accertamento
Il risparmio finanziario alimenta il nuovo redditometro
Con l’approvazione del DM 24 dicembre 2012, il nuovo “redditometro”, ex comma 5 dell’art. 38 del DPR n. 600/1973, innovato dalle disposizioni recate dall’art. 22 del DL n. 78 del 31 maggio 2010, che ha riscritto i commi 4 e seguenti del citato articolo, ha ora assunto una forma operativa più concreta. Peraltro, come è noto, la nuova struttura dell’art. 38 contempla due tipologie di rettifica finalizzate alla determinazione sintetica del reddito:
- la prima, di tipo “spesometrico”, ovvero basata sulla spesa patrimoniale, ove si presume che alla capacità di spesa del contribuente corrisponda, al ricorrere di determinate circostanze, una capacità contributiva non dichiarata (comma 4);
- l’altra, fondata sul “redditometro” (comma 5), ove il reddito viene, invece, quantificato sulla base di apposite elaborazioni e stime (individuate con il DM 24 dicembre 2012).
Ora, tralasciando qui l’analisi tecnica dei più noti elementi indicativi di capacità contributiva, inseriti nella tabella A allegata al decreto in due macro categorie (consumi e investimenti) e che riflettono sostanzialmente i vari ambiti delle spese della quotidianità (abitazione, istruzione, sanità, trasporti, costi per l’acquisto di beni mobili, elettrodomestici, arredi, cibo, abbigliamento e spese per il benessere personale), occorre, invece, soffermarsi su una particolare previsione addizionale della nuova determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche, laddove, ai sensi dell’art. 1, comma 6 del decreto, viene ora anche disciplinato che l’Agenzia delle Entrate avrà anche la facoltà di utilizzare “elementi di capacità contributiva diversi da quelli riportati nella tabella A” tra cui, anche, la “quota di risparmio riscontrata, formatasi nell’anno”.
In sostanza, il processo di stratificazione del reddito complessivo accertabile, ex art. 3 del citato decreto, sarà progressivamente generato e sinteticamente composto dalla quota di risparmio di formazione infrannuale, oltre che:
- dalle spese per consumi, effettive e sostenute (ovvero spese anche diverse dalla Tabella A, purché conosciute dal Fisco). Ovviamente, peraltro, è stata prevista, in particolare per coloro che immaginavano di rendere, in tutto o in parte, “non tracciate” le proprie spese al Fisco, una “sostituzione” tecnica del reddito imputabile sulla base delle spese effettive, elaborata con un pro quota familiare di una spesa media ISTAT che potrà sempre attribuire al contribuente quote di elementi stimati di spesa redditualmente rilevanti, se superiori alle spese effettive. Oltre ai dati ISTAT, peraltro, il calcolo potrà subire anche un successivo adattamento (al rialzo) per effetto di ulteriori analisi e studi socio-economici che avranno sempre il compito di sviluppare induzioni sulle spese riferite alla tabella A;
- dalla quota imputabile di investimenti e relativa agli incrementi patrimoniali del contribuente nel periodo d’imposta.
Poiché, in economia (e, quindi, anche per il Fisco), il risparmio annuale è la quota del reddito che non viene spesa nel periodo in cui esso è percepito, dal contenuto dell’art. 3, comma 1, lett. e) del decreto sembra poter trarre origine un nuovo sillogismo presuntivo, secondo cui dal riscontro di un notevole differenziale positivo nei saldi dei rapporti finanziari, tra l’inizio e la fine del periodo di imposta, potrà emergere una presunzione di reddito non dichiarato.
Quando dall’esame dei conti correnti (o, semmai, più raramente anche dalla detenzione ingiustificata e contestata di denaro contante) emergeranno palesi non conformità tra la differenza del reddito dichiarato e le spese sostenute o stimate ed attese in capo al contribuente nel periodo di imposta, potrebbero svilupparsi elementi sintetici accertabili, sulla base di una congettura secondo cui tale anomala accumulazione di risparmio sarebbe il frutto di un occultamento totale o parziale di manifestazioni di capacità contributiva (a quel punto presuntivamente ritenute effettuate con disponibilità non dichiarate), ovvero di un’infedeltà nel versante dei componenti positivi della dichiarazione dei redditi.
Chi spende ufficialmente meno di quanto atteso (e, quindi, risparmia troppo) non è credibile sulla veridicità dichiarata delle sue entrate finanziarie. Se questa sarà l’ipotesi sottostante l’inserimento della nuova previsione accertatrice, appare ora anche più chiara la finalità dell’art. 11, commi 2 e 3, del D.L. 201/2011, che ha imposto agli operatori finanziari, per dirla con le parole del Garante della privacy, una concentrazione presso l’Anagrafe tributaria di un’enorme quantità di informazioni personali inviate periodicamente (saldo iniziale e finale dei c/c, importi totali degli accrediti e degli addebiti anche delle gestioni patrimoniali, ecc.). In prospettiva, quindi, saranno non solo le spese del contribuente, ma anche le indagini finanziarie ad alimentare la metodologia sintetica di accertamento del reddito e ciò, ovviamente, anche in chiave selettiva, ex comma 4 del citato art. 11, potendo ora l’Agenzia delle Entrate visionare, anche “in chiaro” ed al fine di formare le liste dei soggetti accertabili, i movimenti finanziari.
FONTE:EUTEKNE
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