succede se la cancellazione avviene nelle more del processo e a quali termini l’azione del Fisco deve sottostare.
Ecco che, con la sentenza n. 7676 depositata ieri, la Suprema Corte torna sull’argomento, fornendo una soluzione diversa da quella prospettata in precedenza (la sentenza si sofferma solo sulla responsabilità ex art. 2495 del codice civile, ma alle medesime conclusioni si può giungere per l’art. 36 del DPR 602/73).
I giudici, dopo aver riaffermato l’inammissibilità del ricorso per Cassazione notificato nei confronti del soggetto estinto, si soffermano sulla “sorte” del contenzioso nell’ipotesi in cui la società venga cancellata dal Registro delle imprese, e, quindi, sia da considerarsi a tutti gli effetti estinta.
In altri interventi (si veda “Società cancellata durante il processo: rebus riassunzione” del 15 marzo 2011), contrariamente a quanto esposto nella sentenza in commento, avevamo prospettato, con una motivazione accolta dalla giurisprudenza di merito, l’eventualità che, essendo la fattispecie paragonabile al decesso di una persona fisica senza eredi, il processo deve ritenersi estinto per cessazione della materia del contendere. A questo punto, a prescindere dalla tipologia di atto impugnato dalla società estinta (sia questo un accertamento o una cartella di pagamento), il Fisco dovrebbe notificare apposito atto dimostrando la sussistenza della responsabilità fiscale del socio o del liquidatore.
La Suprema Corte, in sostanza, ritiene che, da un lato, non vi può essere nessuna successione nel debito a titolo universale a carico dei soci, dall’altro, che la successione si verifica se e nei limiti in cui sussistono i presupposti di cui all’art. 2495 del codice civile, quindi se il socio ha riscosso somme in forza del bilancio finale di liquidazione. Nella specie, quindi, sarebbe stato ammissibile il ricorso per Cassazione notificato nei confronti dell’ex socio nella misura in cui il Fisco avesse dimostrato i requisiti ex art. 2495 c.c., nonostante il processo abbia avuto origine dall’impugnazione di un atto notificato alla società.
Principio incompatibile con il contenzioso tributario
Il tutto muove da una particolare interpretazione dell’art. 110 del codice di procedura civile, secondo cui “quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto”.In breve, si accoglie l’opinione in virtù della quale il legislatore, con l’articolo riportato, “ha scelto il successore universale al solo fine di proseguire l’attività processuale della parte venuta meno, perchè una successione universale c’è in ogni ipotesi di venir meno della parte, a prescindere dal fatto che il successore sia anche tale quanto al diritto controverso”.
Tutto quadrerebbe, se la causa riguardasse il processo civile, ma siamo nell’ambito fiscale, ove il processo non è un processo di accertamento ma di impugnazione, il cui oggetto è costituito dalla domanda di annullamento dell’atto.
Non è possibile sostenere, come fatto, che l’azione proposta dalla società avverso un suo atto possa proseguire nei confronti dei soci, posto che il presupposto per la loro responsabilità fiscale è del tutto diverso, essendo legata all’art. 2495 del codice civile o all’art. 36 del DPR 602/73. Inoltre, può non esserci coincidenza tra debito della società e somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione e ciò fa emergere ancor di più la traballanza di questa tesi (vi sarebbe, nel caso prospettato, una parziale cessazione della materia del contendere?).
Dando per buono quanto affermato, occorrerebbe allora che i soci riassumessero il processo, in quanto, se si opta per la tesi della successione, non può che verificarsi l’interruzione, essendo la situazione paragonata al caso dell’erede.
Al massimo, volendo proprio accogliere il menzionato principio, si potrebbe sostenere la tesi della successione nei debiti sociali nel caso delle società in nome collettivo, posto che i soci rispondono illimitatamente e solidalmente dei debiti tributari della società, ma questo è, come detto, un discorso non fattibile per il caso delle società di capitali.
Il problema deve essere per forza di cose risolto a livello legislativo: solo in questo modo si può determinare in che maniera la responsabilità può essere azionata nei confronti di soci e liquidatori, che cosa succede se la cancellazione avviene nelle more del processo e a quali termini l’azione del Fisco deve sottostare.
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