accertamento
La Cassazione «limita» l’emendabilità della dichiarazione
Possibilità di ritrattare circoscritta agli errori materiali o formali, ma preclusa a quelli espressione della volontà del contribuente
/ Sabato 12 maggio 2012
Con la sentenza n. 7294 di ieri, 11 maggio, la Corte di Cassazione ha fissato un limite invalicabile all’emendabilità della dichiarazione dei redditi da parte del contribuente: per i giudici del Palazzaccio, infatti, la possibilità di ritrattare è circoscritta a quegli errori riconducibili ad una non corretta esternazione di scienza e di giudizio, rimanendone preclusa, però, in relazione a quegli errori riferibili ad una manifestazione di volontà negoziale, come nel caso dell’eventuale esercizio dell’opzione per la compensazione delle perdite pregresse.
È principio ormai ampiamente consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, che la dichiarazione dei redditi sottoscritta dal contribuente non produce gli effetti negoziali della ricognizione di debito, ma si esaurisce in un’esternazione di scienza e di giudizio e, come tale, è sempre modificabile a seguito dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione dei fatti (cfr., su tutte, SS.UU. nn. 17394/2002 e 15063/2002).
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte ha stabilito che il predetto principio non opera automaticamente per tutto il contenuto della dichiarazione, ma deve circoscriversi a quelle fattispecie che tipicamente integrano errori materiali (ad esempio, di calcolo) o formali (ad esempio, in relazione all’individuazione della voce del modello ministeriale in cui inserire la componente di reddito). La ritrattabilità della dichiarazione, infatti, non può estendersi alle ipotesi in cui con la compilazione di un dato dichiarativo il contribuente manifesti la propria volontà negoziale, come nel caso di esercizio di una facoltà di opzione riconosciutagli dalle norme tributarie.
Da fatti di causa emerge che una spa, ai sensi dell’art. 102 del “vecchio” TUIR, aveva scelto, compilando il modello dichiarativo, di compensare il reddito del periodo d’imposta 1994 con le perdite derivanti dall’anno 1989, mentre le altre perdite relative agli anni dal 1990 al 1992 erano state indicate in dichiarazione come “da non compensare”. L’Amministrazione finanziaria, a seguito di controllo, però, aveva accertato che nel 1989 non era stata dichiarata una perdita ma un reddito, per cui la compensazione, così come indicata, non poteva essere corretta e, quindi, con la rettifica, è stato recuperato a tassazione tale importo erroneamente compensato.
La società deduceva che, in effetti, l’Ufficio avrebbe dovuto accorgersi che si era trattato di un’erronea imputazione delle perdite di un periodo d’imposta piuttosto che di un altro, essendo evidente che la volontà era quella di compensare il reddito del 1994 con le perdite degli anni precedenti.
La Cassazione, però, non ha condiviso tale assunto, stabilendo che, nel caso di specie, non era stato commesso un mero errore materiale di calcolo o formale obiettivamente rilevabile ed emendabile in ogni tempo, emergendo, invece, in modo oggettivo ed univoco la manifestazione della volontà del contribuente di imputare al solo 1989 la perdita detraibile, mantenendo impregiudicate quelle degli altri anni dal 1990 al 1992.
I giudici di piazza Cavour hanno concluso, quindi, che nell’ipotesi, come quella in oggetto, di errori afferenti a dati (in dichiarazione) espressivi della volontà del contribuente, quest’ultimo, qualora intenda contestare l’atto impositivo notificatogli dal Fisco per far valere l’errore commesso, deve dimostrare, secondo la disciplina dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427 e ss. c.c., la rilevanza dell’errore con riguardo al requisito dell’essenzialità e dell’obiettiva riconoscibilità (da valutarsi secondo la diligenza a cui è tenuta l’Amministrazione finanziaria).
Nel caso di specie, la società non aveva fornito tale prova ed, in particolare, non aveva dimostrato l’obiettiva riconoscibilità del suo errore da parte dell’Ufficio.
È principio ormai ampiamente consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, che la dichiarazione dei redditi sottoscritta dal contribuente non produce gli effetti negoziali della ricognizione di debito, ma si esaurisce in un’esternazione di scienza e di giudizio e, come tale, è sempre modificabile a seguito dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione dei fatti (cfr., su tutte, SS.UU. nn. 17394/2002 e 15063/2002).
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte ha stabilito che il predetto principio non opera automaticamente per tutto il contenuto della dichiarazione, ma deve circoscriversi a quelle fattispecie che tipicamente integrano errori materiali (ad esempio, di calcolo) o formali (ad esempio, in relazione all’individuazione della voce del modello ministeriale in cui inserire la componente di reddito). La ritrattabilità della dichiarazione, infatti, non può estendersi alle ipotesi in cui con la compilazione di un dato dichiarativo il contribuente manifesti la propria volontà negoziale, come nel caso di esercizio di una facoltà di opzione riconosciutagli dalle norme tributarie.
Da fatti di causa emerge che una spa, ai sensi dell’art. 102 del “vecchio” TUIR, aveva scelto, compilando il modello dichiarativo, di compensare il reddito del periodo d’imposta 1994 con le perdite derivanti dall’anno 1989, mentre le altre perdite relative agli anni dal 1990 al 1992 erano state indicate in dichiarazione come “da non compensare”. L’Amministrazione finanziaria, a seguito di controllo, però, aveva accertato che nel 1989 non era stata dichiarata una perdita ma un reddito, per cui la compensazione, così come indicata, non poteva essere corretta e, quindi, con la rettifica, è stato recuperato a tassazione tale importo erroneamente compensato.
La società deduceva che, in effetti, l’Ufficio avrebbe dovuto accorgersi che si era trattato di un’erronea imputazione delle perdite di un periodo d’imposta piuttosto che di un altro, essendo evidente che la volontà era quella di compensare il reddito del 1994 con le perdite degli anni precedenti.
La Cassazione, però, non ha condiviso tale assunto, stabilendo che, nel caso di specie, non era stato commesso un mero errore materiale di calcolo o formale obiettivamente rilevabile ed emendabile in ogni tempo, emergendo, invece, in modo oggettivo ed univoco la manifestazione della volontà del contribuente di imputare al solo 1989 la perdita detraibile, mantenendo impregiudicate quelle degli altri anni dal 1990 al 1992.
I giudici di piazza Cavour hanno concluso, quindi, che nell’ipotesi, come quella in oggetto, di errori afferenti a dati (in dichiarazione) espressivi della volontà del contribuente, quest’ultimo, qualora intenda contestare l’atto impositivo notificatogli dal Fisco per far valere l’errore commesso, deve dimostrare, secondo la disciplina dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427 e ss. c.c., la rilevanza dell’errore con riguardo al requisito dell’essenzialità e dell’obiettiva riconoscibilità (da valutarsi secondo la diligenza a cui è tenuta l’Amministrazione finanziaria).
Nel caso di specie, la società non aveva fornito tale prova ed, in particolare, non aveva dimostrato l’obiettiva riconoscibilità del suo errore da parte dell’Ufficio.
Da dimostrare la rilevanza dell’errore, se manifestazione di volontà
La sentenza di ieri rappresenta un arresto giurisprudenziale, destinato a segnare le scelte dei contribuenti ed anche le future controversie col Fisco: per la prima volta, infatti, la Cassazione delimita giurisprudenzialmente l’ambito operativo dell’emendabilità della dichiarazione del contribuente, che sino ad oggi si riteneva esteso all’intero contenuto della dichiarazione stessa. Se questa impostazione verrà confermata, invece, si creerà una discriminazione tra errori materiali o formali (come quelli di calcolo, di liquidazione, di inesatta qualificazione giuridica dei componenti di reddito o errata individuazione dei righi del modello ministeriale), che saranno sempre emendabili, ed errori afferenti a dati espressivi della volontà del contribuente (quali, ad esempio, quelli riconducibili all’esercizio di una facoltà di opzione), che saranno emendabili soltanto se questi ne dimostri l’essenzialità e l’obiettiva riconoscibilità.
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