diritto fallimentare
Accordi di ristrutturazione del debito estesi all’imprenditore agricolo
Il DL 98/2011 amplia all’impresa agricola anche l’istituto della transazione fiscale
In base all’articolo 2135, primo comma, del codice civile, così come modificato dal DLgs. 228/2001, è imprenditore agricolo colui che esercita le attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Con tale definizione di imprenditore agricolo, il Legislatore ha ricompreso nell’ambito dell’impresa agricola ogni attività basata sullo sviluppo dell’intero ciclo biologico, ovvero di una fase essenziale di detto ciclo. La novità di maggior rilievo introdotta dal DLgs. 228/2001 è data dalla ricomprensione nella nozione in commento delle c.d. “attività connesse”, e cioè di quelle attività esercitate dal medesimo imprenditore dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo, dall’allevamento di animali, nonché delle attività dirette alla fornitura di beni e servizi tramite l’utilizzo prevalente di risorse dell’azienda agricola, ivi comprese le attività di ricezione ed ospitalità.
La nozione di imprenditore agricolo si è in seguito arricchita per effetto del DLgs. 101/2005, che ha introdotto la figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP), ha esteso tale qualifica anche alle società (affidando alle Regioni l’accertamento e la certificazione del possesso dei requisiti per accedere a vari benefici in materia di agevolazioni fiscali e previdenziali) e ha, infine, semplificato per tali imprese gli adempimenti amministrativi nei confronti del Registro delle imprese.
Si deve, quindi, accogliere con favore la novità introdotta dall’art. 23, comma 43, del DL n. 98 del 6 luglio 2011 (c.d. manovra correttiva), che dispone espressamente quanto segue: “In attesa di una revisione complessiva della disciplina dell’imprenditore agricolo in crisi e del coordinamento delle disposizioni in materia, gli imprenditori agricoli in stato di crisi o insolvenza possono accedere alle procedure di cui agli articoli 182-bis e 182-ter del Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 (…)”.
L’esclusione della fallibilità per le imprese agricole, se da un lato può sicuramente definirsi come privilegio (oggi forse non più giustificato), da diversa angolazione, nell’ambito dell’attuale crisi generale e in particolare di quella in cui versa il settore agricolo, è sicuramente un grosso limite, considerati gli strumenti di gestione delle situazioni di difficoltà o di insolvenza che la legge fallimentare, nella sua riformulazione, offre a ogni altro genere di impresa.
L’imprenditore agricolo in crisi o insolvente nel contesto normativo anteriore al 6 luglio 2011 sarebbe stato, quindi, costretto unicamente a soluzioni gestite con i creditori senza alcun sostegno normativo, con il pericolo di vedere spesso dissolta l’impresa.
Molto opportunamente, quindi, l’intervento del Legislatore di cui al DL 98/2011 si colloca nella direzione di consentire all’imprenditore agricolo, in caso sia di crisi che di insolvenza, di ricorrere:
- alla procedura prevista dall’art. 182-bis della L. fall. (accordi di ristrutturazione del debito), strumento con il quale anche l’imprenditore agricolo può ristrutturare il suo debito, stipulando con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti uno specifico accordo regolato dalla citata norma;
- alla transazione fiscale di cui all’art. 182-ter della L. fall., istituto di notevole rilevanza, sia sotto il profilo del diritto tributario, sia sotto quello del diritto fallimentare, che consente alle imprese in stato di crisi o insolvenza tenute al versamento di imposte e contributi di abbattere o comunque dilazionare il debito erariale, allo scopo di evitare il definitivo tracollo.
Con tale definizione di imprenditore agricolo, il Legislatore ha ricompreso nell’ambito dell’impresa agricola ogni attività basata sullo sviluppo dell’intero ciclo biologico, ovvero di una fase essenziale di detto ciclo. La novità di maggior rilievo introdotta dal DLgs. 228/2001 è data dalla ricomprensione nella nozione in commento delle c.d. “attività connesse”, e cioè di quelle attività esercitate dal medesimo imprenditore dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo, dall’allevamento di animali, nonché delle attività dirette alla fornitura di beni e servizi tramite l’utilizzo prevalente di risorse dell’azienda agricola, ivi comprese le attività di ricezione ed ospitalità.
La nozione di imprenditore agricolo si è in seguito arricchita per effetto del DLgs. 101/2005, che ha introdotto la figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP), ha esteso tale qualifica anche alle società (affidando alle Regioni l’accertamento e la certificazione del possesso dei requisiti per accedere a vari benefici in materia di agevolazioni fiscali e previdenziali) e ha, infine, semplificato per tali imprese gli adempimenti amministrativi nei confronti del Registro delle imprese.
Fallimento e concordato preventivo preclusi all’imprenditore agricolo
La legge fallimentare (RD n. 267 del 16 marzo 1942), all’articolo 1, assoggetta a fallimento e a concordato preventivo le sole imprese commerciali, con implicita esclusione delle imprese agricole. La conseguenza è che a queste ultime non si applicano le norme previste dal citato RD, e in particolare quelle di gestione preconcorsuale delle crisi.Si deve, quindi, accogliere con favore la novità introdotta dall’art. 23, comma 43, del DL n. 98 del 6 luglio 2011 (c.d. manovra correttiva), che dispone espressamente quanto segue: “In attesa di una revisione complessiva della disciplina dell’imprenditore agricolo in crisi e del coordinamento delle disposizioni in materia, gli imprenditori agricoli in stato di crisi o insolvenza possono accedere alle procedure di cui agli articoli 182-bis e 182-ter del Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267 (…)”.
L’esclusione della fallibilità per le imprese agricole, se da un lato può sicuramente definirsi come privilegio (oggi forse non più giustificato), da diversa angolazione, nell’ambito dell’attuale crisi generale e in particolare di quella in cui versa il settore agricolo, è sicuramente un grosso limite, considerati gli strumenti di gestione delle situazioni di difficoltà o di insolvenza che la legge fallimentare, nella sua riformulazione, offre a ogni altro genere di impresa.
L’imprenditore agricolo in crisi o insolvente nel contesto normativo anteriore al 6 luglio 2011 sarebbe stato, quindi, costretto unicamente a soluzioni gestite con i creditori senza alcun sostegno normativo, con il pericolo di vedere spesso dissolta l’impresa.
Molto opportunamente, quindi, l’intervento del Legislatore di cui al DL 98/2011 si colloca nella direzione di consentire all’imprenditore agricolo, in caso sia di crisi che di insolvenza, di ricorrere:
- alla procedura prevista dall’art. 182-bis della L. fall. (accordi di ristrutturazione del debito), strumento con il quale anche l’imprenditore agricolo può ristrutturare il suo debito, stipulando con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti uno specifico accordo regolato dalla citata norma;
- alla transazione fiscale di cui all’art. 182-ter della L. fall., istituto di notevole rilevanza, sia sotto il profilo del diritto tributario, sia sotto quello del diritto fallimentare, che consente alle imprese in stato di crisi o insolvenza tenute al versamento di imposte e contributi di abbattere o comunque dilazionare il debito erariale, allo scopo di evitare il definitivo tracollo.
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