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venerdì 4 gennaio 2013

La stabile organizzazione richiede prova formale dell’esistenza

stabile organizzazione


L’agente che opera in Italia per conto di una società estera non configura stabile organizzazione anche se manca di autonomia contabile

/ Giovedì 03 gennaio 2013
L’agente operante in via esclusiva e abituale in Italia per conto di una società estera, con postazione di lavoro minima presso l’unico cliente (italiano), non configura una stabile organizzazione in Italia se mancano le prove a supportarne l’esistenza e, se non diversamente prescritto, manchi di autonomia contabile e di una forma di esistenza sussumibile nell’acquisizione del codice fiscale/partita IVA e, almeno, l’iscrizione al REA.
Così si è espressa la Commissione tributaria provinciale di Genova (sentenza n. 326/4/12, depositata l’8 novembre scorso).
Una società portoghese, promotrice commerciale in via esclusiva nel campo assicurativo e riassicurativo per conto di una società italiana (cliente), si avvaleva di un agente esclusivo al quale, per l’adempimento dell’incarico, veniva messa a disposizione una postazione di lavoro presso la sede del cliente.
Il compenso pagato dal cliente alla società portoghese per l’attività svolta in Italia veniva qualificato dall’Agenzia delle Entrate come somma soggetta a ritenuta del 30% ai sensi dell’art. 25, comma 2 del DPR 600/73, contrariamente all’operato del cliente italiano (ricorrente), secondo cui nessuna imposizione all’uscita era dovuta in conformità dell’art. 7, par. 1 della Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Portogallo; secondo il ricorrente, peraltro, la stabile organizzazione avrebbe scontato l’imposizione nello Stato.
Secondo i giudici, la fattispecie non configura una stabile organizzazione in quanto, per l’art. 5, par. 5 della Convenzione citata, “Non si considera che un’impresa di uno Stato contraente ha una stabile organizzazione nell’altro Stato contraente per il solo fatto che essa vi esercita la propria attività per mezzo di un mediatore, di un commissionario generale o di ogni altro intermediario che goda di uno status indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività”.
La sentenza in commento muove da taluni requisiti ritenuti utili (a parere dei giudici) per l’individuazione della c.d. stabile organizzazione personale (S.O.P.). Tuttavia, non passa inosservato come l’interpretazione resa dall’art. 162, commi 6 e 7 del TUIR e dal Modello OCSE (cui le convenzioni stipulate dall’Italia si conformano, sebbene con marginali sfumature) sia svincolata da rigidi formalismi, essendo la stabile organizzazione personale caratterizzata dalla presenza nello Stato di un’attività negoziale abituale (diversa dall’acquisto di beni) svolta da un intermediario in nome di un’impresa estera con poteri vincolanti verso questa.
Se ciò è vero, come altrettanto è vero che l’indagine sull’esistenza di una stabile organizzazione si sottrae ad una valutazione preventiva, essendo esperibile per fattispecie concretamente realizzate (conforme la ris. Agenzia delle Entrate n. 141 del 10 aprile 2008), l’assenza di un’autonomia contabile ai sensi dell’art. 14, comma 5 del DPR 600/73 non è un fatto che può convincere dell’inesistenza di una siffatta struttura nel territorio dello Stato.
Inoltre, considerato che una struttura operante in Italia può qualificarsi come S.O. ai soli effetti reddituali, ma non anche ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, l’obbligo richiesto alla prima di dotarsi di un numero di partita IVA (cfr. ris. 30 luglio 2008, n. 327) è destituito di ogni fondamento; e ciò a maggior ragione ove la stabile organizzazione sia di natura “personale” (sul fatto che, nell’IVA, non sia utilizzabile la nozione di S.O.P., cfr. Reg. Ce di esecuzione n. 282/2011 e, per la giurisprudenza, Cassazione n. 10925/2002, n. 3367/2002 e n. 17373/2002).
Vi è infine da sottolineare che, nel caso trattato dalla sentenza genovese, pur ammettendo in via remota che le prestazioni rese dalla società estera rientrassero nelle mere “provvigioni”, allora l’art. 25, comma 2 del DPR 600/73 richiamato dall’Agenzia delle Entrate non risulterebbe pertinente, dovendosi applicare l’art. 25-bis, ultimo comma del decreto medesimo.
 / Paolo MANDARINO e Alessandro SAINI FONTE

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