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mercoledì 1 febbraio 2012

accertamento

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Se accerta maggiori ricavi induttivi, l’Ufficio deve riconoscere i costi

Negli accertamenti analitici o analitico-presuntivi, invece, l’imprenditore deve dimostrare esistenza e inerenza di componenti negativi del reddito

/ Sabato 28 gennaio 2012
In caso di accertamento induttivo dei ricavi, il Fisco deve riconoscere al contribuente una quota proporzionale di costi. È quanto si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 1166, depositata di ieri.
Un contribuente aveva ricevuto un avviso di accertamento, con cui l’Ufficio aveva determinato maggiori ricavi attraverso il confronto dei documenti di trasporto con le fatture di vendita: erano emerse divergenze tra le quantità annotate nei primi documenti rispetto a quelle risultanti dalle seconde. L’Ufficio, pertanto, moltiplicando la differenza di quantità per il prezzo induttivamente calcolato del bene considerato, era così addivenuto alla determinazione dei maggiori ricavi accertati con metodo analitico-presuntivo (ex art. 39, comma 1, lettera d), del DPR 600/1973).
Avverso tale atto impositivo, proponeva ricorso il contribuente. La C.T. Prov., accogliendolo parzialmente, stabiliva che il Fisco, a fronte dell’accertamento effettuato, avrebbe dovuto riconoscere i costi inerenti ai maggiori ricavi presuntivamente determinati; a tal fine, i giudici di primo grado calcolavano, quindi, tali componenti negativi in relazione al rapporto proporzionale esistente tra i redditi e i costi indicati dal contribuente in dichiarazione. Opponeva allora gravame l’Agenzia delle Entrate, ma la C.T. Reg. confermava la decisione di primo grado.
L’Agenzia ricorreva per Cassazione, denunciando che i giudici di merito avevano erroneamente ammesso in deduzione dal reddito dei costi forfettariamente determinati, mentre l’accertamento posto in essere dall’Ufficio era stato di tipo analitico, il che rendeva applicabile la disposizione dell’allora articolo 75 (oggi 109) del TUIR, in base alla quale le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al Conto economico relativo all’esercizio di competenza; tuttavia, quei costi che, pur non risultando imputati al Conto economico, concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi. Riconoscendo costi in via induttiva e, quindi, in assenza dei predetti elementi, i giudici di merito, secondo la difesa erariale, avevano violato la citata disposizione.
La Cassazione, però, non ha ritenuto accoglibile il ricorso. Nella giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, deve ritenersi ormai pacifico il principio per cui, in caso di accertamento induttivo, ovvero di ricostruzione della situazione complessiva del contribuente, il Fisco deve tener conto anche delle componenti negative di reddito, atteso che, diversamente, si assoggetterebbe ad imposta il profitto lordo, anziché quello netto, in violazione dell’art. 53 della Costituzione (ex plurimis, Cass. n. 3995/2009, n. 28028/2008, n. 640/2001, n. 3317/1996). Né, peraltro, è di ostacolo al riconoscimento di detti costi la già citata disposizione per cui tali componenti negativi di reddito sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano imputati al Conto economico, atteso che la stessa Suprema Corte ha ripetutamente statuito che la predetta norma non è applicabile in caso di rettifica induttiva, in cui alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un’incidenza percentualizzata dei costi (Cass. n. 19062/2003, n. 3317/1996, n. 9581/1994, n. 3083/1992).
L’Agenzia aveva eccepito, nel suo ricorso, che l’accertamento posto in essere era stato di tipo analitico (rectius, analitico-presuntivo), sicché non avrebbe potuto applicarsi la regola di riconoscimento percentualizzato dei costi induttivi, prevista soltanto nel caso di accertamento induttivo. I giudici di merito, invece, l’avevano applicata ritenendo la procedura accertativa dell’Ufficio di tipo induttivo. In sede di ricorso di legittimità, la difesa erariale, per contrastare tale decisione, non aveva, però, né riportato la trascrizione integrale del contenuto dell’avviso di accertamento, da cui si sarebbe potuta desumere la natura analitica della rettifica, né aveva addotto gli elementi fattuali che avrebbero dovuto condurre i giudici di merito alla diversa qualificazione dell’accertamento. Il mezzo di ricorso, pertanto, è stato ritenuto insufficiente ai fini del vaglio di legittimità.
È opportuno evidenziare, dunque, che, alla luce di un simile quadro giurisprudenziale, l’Ufficio deve certamente riconoscere i costi percentualizzati ogniqualvolta accerti con metodo induttivo (cosiddetto “puro”) i ricavi, come nel caso d’inattendibilità delle scritture contabili (art. 39, comma 2, del DPR 600/1973), ovvero nell’ipotesi di omessa dichiarazione (art. 41 dello stesso Decreto), cioè qualora ricostruisca complessivamente la situazione del contribuente, prescindendo dalle scritture contabili (avvalendosi di una presunzione “semplicissima”); ma, come stabilito dalla stessa Cassazione con la sentenza n. 19524/2011, nella diversa ipotesi di accertamento non “del tutto induttivo”, ovvero di accertamenti analitici (art. 39, comma 1, lettere a), b), c), e d), primo periodo, del DPR 600/1973) o analitico-presuntivi (secondo periodo della lettera d), tale regola non trova applicazione, dovendo l’imprenditore, in tal caso, dimostrare l’esistenza e inerenza di componenti negativi del reddito (nello stesso senso: Cass. n. 3305/2009, n. 4218/2006).
 / Alessandro BORGOGLIO

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