Liquidazione trimestrale IVA, conta il volume d’affari
Con la risoluzione n. 15 diffusa ieri, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che non si deve fare riferimento ai ricavi
L’Amministrazione finanziaria, con la risoluzione n. 15/2012 (http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/5e396c004a27017486fea7a7ae7bbfda/RIS+15e+del+13+02+12.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=5e396c004a27017486fea7a7ae7bbfda ) di ieri, ha fornito la propria interpretazione in merito all’applicazione dell’art. 14, comma 11, della L. n. 183/2011 (Legge di stabilità 2012), secondo cui “i limiti per la liquidazione trimestrale dell’Iva sono i medesimi di quelli fissati per il regime di contabilità semplificata”.
In primo luogo, il documento di prassi ha osservato come la novità legislativa abbia posto fine al disallineamento tra la disciplina IVA e quella delle imposte dirette, generato dall’art. 7, comma 2, lett. m), del DL n. 70/2011 (Decreto Sviluppo). Tale disposizione, come si ricorderà, aveva innalzato la soglia massima dei ricavi per poter accedere al regime della contabilità semplificata (art. 18 del DPR n. 600/1973) ai seguenti importi, differenziati in base alla tipologia dell’attività esercitata:
- prestazioni di servizi, individuate sulla base del DM 17 gennaio 1992: 400.000 euro (in luogo di 309.874,14 euro);
- altre attività: 700.000 euro (invece di 516.456,90 euro).
Sul punto, si rammenta che tale parametro opera anche nei confronti dei soggetti che svolgono contemporaneamente attività di servizi e non, senza avvalersi della distinta annotazione dei corrispettivi (risoluzione Agenzia delle Entrate n. 293/2007 e circolare n. 80/2001).
L’adeguamento effettuato dal Decreto Sviluppo aveva, tuttavia, mantenuto inalterati i limiti di volume d’affari previsti dall’art. 7 del DPR n. 542/1999, che consente ai contribuenti di minori dimensioni di effettuare le liquidazioni e i versamenti dell’IVA – maggiorati dell’1% a titolo d’interesse, non deducibile ai fini delle imposte sui redditi – con periodicità trimestrale, anziché mensile, ovvero entro il 16 del secondo mese successivo a ciascuno dei primi tre trimestri solari. Il predetto art. 14, comma 11, della L. n. 183/2011 ha pertanto ovviato a tale circostanza riallineando, a decorrere dal 1° gennaio 2012, i limiti ai fini dell’IVA e delle imposte dirette, pur lasciando alcuni dubbi operativi, affrontati proprio dalla risoluzione n. 15/2012.
Innanzitutto, è stato chiarito che – sebbene quest’ultima modifica normativa sia stata introdotta autonomamente, senza intervenire direttamente sull’art. 7 del DPR n. 542/1999 – è a quest’ultimo che si deve fare esclusivo riferimento, per individuare il parametro al quale devono essere ricollegate le nuove soglie. Di conseguenza, il richiamo (operato dalla citata disposizione della Legge di stabilità 2012) ai limiti “fissati per il regime di contabilità semplificata” non implica che a rilevare, ai fini della determinazione della periodicità degli adempimenti IVA, sia l’importo dei ricavi di cui agli artt. 57 e 85 del DPR n. 917/1986. Diversamente, continua ad operare soltanto il parametro del volume d’affari, individuato a norma dell’art. 20 del DPR n. 633/1972, rappresentato dall’ammontare delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi poste in essere nell’anno solare, con esclusione, quindi, delle vendite di beni ammortizzabili, dei passaggi interni di beni di cui al successivo art. 36, ultimo comma, e delle prestazioni di servizi rese a soggetti stabiliti in un altro Stato comunitario, non soggette ad imposta a norma dell’art. 7-ter del predetto Decreto IVA.
L’Agenzia delle Entrate si è, infine, soffermata sull’eventuale possibilità, per i contribuenti trimestrali, di continuare a differire al 16 marzo dell’anno successivo il versamento del saldo del periodo d’imposta: è stato osservato, in particolare, che l’innalzamento dei suddetti limiti opera anche ai fini dell’applicazione dell’art. 7, comma 1, lett. b), del DPR n. 542/1999. Pertanto, i soggetti passivi che non hanno superato tali soglie, e optano per la periodicità trimestrale, devono versare l’eventuale eccedenza a debito entro il 16 marzo dell’anno successivo – con la maggiorazione dell’1% – oppure non oltre il termine di pagamento delle somme dovute in base alla dichiarazione unificata, se hanno aderito a tale facoltà: al ricorrere di quest’ultima ipotesi, sono tenuti a corrispondere, oltre alla citata maggiorazione, anche quella ulteriore dello 0,40% per ogni mese, o frazione dello stesso, qualora il versamento del saldo venga eseguito dopo il 16 marzo.
/ Michele BANA
FONTE : EUTEKNE
In primo luogo, il documento di prassi ha osservato come la novità legislativa abbia posto fine al disallineamento tra la disciplina IVA e quella delle imposte dirette, generato dall’art. 7, comma 2, lett. m), del DL n. 70/2011 (Decreto Sviluppo). Tale disposizione, come si ricorderà, aveva innalzato la soglia massima dei ricavi per poter accedere al regime della contabilità semplificata (art. 18 del DPR n. 600/1973) ai seguenti importi, differenziati in base alla tipologia dell’attività esercitata:
- prestazioni di servizi, individuate sulla base del DM 17 gennaio 1992: 400.000 euro (in luogo di 309.874,14 euro);
- altre attività: 700.000 euro (invece di 516.456,90 euro).
Sul punto, si rammenta che tale parametro opera anche nei confronti dei soggetti che svolgono contemporaneamente attività di servizi e non, senza avvalersi della distinta annotazione dei corrispettivi (risoluzione Agenzia delle Entrate n. 293/2007 e circolare n. 80/2001).
L’adeguamento effettuato dal Decreto Sviluppo aveva, tuttavia, mantenuto inalterati i limiti di volume d’affari previsti dall’art. 7 del DPR n. 542/1999, che consente ai contribuenti di minori dimensioni di effettuare le liquidazioni e i versamenti dell’IVA – maggiorati dell’1% a titolo d’interesse, non deducibile ai fini delle imposte sui redditi – con periodicità trimestrale, anziché mensile, ovvero entro il 16 del secondo mese successivo a ciascuno dei primi tre trimestri solari. Il predetto art. 14, comma 11, della L. n. 183/2011 ha pertanto ovviato a tale circostanza riallineando, a decorrere dal 1° gennaio 2012, i limiti ai fini dell’IVA e delle imposte dirette, pur lasciando alcuni dubbi operativi, affrontati proprio dalla risoluzione n. 15/2012.
Innanzitutto, è stato chiarito che – sebbene quest’ultima modifica normativa sia stata introdotta autonomamente, senza intervenire direttamente sull’art. 7 del DPR n. 542/1999 – è a quest’ultimo che si deve fare esclusivo riferimento, per individuare il parametro al quale devono essere ricollegate le nuove soglie. Di conseguenza, il richiamo (operato dalla citata disposizione della Legge di stabilità 2012) ai limiti “fissati per il regime di contabilità semplificata” non implica che a rilevare, ai fini della determinazione della periodicità degli adempimenti IVA, sia l’importo dei ricavi di cui agli artt. 57 e 85 del DPR n. 917/1986. Diversamente, continua ad operare soltanto il parametro del volume d’affari, individuato a norma dell’art. 20 del DPR n. 633/1972, rappresentato dall’ammontare delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi poste in essere nell’anno solare, con esclusione, quindi, delle vendite di beni ammortizzabili, dei passaggi interni di beni di cui al successivo art. 36, ultimo comma, e delle prestazioni di servizi rese a soggetti stabiliti in un altro Stato comunitario, non soggette ad imposta a norma dell’art. 7-ter del predetto Decreto IVA.
Prestazioni di servizi con limite a 400mila euro, 700mila per altre attività
In altri termini, come precisato dalla risoluzione n. 15/2012, la facoltà di liquidare trimestralmente l’IVA è riconosciuta ai soggetti passivi che, nell’anno solare precedente, hanno realizzato un volume d’affari non superiore a 400.000 euro nel caso di impresa avente ad oggetto un’attività di prestazioni di servizi, 700.000 euro nelle altre ipotesi. È stato altresì precisato che, in relazione alla fattispecie del contemporaneo svolgimento di entrambe le tipologie di attività, senza distinta annotazione dei corrispettivi, il limite di cui all’art. 7, comma 2, del DPR n. 542/1999 è elevato a 700.000 euro.L’Agenzia delle Entrate si è, infine, soffermata sull’eventuale possibilità, per i contribuenti trimestrali, di continuare a differire al 16 marzo dell’anno successivo il versamento del saldo del periodo d’imposta: è stato osservato, in particolare, che l’innalzamento dei suddetti limiti opera anche ai fini dell’applicazione dell’art. 7, comma 1, lett. b), del DPR n. 542/1999. Pertanto, i soggetti passivi che non hanno superato tali soglie, e optano per la periodicità trimestrale, devono versare l’eventuale eccedenza a debito entro il 16 marzo dell’anno successivo – con la maggiorazione dell’1% – oppure non oltre il termine di pagamento delle somme dovute in base alla dichiarazione unificata, se hanno aderito a tale facoltà: al ricorrere di quest’ultima ipotesi, sono tenuti a corrispondere, oltre alla citata maggiorazione, anche quella ulteriore dello 0,40% per ogni mese, o frazione dello stesso, qualora il versamento del saldo venga eseguito dopo il 16 marzo.
/ Michele BANA
FONTE : EUTEKNE
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