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venerdì 24 febbraio 2012

accertamento

Per il redditometro, va dimostrato il reddito derivante da società

Per la C.T. Prov. di Alessandria, bisogna provare che gli utili prelevati da una società partecipata sono stati dichiarati e assoggettati a tassazione
/ Giovedì 23 febbraio 2012
Il contribuente sottoposto ad accertamento redditometrico, che intende giustificare lo scostamento rispetto al suo reddito dichiarato attraverso un corposo prelievo di utili di esercizi precedenti da una società partecipata, deve provare che tali utili sono stati dichiarati ed assoggettati a tassazione, nonché effettivamente utilizzati per il mantenimento dei beni indice e gli incrementi patrimoniali contestati dal Fisco; in assenza di tale prova, l’accertamento risulta pienamente fondato. È quanto si desume dalla sentenza della C.T. Prov. di Alessandria n. 17/3/12 del 9 febbraio 2012.
L’Ufficio aveva effettuato il controllo della posizione fiscale di un contribuente avvalendosi del redditometro di cui al “vecchio” art. 38, comma 4 e ss. del DPR 600/1973 (ante riforma prevista dall’art. 22 del DL 78/2010). L’Agenzia delle Entrate aveva rilevato, in particolare, diversi beni indicatori di capacità contributiva contemplati dai vecchi decreti ministeriali del 1992, tra cui il possesso di un’immobile di circa 500mq, gravato da mutuo ipotecario con rate complessive di circa 15.000 euro nell’anno oggetto di controllo, oltre che diverse auto di grossissima cilindrata e incrementi patrimoniali di svariate migliaia di euro derivanti da acquisti di auto e di un’imbarcazione di circa 16 metri. A fronte del reddito dichiarato di poco più di 10.000 euro, l’Ufficio, sulla base della presunzione redditometrica fondata sui predetti elementi, lo aveva rideterminato nella misura di circa 150.000 euro.
Il contribuente impugnava l’avviso di accertamento, adducendo che un importo di circa 180.000 euro e, quindi, ben superiore al reddito accertato dall’Ufficio, era stato prelevato da una sas in cui deteneva una partecipazione. In particolare, tale somma sarebbe derivata da un’asserita riserva di utili di esercizi precedenti della predetta società. Il contribuente, così, riteneva di aver giustificato il reddito con cui era stata finanziata la spesa per gli incrementi patrimoniali ed il mantenimento dei beni indicatori di capacità contributiva contestati dal Fisco. Di tutto ciò, esibiva solo la scheda di mastro di tale sas relativa ai prelevamenti soci, tra cui vi era, appunto, quello del ricorrente.
I giudici di primo grado hanno ricordato, innanzitutto, che l’utile conseguito da una sas è generalmente ripartito tra i soci in proporzione alla quota di partecipazione di ognuno e, anche se tale utile viene accantonato come riserva di bilancio, ogni socio deve dichiarare la sua quota parte, inserendo l’importo tra i redditi di partecipazione da indicare nel quadro H del modello UNICO. Alla luce di ciò, il collegio ha osservato che, se la predetta somma prelevata dal ricorrente presso la società deriva da una simile riserva di utili pregressi appostata in bilancio, si tratterebbe di utili già assoggettati ad imposizione negli anni precedenti e desumibili dalle dichiarazioni del ricorrente dei precedenti periodi d’imposta; dichiarazioni che, però, non sono state né richiamate né citate né esibite. Tale circostanza, secondo il collegio di prime cure, è assai singolare, dato che la dichiarazione presentata per l’anno oggetto di accertamento non conteneva l’indicazione di alcun reddito di partecipazione in società.
La C.T. Prov. ha aggiunto, poi, che neppure era stato allegato lo statuto di tale sas, da cui si sarebbero potute desumere e confermare le modalità di riparto degli utili e di accantonamento delle riserve. In conclusione, secondo i giudici provinciali, il ricorrente, con la documentazione allegata, aveva solo dimostrato che era stato effettuato il prelevamento di utili pregressi della riserva della sas partecipata, ma non aveva provato che tali utili erano stati correttamente dichiarati e, quindi, già tassati negli anni precedenti, né aveva dimostrato che tale somma fosse stata usata per finanziarie gli incrementi patrimoniali ed il mantenimento delle auto e dell’immobile contestati dal Fisco. Il ricorso, pertanto, è stato respinto ed il contribuente è stato condannato a pagare consistenti spese di giudizio.
In proposito, si osserva che il nuovo redditometro, a differenza di quello precedente, a cui si riferiscono i fatti di causa, non prevede più la ripartizione della spesa per incrementi patrimoniali sugli ultimi cinque anni da quello in cui si è verificato tale incremento (ex art. 38, comma 5 del DPR 600/1973 ante riforma); ora, infatti, tale spesa assume integralmente rilievo nell’anno in cui si manifesta, salva la prova contraria da parte del contribuente.
Inoltre, mentre con la precedente disciplina il contribuente aveva solo la facoltà di dimostrare che il maggior reddito determinato sinteticamente era costituito in tutto o in parte da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo  d’imposta (dimostrazione che, nel caso oggetto della pronuncia odierna, non era riuscita), con il “nuovo” redditometro, invece, sembra ampliarsi il campo probatorio a disposizione del contribuente, giacché la prova contraria può essere fornita attraverso la dimostrazione di redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile (“nuovo” art. 38, comma 4 del DPR 600/1973).

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