Iva
Indetraibile l’IVA delle fatture in fotocopia
Secondo la Cassazione, le fotocopie sono «sospette», se l’assenza degli originali non è adeguatamente motivata
La normativa vigente prevede che, ai fini della detraibilità dell’IVA, le fatture di acquisto debbano essere conservate in originale e, in caso di perdita, su contestazione dell’Amministrazione finanziaria, spetta al contribuente provare la forza maggiore che ne ha determinato lo smarrimento, nonché ricostruire tali documenti sulla base dei dati raccolti dai fornitori. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13943 del 24 giugno 2011.
L’articolo 39, ultimo comma, primo periodo, del DPR 633/1972, che disciplina la tenuta e conservazione dei registri e dei documenti rilevanti ai fini IVA, dispone che i registri, i bollettari, gli schedari e i tabulati nonché le fatture, le bollette doganali e gli altri documenti devono essere conservati a norma dell’art. 22 del DPR 600/1973. Tale ultima disposizione, inserita nel decreto relativo all’accertamento ai fini delle imposte sui redditi, prevede che devono essere conservati ordinatamente, per ciascun affare, gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevuti e le copie delle lettere e dei telegrammi spediti e delle fatture emesse. Il quadro normativo, quindi, appare lineare e chiaro: la fatture devono essere conservate in originale.
In sede di accertamento nei confronti di una società, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato la detrazione IVA operata dalla contribuente in riferimento a fatture di acquisto conservate ed esibite soltanto in fotocopia. Ritenendo indetraibile l’imposta, attesa la normativa testé illustrata, l’Amministrazione finanziaria ne recuperava la relativa IVA, con sanzioni e interessi.
I giudici di merito, a cui si era rivolta la società, si pronunciavano a suo favore. In particolare, la C.T. Reg., dopo aver rilevato il “difetto probatorio documentale” a carico della contribuente, che a distanza di molti anni non era stata in grado di avere gli originali o copie ufficiali o meglio conformi agli originali dai fornitori, ha stabilito che sarebbe comunque stato compito dell’Ufficio verificare l’effettiva regolarità e veridicità delle fatture fotocopiate.
Avverso tale decisione proponeva ricorso l’Agenzia delle Entrate, ottenendo una pronuncia a sé favorevole da parte della Cassazione. I giudici del Palazzaccio hanno stabilito, infatti, che la C.T. Reg. aveva fatto malgoverno del principio di ripartizione dell’onere della prova di cui all’articolo 2697 c.c., atteso che aveva erroneamente deciso che fosse l’Ufficio a dover colmare le lacune probatorie della controparte, accertando la “genuinità” dei documenti allegati dalla contribuente. Tale statuizione – secondo i supremi giudici – è in contrasto sia con la predetta norma codicistica in materia di onere probatorio, sia con la disposizione del Decreto IVA che impone la conservazione delle fatture in originale (art. 39 del DPR 633/1972).
In conclusione, la Cassazione ha stabilito che spetta sempre al contribuente dimostrare il suo diritto alla detrazione dell’imposta e, pertanto, in caso di assenza delle fatture di acquisto originali, se l’Amministrazione finanziaria contesta le fotocopie esibite in sede di accertamento, grava sempre sul contribuente l’onere di provare l’esistenza di una forza maggiore che ha determinato la perdita dei documenti, e di ricostruire gli stessi anche con la collaborazione dei fornitori.
La sentenza in commento riporta alla luce un tema già balzato agli onori della cronaca nel 2009, quando la Suprema Corte, con la sentenza n. 4502, aveva stabilito, però in materia di imposte dirette, l’indeducibilità di un costo documentato soltanto da una fotocopia della fattura di acquisto trasmessa via fax. In quell’occasione, i giudici del Palazzaccio avevano stabilito che l’obbligo di conservare la documentazione originale, previsto dall’articolo 22 del DPR 600/1973 (e, di rimando, dall’articolo 39 del DPR 633/1972, per l’IVA), è norma speciale rispetto al regime ordinario della prova documentale dettato dal codice civile, che equipara la copia all’originale se non ci sia espressa contestazione sulla conformità (art. 2712 c.c.): in altri termini, le fotocopie di documenti originali, che non risultino smarrite o distrutte per cause non imputabili al contribuente, non hanno lo stesso valore probatorio degli originali, apparendo anzi come una documentazione sospetta, specialmente se non sono allegate valide ragioni che giustifichino la mancata esibizione degli originali.
È il caso di aggiungere che, a maggior ragione, per quanto concerne l’IVA, nella disciplina recata dal summenzionato decreto del 1972, la detraibilità dell’imposta pagata dal contribuente per l’acquisto di beni o servizi inerenti all’esercizio della sua attività (articolo 19 del DPR 633/1972) postula che questi sia in possesso delle relative fatture in originale, che le annoti in apposito registro (articolo 25) e che le conservi come previsto dall’articolo 39 dello stesso decreto (in tal senso, Cass. nn. 21233/2006, 10174/1995 e 13605/2003).
È opportuno pertanto che, in caso di smarrimento della fattura di acquisto in originale, il contribuente non si limiti a richiedere al fornitore la semplice fotocopia via fax, come accade spesso nella prassi commerciale, ma si attivi prontamente per ottenere un nuovo originale del documento o quantomeno una sua copia conforme all’originale, così da evitare possibili contestazioni da parte del Fisco.
L’articolo 39, ultimo comma, primo periodo, del DPR 633/1972, che disciplina la tenuta e conservazione dei registri e dei documenti rilevanti ai fini IVA, dispone che i registri, i bollettari, gli schedari e i tabulati nonché le fatture, le bollette doganali e gli altri documenti devono essere conservati a norma dell’art. 22 del DPR 600/1973. Tale ultima disposizione, inserita nel decreto relativo all’accertamento ai fini delle imposte sui redditi, prevede che devono essere conservati ordinatamente, per ciascun affare, gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevuti e le copie delle lettere e dei telegrammi spediti e delle fatture emesse. Il quadro normativo, quindi, appare lineare e chiaro: la fatture devono essere conservate in originale.
In sede di accertamento nei confronti di una società, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato la detrazione IVA operata dalla contribuente in riferimento a fatture di acquisto conservate ed esibite soltanto in fotocopia. Ritenendo indetraibile l’imposta, attesa la normativa testé illustrata, l’Amministrazione finanziaria ne recuperava la relativa IVA, con sanzioni e interessi.
I giudici di merito, a cui si era rivolta la società, si pronunciavano a suo favore. In particolare, la C.T. Reg., dopo aver rilevato il “difetto probatorio documentale” a carico della contribuente, che a distanza di molti anni non era stata in grado di avere gli originali o copie ufficiali o meglio conformi agli originali dai fornitori, ha stabilito che sarebbe comunque stato compito dell’Ufficio verificare l’effettiva regolarità e veridicità delle fatture fotocopiate.
Avverso tale decisione proponeva ricorso l’Agenzia delle Entrate, ottenendo una pronuncia a sé favorevole da parte della Cassazione. I giudici del Palazzaccio hanno stabilito, infatti, che la C.T. Reg. aveva fatto malgoverno del principio di ripartizione dell’onere della prova di cui all’articolo 2697 c.c., atteso che aveva erroneamente deciso che fosse l’Ufficio a dover colmare le lacune probatorie della controparte, accertando la “genuinità” dei documenti allegati dalla contribuente. Tale statuizione – secondo i supremi giudici – è in contrasto sia con la predetta norma codicistica in materia di onere probatorio, sia con la disposizione del Decreto IVA che impone la conservazione delle fatture in originale (art. 39 del DPR 633/1972).
In conclusione, la Cassazione ha stabilito che spetta sempre al contribuente dimostrare il suo diritto alla detrazione dell’imposta e, pertanto, in caso di assenza delle fatture di acquisto originali, se l’Amministrazione finanziaria contesta le fotocopie esibite in sede di accertamento, grava sempre sul contribuente l’onere di provare l’esistenza di una forza maggiore che ha determinato la perdita dei documenti, e di ricostruire gli stessi anche con la collaborazione dei fornitori.
La sentenza in commento riporta alla luce un tema già balzato agli onori della cronaca nel 2009, quando la Suprema Corte, con la sentenza n. 4502, aveva stabilito, però in materia di imposte dirette, l’indeducibilità di un costo documentato soltanto da una fotocopia della fattura di acquisto trasmessa via fax. In quell’occasione, i giudici del Palazzaccio avevano stabilito che l’obbligo di conservare la documentazione originale, previsto dall’articolo 22 del DPR 600/1973 (e, di rimando, dall’articolo 39 del DPR 633/1972, per l’IVA), è norma speciale rispetto al regime ordinario della prova documentale dettato dal codice civile, che equipara la copia all’originale se non ci sia espressa contestazione sulla conformità (art. 2712 c.c.): in altri termini, le fotocopie di documenti originali, che non risultino smarrite o distrutte per cause non imputabili al contribuente, non hanno lo stesso valore probatorio degli originali, apparendo anzi come una documentazione sospetta, specialmente se non sono allegate valide ragioni che giustifichino la mancata esibizione degli originali.
È il caso di aggiungere che, a maggior ragione, per quanto concerne l’IVA, nella disciplina recata dal summenzionato decreto del 1972, la detraibilità dell’imposta pagata dal contribuente per l’acquisto di beni o servizi inerenti all’esercizio della sua attività (articolo 19 del DPR 633/1972) postula che questi sia in possesso delle relative fatture in originale, che le annoti in apposito registro (articolo 25) e che le conservi come previsto dall’articolo 39 dello stesso decreto (in tal senso, Cass. nn. 21233/2006, 10174/1995 e 13605/2003).
È opportuno pertanto che, in caso di smarrimento della fattura di acquisto in originale, il contribuente non si limiti a richiedere al fornitore la semplice fotocopia via fax, come accade spesso nella prassi commerciale, ma si attivi prontamente per ottenere un nuovo originale del documento o quantomeno una sua copia conforme all’originale, così da evitare possibili contestazioni da parte del Fisco.
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