Risarcimento danni non deducibile per l’ente finanziario
Per la C.T. Reg. di Torino, il costo è indeducibile perché l’operazione è avvenuta mediante transazione, perdendo così il requisito dell’inerenza
La recente sentenza della C.T. Reg. di Torino n. 101/27/11 del 13 dicembre 2011, già commentata su questo quotidiano per la parte inerente all’impossibilità di operare una svalutazione integrale del credito (si veda “Non è possibile svalutare integralmente un credito” dello scorso 23 gennaio), affronta anche un altro aspetto rilevante. Facendo seguito alla pronuncia della C.T. Prov. di Cuneo n. 71 del 4 agosto 2009, infatti, i giudici si sono pronunciati sulla deducibilità, in capo all’ente finanziario, del risarcimento danni (avvenuto mediante transazione) riconosciuto al proprio cliente a seguito della sottoscrizione di bond argentini.
Alla luce dei noti scandali finanziari degli ultimi anni (tra gli altri, Cirio, Argentina, Parmalat e Lehman Brothers), per prevenire eventuali vertenze da parte dei propri clienti, nonché per evitare sfiducia da parte dei risparmiatori, anche su esplicito impulso delle autorità competenti (ABI e ISVAP, ad esempio), gli operatori finanziari e le Compagnie di assicurazione si sono trovati a dover indennizzare i propri clienti in relazione alla perdita di valore causata da tali eventi.
Nel caso di specie, i giudici di merito, confermando la sentenza di primo grado, hanno affermato l’indeducibilità del costo per mancanza del requisito dell’inerenza, in quanto “il costo ha perduto, con la transazione effettuata tra la banca e l’investitore, ogni connotato di inerenza. Anche a voler intendere tale concetto in senso evolutivo con riguardo al collegamento con l’attività di impresa e non strettamente con la produzione del reddito, tuttavia la natura giuridica della erogazione da parte della banca è stata diretta ad evitare un danno meramente ipotetico e quindi non inevitabile”.
In tale contesto, i giudici avevano ribadito la sentenza di merito, che a sua volta aveva riconosciuto come deducibili le perdite su crediti, nate per effetto di accordi transattivi e vantati da una società italiana nei confronti della Libia. Il tutto in ragione:
- dei delicati rapporti creatisi all’epoca fra lo Stato libico e gli operatori commerciali degli altri Stati;
- della convenienza per la società convenuta di aderire alla transazione stipulata, al fine di salvaguardare i rapporti esistenti e la continuità degli stessi.
Le medesime motivazioni, nonché la necessità di evitare un danno d’immagine per la banca, non sono invece stati ritenuti elementi sufficienti dalla C.T. Reg. di Torino.
Ciò anche se, mediante la citata sentenza n. 23863/2007, la Corte Suprema ha sancito come sia sufficiente che “le perdite risultino documentate in modo certo e preciso, anche attraverso una transazione antieconomica, poiché possono rientrare nella strategia generale di un’impresa operazioni di per se stesse antieconomiche, ma concluse in vista di benefici economici su altri fronti”.
In tal senso, quindi, in sede di giudizio di legittimità si prospetta una revisione della sentenza in commento.
In ogni caso, al fine di poter evitare che l’operazione transattiva sia qualificata come “non inerente” perché, come recita la sentenza della C.T. Reg. in commento, “diretta ad evitare un danno meramente ipotetico e quindi non inevitabile”, si ritiene opportuno, per i soggetti che effettuino transazioni con i propri clienti, predisporre un’apposita documentazione che supporti la scelta intrapresa e dimostri, da un lato, l’effettività dei danni in caso di inerzia da parte della banca, e dall’altro il vantaggio economico della transazione, sia in termini di minori oneri rispetto ad un eventuale contenzioso, sia in termini di opportunità conseguenti al risarcimento in commento in ragione della garantita continuità dei rapporti e quindi della redditività degli stessi.
A tal fine, gli strumenti adatti a supportare tali ragioni economiche potrebbero essere perizie di valutazione ed eventuali scambi di corrispondenza intercorsi con il cliente, il quale abbia manifestato la possibilità di recedere dal rapporto, nonché eventuali ulteriori tentativi di transazione intercorsi tra le parti.
/ Giacomo D'ANGELO e Mario BONO
Alla luce dei noti scandali finanziari degli ultimi anni (tra gli altri, Cirio, Argentina, Parmalat e Lehman Brothers), per prevenire eventuali vertenze da parte dei propri clienti, nonché per evitare sfiducia da parte dei risparmiatori, anche su esplicito impulso delle autorità competenti (ABI e ISVAP, ad esempio), gli operatori finanziari e le Compagnie di assicurazione si sono trovati a dover indennizzare i propri clienti in relazione alla perdita di valore causata da tali eventi.
Nel caso di specie, i giudici di merito, confermando la sentenza di primo grado, hanno affermato l’indeducibilità del costo per mancanza del requisito dell’inerenza, in quanto “il costo ha perduto, con la transazione effettuata tra la banca e l’investitore, ogni connotato di inerenza. Anche a voler intendere tale concetto in senso evolutivo con riguardo al collegamento con l’attività di impresa e non strettamente con la produzione del reddito, tuttavia la natura giuridica della erogazione da parte della banca è stata diretta ad evitare un danno meramente ipotetico e quindi non inevitabile”.
La sentenza potrebbe essere ribaltata in sede di legittimità
La pronuncia in commento genera perplessità, anche in ragione di quanto affermato, per un caso simile, dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 19 novembre 2007, n. 23863.In tale contesto, i giudici avevano ribadito la sentenza di merito, che a sua volta aveva riconosciuto come deducibili le perdite su crediti, nate per effetto di accordi transattivi e vantati da una società italiana nei confronti della Libia. Il tutto in ragione:
- dei delicati rapporti creatisi all’epoca fra lo Stato libico e gli operatori commerciali degli altri Stati;
- della convenienza per la società convenuta di aderire alla transazione stipulata, al fine di salvaguardare i rapporti esistenti e la continuità degli stessi.
Le medesime motivazioni, nonché la necessità di evitare un danno d’immagine per la banca, non sono invece stati ritenuti elementi sufficienti dalla C.T. Reg. di Torino.
Ciò anche se, mediante la citata sentenza n. 23863/2007, la Corte Suprema ha sancito come sia sufficiente che “le perdite risultino documentate in modo certo e preciso, anche attraverso una transazione antieconomica, poiché possono rientrare nella strategia generale di un’impresa operazioni di per se stesse antieconomiche, ma concluse in vista di benefici economici su altri fronti”.
In tal senso, quindi, in sede di giudizio di legittimità si prospetta una revisione della sentenza in commento.
In ogni caso, al fine di poter evitare che l’operazione transattiva sia qualificata come “non inerente” perché, come recita la sentenza della C.T. Reg. in commento, “diretta ad evitare un danno meramente ipotetico e quindi non inevitabile”, si ritiene opportuno, per i soggetti che effettuino transazioni con i propri clienti, predisporre un’apposita documentazione che supporti la scelta intrapresa e dimostri, da un lato, l’effettività dei danni in caso di inerzia da parte della banca, e dall’altro il vantaggio economico della transazione, sia in termini di minori oneri rispetto ad un eventuale contenzioso, sia in termini di opportunità conseguenti al risarcimento in commento in ragione della garantita continuità dei rapporti e quindi della redditività degli stessi.
A tal fine, gli strumenti adatti a supportare tali ragioni economiche potrebbero essere perizie di valutazione ed eventuali scambi di corrispondenza intercorsi con il cliente, il quale abbia manifestato la possibilità di recedere dal rapporto, nonché eventuali ulteriori tentativi di transazione intercorsi tra le parti.
/ Giacomo D'ANGELO e Mario BONO
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