ilcasodelgiorno
Utili extracontabili attribuibili ai soci se l’accertamento alla società è definitivo
Nell’attesa che il reddito accertato in capo alla società diventi definitivo, i giudici di merito devono sospendere il giudizio nei confronti del socio
/ Venerdì 24 febbraio 2012
I giudici di merito devono sospendere il giudizio nei confronti del socio di società di capitali a ristretta base partecipativa nell’attesa che diventi definitivo il reddito accertato in capo alla società stessa. Lo conferma l’ordinanza n. 1867 dell’8 febbraio scorso della Corte di Cassazione, pronunciatasi in merito all’annosa questione della presunta attribuzione di utili extrabilancio distribuiti ai soci.
L’ordinanza merita attenzione poiché, si spera, mette fine al procedimento eseguito dall’Amministrazione finanziaria, che emette, in ogni caso, gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci come conseguenza del maggior reddito accertato sulla società.
Il caso posto all’attenzione della Suprema Corte riguarda un accertamento effettuato nei confronti di una società di capitali. Sulla base di detto accertamento e del presupposto che l’ente si considera a ristretta base azionaria, l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento nei confronti del socio, recante un maggior reddito di partecipazione. Espletato il primo grado di giudizio, la Commissione tributaria regionale annulla l’accertamento della società. Pur non essendo il giudizio definitivo, i giudici di secondo grado annullano anche l’atto riguardante il socio.
Contro questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassare la sentenza della Regionale, rilevando che questa erroneamente ha annullato l’accertamento in capo al socio in conformità ad una pronuncia non definitiva. Ancora, l’Ufficio ritiene che i giudici d’appello avrebbero dovuto sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., dove è disposto che il giudice sospende il processo “in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. Nel caso di specie, bisognava attendere che il giudizio della società, quindi, divenisse definitivo.
I giudici della legge hanno accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, stabilendo che la Commissione d’appello ha erroneamente considerato definitiva la sentenza emessa nei confronti della società, tanto da ritenerla valida per annullare l’accertamento, per lo stesso anno, del socio della stessa. Per il caso in esame e sulla base dell’ormai pacifico principio, i giudici di merito avrebbero dovuto sospendere il giudizio nei confronti del socio, in attesa della definizione del reddito della società a ristretta compagine sociale.
Le controversie di questo genere si possono facilmente riscontrare nel “panorama” del contenzioso tributario. Infatti, spesso, l’Ufficio, richiamando nelle motivazioni dell’avviso di accertamento alcune sentenze di Cassazione, peraltro superate, imputa pro quota il reddito accertato ai soci della società a ristretta base azionaria, sulla legittimità della presunzione di distribuzione di utili non contabilizzati, ma riscontrati in sede di accertamento sulla società stessa. In più, non dimostra l’effettiva percezione di questi dividendi da parte dei soci. In sostanza, nella motivazione dell’atto si considera (presunzione semplice) che la società è costituita a ristretta base sociale, ma manca del tutto uno specifico accertamento probatorio che attesti l’iter logico-giuridico che porta l’Ufficio ad esprimersi in tal senso.
La giurisprudenza di legittimità, in proposito, detta un principio corretto: gli utili extracontabili accertati nei confronti di una società di capitali a base ristretta e/o familiare possono essere legittimamente attribuiti ai soci solamente se esiste a carico della società un accertamento divenuto definitivo. (cfr. Cass. n. 20870 dell’8 ottobre 2010).
L’ordinanza esaminata, dunque, viene salutata con favore nella speranza che, in futuro, l’Ufficio, prima di emettere gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci, attenda la sentenza definitiva della società.
L’ordinanza merita attenzione poiché, si spera, mette fine al procedimento eseguito dall’Amministrazione finanziaria, che emette, in ogni caso, gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci come conseguenza del maggior reddito accertato sulla società.
Il caso posto all’attenzione della Suprema Corte riguarda un accertamento effettuato nei confronti di una società di capitali. Sulla base di detto accertamento e del presupposto che l’ente si considera a ristretta base azionaria, l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento nei confronti del socio, recante un maggior reddito di partecipazione. Espletato il primo grado di giudizio, la Commissione tributaria regionale annulla l’accertamento della società. Pur non essendo il giudizio definitivo, i giudici di secondo grado annullano anche l’atto riguardante il socio.
Contro questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassare la sentenza della Regionale, rilevando che questa erroneamente ha annullato l’accertamento in capo al socio in conformità ad una pronuncia non definitiva. Ancora, l’Ufficio ritiene che i giudici d’appello avrebbero dovuto sospendere il giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., dove è disposto che il giudice sospende il processo “in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. Nel caso di specie, bisognava attendere che il giudizio della società, quindi, divenisse definitivo.
I giudici della legge hanno accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, stabilendo che la Commissione d’appello ha erroneamente considerato definitiva la sentenza emessa nei confronti della società, tanto da ritenerla valida per annullare l’accertamento, per lo stesso anno, del socio della stessa. Per il caso in esame e sulla base dell’ormai pacifico principio, i giudici di merito avrebbero dovuto sospendere il giudizio nei confronti del socio, in attesa della definizione del reddito della società a ristretta compagine sociale.
Le controversie di questo genere si possono facilmente riscontrare nel “panorama” del contenzioso tributario. Infatti, spesso, l’Ufficio, richiamando nelle motivazioni dell’avviso di accertamento alcune sentenze di Cassazione, peraltro superate, imputa pro quota il reddito accertato ai soci della società a ristretta base azionaria, sulla legittimità della presunzione di distribuzione di utili non contabilizzati, ma riscontrati in sede di accertamento sulla società stessa. In più, non dimostra l’effettiva percezione di questi dividendi da parte dei soci. In sostanza, nella motivazione dell’atto si considera (presunzione semplice) che la società è costituita a ristretta base sociale, ma manca del tutto uno specifico accertamento probatorio che attesti l’iter logico-giuridico che porta l’Ufficio ad esprimersi in tal senso.
La giurisprudenza di legittimità, in proposito, detta un principio corretto: gli utili extracontabili accertati nei confronti di una società di capitali a base ristretta e/o familiare possono essere legittimamente attribuiti ai soci solamente se esiste a carico della società un accertamento divenuto definitivo. (cfr. Cass. n. 20870 dell’8 ottobre 2010).
La constatazione della ristretta base societaria non è di per sé sufficiente
Dunque, in giudizio, la mera constatazione della ristrettezza della base societaria non può, di per sé sola, essere sufficiente a soddisfare quanto affermato dall’Amministrazione finanziaria, ma vi è la necessità che pervenga una decisione passata in giudicato.L’ordinanza esaminata, dunque, viene salutata con favore nella speranza che, in futuro, l’Ufficio, prima di emettere gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci, attenda la sentenza definitiva della società.
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