canone radiotelevisivo
Canone speciale Rai solo per chi compie «audizioni in luogo pubblico»
Parrebbe questa la conclusione più logica desumibile dalla norma, ma sugli avvisi inviati ai professionisti possessori di computer regna la confusione
/ Martedì 21 febbraio 2012
In questi giorni molti soggetti si sono visti recapitare l’invito a sottoscrivere l’abbonamento speciale Rai. Dallo spot mandato in onda sulle reti della tv di Stato, sembrerebbe che destinatari dell’obbligo siano soltanto i soggetti che, in qualche modo, potrebbero divulgare le trasmissioni televisive (alberghi, ristoranti, pubblici esercizi in genere). Invece, la richiesta del canone speciale pare poi rivolta, nei fatti, a chiunque disponga di un apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive. La confusione regna sovrana.
Il sito della Rai, alla voce “abbonamenti speciali”, recita testualmente: “Devono pagare il canone di abbonamento speciale coloro che detengono uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o comunque fuori dell’ambito familiare, o che li impiegano a scopo di lucro diretto o indiretto (R.D.L.21/02/1938 n.246 e D.L.Lt.21/12/1944 n.458)”.
Il riferimento è dunque al RDL n. 246/1938 e al DLgs. luogotenenziale n. 458/1944. In pieno conflitto bellico, mostrando una notevole lungimiranza, il Legislatore trovò il tempo per estendere il balzello del canone radio (la televisione non c’era ancora) agli utilizzi “non privati”. Trovandosi ad ascoltare la radio all’osteria o all’oratorio, migliaia di famiglie si sottraevano al pagamento del canone: da qui, l’inserimento di una norma volta a far pagare un abbonamento “speciale” al soggetto che, con o senza fine di lucro specifico, consentiva a soggetti terzi di avvalersi delle trasmissioni radiofoniche. Infatti, l’art. 2 del DLgs. luogotenenziale n. 458/1944 recita: ”Qualora le radioaudizioni siano effettuate in esercizi pubblici o in locali aperti al pubblico o comunque al di fuori dell’ambito familiare, o gli apparecchi radioriceventi siano impiegati a scopo di lucro diretto o indiretto, l’utente dovrà stipulare uno speciale contratto di abbonamento con la società concessionaria”. Questa norma ha, dunque, introdotto un duplice sistema: da una parte l’obbligo di pagare il canone per chi possiede o detiene apparecchi per uso familiare, dall’altra l’obbligo del canone “speciale” per chi effettua radioaudizioni al di fuori dell’ambito famigliare, indipendentemente dalla finalità.
In modo incoerente rispetto al sito aziendale, ma a nostro avviso correttamente, gli avvisi cartacei che la Rai ha mandato in circolazione non fanno riferimento al DLgs. luogotenziale citato, ma solo all’articolo 27 del RDL del 1938 (ambito applicativo) e all’art. 16 della L. n. 488/1999 (modalità di calcolo dell’importo dovuto). Quest’ultima norma fissa, infatti, la tariffa dell’abbonamento “speciale” in funzione delle categorie e delle caratteristiche degli esercizi commerciali, peraltro facendo ragionevolmente (date le finalità della norma) esclusivo riferimento ai “televisori”, nonostante nel 1999 i computer fossero già esistenti e connessi ad internet. Dovrebbe essere dirimente, però, proprio il fatto che l’invito a pagare contenga il riferimento al solo art. 27 del RDL n. 246/1938. Tale norma dispone, infatti, che “il canone di abbonamento dovuto per audizioni date in locali pubblici od aperti al pubblico è stabilito in ragione di anno solare ed è determinato mediante speciali convenzioni di abbonamento con la Società concessionaria”.
Sulla base di quanto sopra, a parere di chi scrive, con la piena disponibilità ad essere smentito sulla base di un adeguato supporto normativo, il canone speciale può essere richiesto solo con riferimento a soggetti in grado di porre in essere audizioni in locali pubblici o aperti al pubblico. Questa interpretazione avrebbe il pregio di essere logica, coerente con il dettato normativo, conforme allo spot divulgato dalla Rai e al fatto che, per ottenere il modulo per l’attivazione dell’abbonamento speciale sul sito della Rai, occorra cliccare in un box titolato “Esercizio commerciale” e non già “Titolare di partita IVA”.
Infine, si potrebbe dire per mero scrupolo difensivo, usando tutto l’armamentario giuridico-interpretativo-giurisprudenziale già sperimentato per l’IRAP, che – per imprenditori e professionisti individuali senza autonoma organizzazione – l’abbonamento Rai sottoscritto a fini familiari dovrebbe coprire almeno il pc portatile e il telefonino, posto che è ormai acquisito che il numero di apparecchi non influenza l’ammontare del canone di famiglia. Infatti, chi ha un televisore per stanza paga come chi ne ha uno in tutto.
Accogliendo una diversa interpretazione, si aprirebbe una discriminazione inaccettabile tra chi per lavorare ha dovuto aprire la partita IVA e chi, invece, è riuscito a farsi assumere (il computer gli è fornito dal datore di lavoro e può detenere in santa pace l’ipad personale in quanto apparecchio coperto dall’abbonamento di famiglia). Tuttavia, anche per questo, nonostante la crisi suggerisca di non obbligare gli operatori economici e i loro consulenti a spendere tempo e risorse in attività che nulla hanno a che fare con la sopravvivenza del loro business e dei connessi posti di lavoro, corre l’obbligo di chiudere avvertendo che è quantomai opportuno attendere i consueti auspicati chiarimenti ufficiali.
Il sito della Rai, alla voce “abbonamenti speciali”, recita testualmente: “Devono pagare il canone di abbonamento speciale coloro che detengono uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o comunque fuori dell’ambito familiare, o che li impiegano a scopo di lucro diretto o indiretto (R.D.L.21/02/1938 n.246 e D.L.Lt.21/12/1944 n.458)”.
Il riferimento è dunque al RDL n. 246/1938 e al DLgs. luogotenenziale n. 458/1944. In pieno conflitto bellico, mostrando una notevole lungimiranza, il Legislatore trovò il tempo per estendere il balzello del canone radio (la televisione non c’era ancora) agli utilizzi “non privati”. Trovandosi ad ascoltare la radio all’osteria o all’oratorio, migliaia di famiglie si sottraevano al pagamento del canone: da qui, l’inserimento di una norma volta a far pagare un abbonamento “speciale” al soggetto che, con o senza fine di lucro specifico, consentiva a soggetti terzi di avvalersi delle trasmissioni radiofoniche. Infatti, l’art. 2 del DLgs. luogotenenziale n. 458/1944 recita: ”Qualora le radioaudizioni siano effettuate in esercizi pubblici o in locali aperti al pubblico o comunque al di fuori dell’ambito familiare, o gli apparecchi radioriceventi siano impiegati a scopo di lucro diretto o indiretto, l’utente dovrà stipulare uno speciale contratto di abbonamento con la società concessionaria”. Questa norma ha, dunque, introdotto un duplice sistema: da una parte l’obbligo di pagare il canone per chi possiede o detiene apparecchi per uso familiare, dall’altra l’obbligo del canone “speciale” per chi effettua radioaudizioni al di fuori dell’ambito famigliare, indipendentemente dalla finalità.
In modo incoerente rispetto al sito aziendale, ma a nostro avviso correttamente, gli avvisi cartacei che la Rai ha mandato in circolazione non fanno riferimento al DLgs. luogotenziale citato, ma solo all’articolo 27 del RDL del 1938 (ambito applicativo) e all’art. 16 della L. n. 488/1999 (modalità di calcolo dell’importo dovuto). Quest’ultima norma fissa, infatti, la tariffa dell’abbonamento “speciale” in funzione delle categorie e delle caratteristiche degli esercizi commerciali, peraltro facendo ragionevolmente (date le finalità della norma) esclusivo riferimento ai “televisori”, nonostante nel 1999 i computer fossero già esistenti e connessi ad internet. Dovrebbe essere dirimente, però, proprio il fatto che l’invito a pagare contenga il riferimento al solo art. 27 del RDL n. 246/1938. Tale norma dispone, infatti, che “il canone di abbonamento dovuto per audizioni date in locali pubblici od aperti al pubblico è stabilito in ragione di anno solare ed è determinato mediante speciali convenzioni di abbonamento con la Società concessionaria”.
Sulla base di quanto sopra, a parere di chi scrive, con la piena disponibilità ad essere smentito sulla base di un adeguato supporto normativo, il canone speciale può essere richiesto solo con riferimento a soggetti in grado di porre in essere audizioni in locali pubblici o aperti al pubblico. Questa interpretazione avrebbe il pregio di essere logica, coerente con il dettato normativo, conforme allo spot divulgato dalla Rai e al fatto che, per ottenere il modulo per l’attivazione dell’abbonamento speciale sul sito della Rai, occorra cliccare in un box titolato “Esercizio commerciale” e non già “Titolare di partita IVA”.
Infine, si potrebbe dire per mero scrupolo difensivo, usando tutto l’armamentario giuridico-interpretativo-giurisprudenziale già sperimentato per l’IRAP, che – per imprenditori e professionisti individuali senza autonoma organizzazione – l’abbonamento Rai sottoscritto a fini familiari dovrebbe coprire almeno il pc portatile e il telefonino, posto che è ormai acquisito che il numero di apparecchi non influenza l’ammontare del canone di famiglia. Infatti, chi ha un televisore per stanza paga come chi ne ha uno in tutto.
Accogliendo una diversa interpretazione, si aprirebbe una discriminazione inaccettabile tra chi per lavorare ha dovuto aprire la partita IVA e chi, invece, è riuscito a farsi assumere (il computer gli è fornito dal datore di lavoro e può detenere in santa pace l’ipad personale in quanto apparecchio coperto dall’abbonamento di famiglia). Tuttavia, anche per questo, nonostante la crisi suggerisca di non obbligare gli operatori economici e i loro consulenti a spendere tempo e risorse in attività che nulla hanno a che fare con la sopravvivenza del loro business e dei connessi posti di lavoro, corre l’obbligo di chiudere avvertendo che è quantomai opportuno attendere i consueti auspicati chiarimenti ufficiali.
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