penale tributario
L’accertamento con adesione può «salvare» dall’evasione fiscale
Secondo la Cassazione, l’accertamento con adesione aveva ridotto l’importo preteso dall’Ufficio ben al di sotto della soglia di punibilità
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5640 depositata ieri, pur sostenendo la tesi dell’autonomia di valutazione del giudice penale rispetto all’atto impositivo, ha confermato la mancata sussistenza degli elementi tipici della dichiarazione fraudolenta in capo a quel contribuente che, aderendo all’accertamento con adesione, aveva fatto scendere sensibilmente al di sotto della soglia di punibilità l’importo preteso dalla competente Amministrazione finanziaria.
La Suprema Corte, dopo aver circoscritto l’ambito applicativo del giudicato alle ipotesi normative contenute negli articoli 4 e 5 del DLgs. n. 74/2000, e riconoscendo alla soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa una condizione oggettiva di punibilità (come tale, fuori dalla rappresentazione del fatto da parte del soggetto agente), evidenzia come la “compressione” al di sotto di tale soglia sia presidiata da importanti risvolti civilistici della violazione posti a carico del contribuente.
Proprio in tale contesto, i giudici richiamano la sentenza n. 25213 del 23 giugno 2011, secondo cui se, “per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto”. Ma ancora più evidente è il collegamento con la sentenza n. 15164 del 2003, ove i giudici hanno evidenziato che il superamento della soglia non fa parte del contenuto offensivo della fattispecie e “non si richiede, pertanto, nel soggetto agente la rappresentazione dell’ammontare del contributo evaso, ma la sola finalizzazione della condotta all’evasione ed il reato si perfeziona nel momento in cui la condizione si verifica, pure se essa non è voluta dall’agente medesimo”.
In particolare, questo il passaggio importante della pronuncia, se dal lato “attivo” il giudice penale può avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli Uffici finanziari, è altrettanto vero, dal lato “passivo”, che lo stesso giudice (penale) può eventualmente addivenire ad un convincimento diverso e ritenere superata la soglia di punibilità per essere l’ammontare dell’imposta evasa superiore a quella accertata nel giudizio tributario. In altri termini, il giudice penale non è certamente vincolato all’accertamento del giudice tributario, ma non può non tenerne conto.
/ Vincenzo CRISTIANO
FONTE : EUTEKNE
La Suprema Corte, dopo aver circoscritto l’ambito applicativo del giudicato alle ipotesi normative contenute negli articoli 4 e 5 del DLgs. n. 74/2000, e riconoscendo alla soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa una condizione oggettiva di punibilità (come tale, fuori dalla rappresentazione del fatto da parte del soggetto agente), evidenzia come la “compressione” al di sotto di tale soglia sia presidiata da importanti risvolti civilistici della violazione posti a carico del contribuente.
Proprio in tale contesto, i giudici richiamano la sentenza n. 25213 del 23 giugno 2011, secondo cui se, “per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto”. Ma ancora più evidente è il collegamento con la sentenza n. 15164 del 2003, ove i giudici hanno evidenziato che il superamento della soglia non fa parte del contenuto offensivo della fattispecie e “non si richiede, pertanto, nel soggetto agente la rappresentazione dell’ammontare del contributo evaso, ma la sola finalizzazione della condotta all’evasione ed il reato si perfeziona nel momento in cui la condizione si verifica, pure se essa non è voluta dall’agente medesimo”.
In particolare, questo il passaggio importante della pronuncia, se dal lato “attivo” il giudice penale può avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli Uffici finanziari, è altrettanto vero, dal lato “passivo”, che lo stesso giudice (penale) può eventualmente addivenire ad un convincimento diverso e ritenere superata la soglia di punibilità per essere l’ammontare dell’imposta evasa superiore a quella accertata nel giudizio tributario. In altri termini, il giudice penale non è certamente vincolato all’accertamento del giudice tributario, ma non può non tenerne conto.
Per tenere conto della pretesa iniziale servono elementi concreti
Alla luce delle considerazioni svolte, i giudici della Corte di Cassazione (sez. III, penale) hanno precisato che “l’accertamento con adesione e ogni forma di concordato fiscale si collocano sul crinale della distinzione appena tracciata: c’è un’iniziale pretesa tributaria che poi viene ridimensionata non già dal giudice tributario, ma da un atto negoziale concordato tra le parti del rapporto. Nondimeno il giudice penale non è vincolato all’imposta così «accertata»; ma per discostarsi dal dato quantitativo risultante dall’accertamento con adesione o dal concordato fiscale, per tener conto, invece, dell’iniziale pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria al fine della verifica della soglia di punibilità prevista dagli artt. 4 e 5 citati, occorre che risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta dovuta”/ Vincenzo CRISTIANO
FONTE : EUTEKNE
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