Diritto societario
Liquidatore/amministratore responsabile se si costituisce dopo l’estinzione
Il Tribunale di Ravenna condanna il liquidatore (prima amministratore) al pagamento del credito già accertato nei confronti della società estinta
È responsabile dei crediti accertati nei confronti della società il liquidatore della stessa, nonché socio all’80% e, in precedenza, anche amministratore, che, rimasto contumace nel giudizio promosso quando la società era ancora operativa, si costituisce in giudizio dopo la cancellazione dal Registro delle imprese omettendo di riferire il verificarsi della vicenda estintiva.
A precisarlo è una recente decisione del Tribunale di Ravenna in composizione monocratica – l’ordinanza, infatti, è stata resa il 20 gennaio 2012, ex artt. 702-bis e 702-ter c.p.c. (procedimento sommario di cognizione) – in relazione ad un caso in cui l’acquirente di un immobile agiva in giudizio nei confronti della società immobiliare venditrice per ottenere la riduzione del prezzo di acquisto dello stesso e la restituzione della somma corrispondente. La società immobiliare – che restava inizialmente contumace e si costituiva soltanto successivamente alla sua estinzione – veniva condannata al pagamento di circa 70.000 euro. La sentenza, decorsi i termini per l’impugnazione, passava in giudicato; essa, tuttavia, risultava pronunciata nei confronti di un soggetto (la società) non più esistente. Il creditore, quindi, adiva nuovamente la via giudiziaria per far valere il proprio credito nei confronti del liquidatore, dipendendo dalla colpa dello stesso il mancato pagamento.
Nella disciplina disegnata dal Legislatore della riforma del diritto societario – osserva in via preliminare il giudice ravennate – l’estinzione della società e l’esistenza di debiti sono fattispecie ontologicamente compatibili, sicché la persona giuridica può estinguersi anche in presenza di passività attuali o potenziali. Il Legislatore, quindi, ha scelto di privilegiare, tra i vari interessi, la certezza dei rapporti giuridici, che sarebbe compromessa ammettendo la permanenza in vita della società senza limiti temporali nonostante la cancellazione, seppure tale scelta lasci molti dubbi in ordine all’idoneità ad assicurare un’adeguata tutela ai creditori sociali. Questi, infatti, non esistendo più un patrimonio sociale distinto da quello personale dei soci, possono far valere i loro crediti soltanto nei confronti dei soci, fino a concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ovvero nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa.
In relazione a quest’ultimo profilo, occorre rilevare che la responsabilità del liquidatore attiene ad un’ipotesi di lesione del diritto di credito e che la stessa deve ravvisarsi anche quando il liquidatore abbia proceduto al riparto finale di liquidazione e alla cancellazione della società pur essendo consapevole – ovvero dovendolo essere sulla base della diligenza professionale – dell’esistenza di passività anche solo potenziali.
Non è, allora, reputato dubitabile che il liquidatore di una società della quale era socio con una quota dell’80% e, in precedenza, anche amministratore, rimasto contumace nel giudizio promosso quando la società era ancora operativa, e poi costituitosi in giudizio dopo l’estinzione della stessa senza nulla riferire in ordine a tale vicenda, debba ritenersi responsabile per i crediti accertati nei confronti della società.
Il liquidatore, quindi, viene condannato al pagamento del credito nella misura già determinata dalla sentenza pronunciata contro la società (oltre interessi e spese).
Per inciso, peraltro, il giudice si chiede se la costituzione in giudizio, in assenza di qualsiasi legittimazione societaria, non avesse potuto rendere possibile, già in quella sede, un’estensione della domanda, rivolta alla società, nei suoi confronti, quale liquidatore, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2489 e 2495 c.c.
/ Maurizio MEOLI
A precisarlo è una recente decisione del Tribunale di Ravenna in composizione monocratica – l’ordinanza, infatti, è stata resa il 20 gennaio 2012, ex artt. 702-bis e 702-ter c.p.c. (procedimento sommario di cognizione) – in relazione ad un caso in cui l’acquirente di un immobile agiva in giudizio nei confronti della società immobiliare venditrice per ottenere la riduzione del prezzo di acquisto dello stesso e la restituzione della somma corrispondente. La società immobiliare – che restava inizialmente contumace e si costituiva soltanto successivamente alla sua estinzione – veniva condannata al pagamento di circa 70.000 euro. La sentenza, decorsi i termini per l’impugnazione, passava in giudicato; essa, tuttavia, risultava pronunciata nei confronti di un soggetto (la società) non più esistente. Il creditore, quindi, adiva nuovamente la via giudiziaria per far valere il proprio credito nei confronti del liquidatore, dipendendo dalla colpa dello stesso il mancato pagamento.
Nella disciplina disegnata dal Legislatore della riforma del diritto societario – osserva in via preliminare il giudice ravennate – l’estinzione della società e l’esistenza di debiti sono fattispecie ontologicamente compatibili, sicché la persona giuridica può estinguersi anche in presenza di passività attuali o potenziali. Il Legislatore, quindi, ha scelto di privilegiare, tra i vari interessi, la certezza dei rapporti giuridici, che sarebbe compromessa ammettendo la permanenza in vita della società senza limiti temporali nonostante la cancellazione, seppure tale scelta lasci molti dubbi in ordine all’idoneità ad assicurare un’adeguata tutela ai creditori sociali. Questi, infatti, non esistendo più un patrimonio sociale distinto da quello personale dei soci, possono far valere i loro crediti soltanto nei confronti dei soci, fino a concorrenza delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, ovvero nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa.
In relazione a quest’ultimo profilo, occorre rilevare che la responsabilità del liquidatore attiene ad un’ipotesi di lesione del diritto di credito e che la stessa deve ravvisarsi anche quando il liquidatore abbia proceduto al riparto finale di liquidazione e alla cancellazione della società pur essendo consapevole – ovvero dovendolo essere sulla base della diligenza professionale – dell’esistenza di passività anche solo potenziali.
Non è, allora, reputato dubitabile che il liquidatore di una società della quale era socio con una quota dell’80% e, in precedenza, anche amministratore, rimasto contumace nel giudizio promosso quando la società era ancora operativa, e poi costituitosi in giudizio dopo l’estinzione della stessa senza nulla riferire in ordine a tale vicenda, debba ritenersi responsabile per i crediti accertati nei confronti della società.
Da valutare un’estensione della domanda nel corso del giudizio
L’originaria contumacia della società della quale il soggetto in questione era amministratore, infatti, nonché la successiva costituzione nella sua qualità di liquidatore, ma quando la società era stata già cancellata dal Registro delle imprese – al di là delle considerazioni sulla diligenza del difensore che assumeva l’incarico a fronte di una quantomeno “dubbia” legittimazione ad agire del proprio cliente – evidenziano una condotta significativamente colpevole rispetto alla lesione del diritto di credito, seppure ancora potenziale; condotta sostanzialmente preordinata ad impedire eventuali iniziative, all’epoca possibili, nei confronti della società, ex art. 10 del RD 267/42 (in tema di fallimento dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio dell’impresa), ovvero ad ottenere un titolo esecutivo nei suoi stessi confronti, nella qualità di liquidatore, con notevole anticipo rispetto a quanto accaduto.Il liquidatore, quindi, viene condannato al pagamento del credito nella misura già determinata dalla sentenza pronunciata contro la società (oltre interessi e spese).
Per inciso, peraltro, il giudice si chiede se la costituzione in giudizio, in assenza di qualsiasi legittimazione societaria, non avesse potuto rendere possibile, già in quella sede, un’estensione della domanda, rivolta alla società, nei suoi confronti, quale liquidatore, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2489 e 2495 c.c.
/ Maurizio MEOLI
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