Appello incidentale: il contribuente paga sempre il contributo
Occorre versare il tributo anche se con l’appello incidentale non si rientra nello scaglione superiore
A fronte di un’acuta domanda posta nel corso di Telefisco 2012, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha chiarito il problema circa la determinazione del contributo unificato nel caso di appello incidentale presentato dal contribuente.
Come noto, il contributo unificato va pagato per grado di giudizio, quindi, nella generalità delle ipotesi, una volta in primo grado una volta in appello.
Nel secondo grado di giudizio, può però sorgere la necessità di presentare appello per entrambe le parti, il che non è raro negli accertamenti presuntivi, ove il giudice riduce la pretesa, e sia il contribuente sia l’ente impositore hanno interesse ad una revisione della pronuncia.
La debenza del contributo unificato è però legata agli scaglioni di valore della causa, i quali sono indicati nella tabella allegata all’art. 13 co. 6-quater del DPR 115/2002, il che può porre problemi nel contenzioso tributario, il cui valore, a sua volta, è legato alla maggiore imposta richiesta nell’atto.
Il problema era stato posto in un precedente articolo (si veda “L’appello tributario deve fare «i conti» con il contributo unificato” del 17 settembre 2011), ed è stato risolto dal Ministero in senso sfavorevole al contribuente.
Vediamo nello specifico i termini della questione.
Nella domanda era stata prospettata la situazione di una causa del valore di 200.000,00 euro, con debenza del contributo nella misura di 500 euro (valore compreso tra 75.000 e 200.000 euro).
Si supponga che il giudice riduca l’accertamento dagli originari 200.000 euro a 80.000 euro (si rammenta che il valore della causa, ai fini del contributo unificato, è dato dalla sola maggiore imposta richiesta nell’atto, al netto di sanzioni e interessi).
Ora, l’Ufficio potrebbe appellare per 120.000 euro, e, costituendosi in giudizio per primo, dovrebbe prenotare a debito un contributo sempre di 500,00 euro. Però, anche il contribuente, magari stimolato dall’appello principale, potrebbe presentare, nelle controdeduzioni, appello incidentale, domandando l’intero annullamento dell’atto.
Ora, il valore dell’appello incidentale sarebbe di 80.000, ma il valore complessivo della causa rimarrebbe a nostro avviso di 200.000 euro.
La differenza tra le due possibili interpretazioni è lampante: in primo grado il valore è 200.000 euro, e il contribuente paga di certo il contributo pari a 500 euro. In appello, invece, aderendo a tale tesi, il contributo che entra nelle casse dello Stato è di 1.000 euro, in quanto si vaglia non il valore parametrato all’atto impugnato (sempre di 200.000) ma il valore dato dal ricorso in appello principale e incidentale (rispettivamente, di 120.000 e di 80.000).
A nostro avviso, tale tesi non può essere esente da critiche, siccome il valore della causa è sempre dato dall’atto; se l’appello è presentato da entrambe le parti, il valore è 200.000, e il contributo unificato, essendo dovuto con rinvio all’art. 12 del DLgs. 546/92, dovrebbe, nel nostro caso, rimanere fermo a 500 euro.
Alfio CISSELLO
Come noto, il contributo unificato va pagato per grado di giudizio, quindi, nella generalità delle ipotesi, una volta in primo grado una volta in appello.
Nel secondo grado di giudizio, può però sorgere la necessità di presentare appello per entrambe le parti, il che non è raro negli accertamenti presuntivi, ove il giudice riduce la pretesa, e sia il contribuente sia l’ente impositore hanno interesse ad una revisione della pronuncia.
La debenza del contributo unificato è però legata agli scaglioni di valore della causa, i quali sono indicati nella tabella allegata all’art. 13 co. 6-quater del DPR 115/2002, il che può porre problemi nel contenzioso tributario, il cui valore, a sua volta, è legato alla maggiore imposta richiesta nell’atto.
Il problema era stato posto in un precedente articolo (si veda “L’appello tributario deve fare «i conti» con il contributo unificato” del 17 settembre 2011), ed è stato risolto dal Ministero in senso sfavorevole al contribuente.
Vediamo nello specifico i termini della questione.
Nella domanda era stata prospettata la situazione di una causa del valore di 200.000,00 euro, con debenza del contributo nella misura di 500 euro (valore compreso tra 75.000 e 200.000 euro).
Si supponga che il giudice riduca l’accertamento dagli originari 200.000 euro a 80.000 euro (si rammenta che il valore della causa, ai fini del contributo unificato, è dato dalla sola maggiore imposta richiesta nell’atto, al netto di sanzioni e interessi).
Ora, l’Ufficio potrebbe appellare per 120.000 euro, e, costituendosi in giudizio per primo, dovrebbe prenotare a debito un contributo sempre di 500,00 euro. Però, anche il contribuente, magari stimolato dall’appello principale, potrebbe presentare, nelle controdeduzioni, appello incidentale, domandando l’intero annullamento dell’atto.
Ora, il valore dell’appello incidentale sarebbe di 80.000, ma il valore complessivo della causa rimarrebbe a nostro avviso di 200.000 euro.
Effetti pregiudizievoli per i contribuenti
In base alla tesi del Ministero, anche il contribuente dovrebbe pagare 500 euro di contributo unificato, in quanto il valore della causa è parametrato alla parte di sentenza impugnata, che nel nostro caso è di 120.000 per l’ente e di 80.000 per il contribuente.La differenza tra le due possibili interpretazioni è lampante: in primo grado il valore è 200.000 euro, e il contribuente paga di certo il contributo pari a 500 euro. In appello, invece, aderendo a tale tesi, il contributo che entra nelle casse dello Stato è di 1.000 euro, in quanto si vaglia non il valore parametrato all’atto impugnato (sempre di 200.000) ma il valore dato dal ricorso in appello principale e incidentale (rispettivamente, di 120.000 e di 80.000).
A nostro avviso, tale tesi non può essere esente da critiche, siccome il valore della causa è sempre dato dall’atto; se l’appello è presentato da entrambe le parti, il valore è 200.000, e il contributo unificato, essendo dovuto con rinvio all’art. 12 del DLgs. 546/92, dovrebbe, nel nostro caso, rimanere fermo a 500 euro.
Alfio CISSELLO
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