IRAP
Il professionista collaboratore esterno dello studio associato è escluso da IRAP
Secondo la Cassazione, i mezzi messi a disposizione non possono aver aumentato la produttività del contribuente
/ Mercoledì 20 luglio 2011
Con due ordinanze (la n. 15803 e la n. 15805) depositate ieri, 19 luglio 2011, la Suprema Corte è tornata ad affrontare il tema dell’assoggettamento – o meno – ad IRAP degli esercenti arti e professioni.
La pronuncia n. 15805 riguarda il caso di un contribuente che, negli anni dal 1998 al 2003, ha svolto attività professionale utilizzando saltuariamente uno studio associato, con il quale, prima di divenirne socio, intratteneva soltanto un rapporto di collaborazione esterna a fronte del quale risultava emesso il 90% delle fatture.
Ad avviso dei giudici di legittimità, l’IRAP versata con riferimento al suddetto arco temporale deve considerarsi non dovuta e, come tale, va rimborsata al professionista: infatti, nel caso di specie, si è trattato di una mera collaborazione e, quindi, di attività organizzata con l’uso di mezzi altrui, al limitato fine di attuare il rapporto collaborativo.
Si ricorda che, con la sentenza n. 19138 depositata il 10 luglio 2008, la stessa Corte di Cassazione ha affermato che è soggetto ad IRAP il professionista che fa parte di uno studio associato anche con riferimento alle attività diverse da quelle svolte in forma associata.
In particolare, secondo tale pronuncia, il professionista, qualora sia inserito in uno studio associato, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale, diversa da quella svolta in forma associata, deve dimostrare di non fruire dei benefici organizzativi recati dalla sua adesione all’associazione. Quest’ultima, infatti, proprio in ragione della sua forma collettiva, generalmente fa conseguire ai suoi aderenti ulteriori e aggiuntive utilità, le quali non si esauriscono in quelle della separata attività collettiva, atteso che solitamente queste ultime comportano altri vantaggi organizzativi.
Può essere il caso, ad esempio:
- delle sostituzioni in attività, materiali e professionali, da parte di colleghi di studio;
- dell’utilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni;
- della possibilità di conferenze e colloqui professionali ovvero di altre attività allargate;
- dell’utilizzazione di servizi collettivi.
Peraltro, la presunzione della fruizione, da parte del professionista, dei benefici organizzativi recati dallo studio associato ammette la prova contraria: pertanto, il contribuente può dimostrare che il valore della produzione è essenzialmente frutto del lavoro professionale degli associati e che l’organizzazione riveste, invece, un ruolo marginale.
In altre parole, va provata l’assenza (o l’importanza trascurabile):
- della reciproca collaborazione;
- dello scambio di competenze;
- dell’utilizzazione di servizi collettivi;
- della sostituibilità nello svolgimento dell’attività.
A tal fine, dovrebbero assumere rilievo anche le indicazioni contenute nello statuto dell’associazione professionale.
Leggendo le motivazioni poste a base della pronuncia, è però possibile affermare che non si tratta di un cambio di rotta della Corte di Cassazione, secondo il consolidato orientamento della quale (sentenze 9 maggio 2007 n. 10594, 28 maggio 2009 n. 12635 e 16 settembre 2010 n. 19607), sono esclusi dall’ambito applicativo dell’IRAP i compensi derivanti da incarichi di amministratore o sindaco di società, qualora siano percepiti da dottori commercialisti od esperti contabili e, come tali, siano “attratti” nell’ambito del reddito professionale. Del resto, la circostanza che “la parte di ricavo netto” derivante dalle attività in commento non sconta l’IRAP è ribadita anche dall’ordinanza n. 15803.
A ben vedere, nel caso di specie, il contribuente viene considerato soggetto ad IRAP, in quanto:
- non è stata separatamente evidenziata, neppure nella domanda introduttiva, la quota di compensi riconducibile all’attività di sindaco;
- il contribuente si avvale di beni strumentali in misura eccedente il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale, come dimostrano, da un lato, l’elevato importo dei costi inerenti l’attività professionale indicati nella dichiarazione dei redditi e, dall’altro, la fruizione di “uno studio commerciale associato di dottori commercialisti e ragionieri il quale si avvale costantemente e continuativamente del lavoro di dipendenti”.
La pronuncia n. 15805 riguarda il caso di un contribuente che, negli anni dal 1998 al 2003, ha svolto attività professionale utilizzando saltuariamente uno studio associato, con il quale, prima di divenirne socio, intratteneva soltanto un rapporto di collaborazione esterna a fronte del quale risultava emesso il 90% delle fatture.
Ad avviso dei giudici di legittimità, l’IRAP versata con riferimento al suddetto arco temporale deve considerarsi non dovuta e, come tale, va rimborsata al professionista: infatti, nel caso di specie, si è trattato di una mera collaborazione e, quindi, di attività organizzata con l’uso di mezzi altrui, al limitato fine di attuare il rapporto collaborativo.
Si ricorda che, con la sentenza n. 19138 depositata il 10 luglio 2008, la stessa Corte di Cassazione ha affermato che è soggetto ad IRAP il professionista che fa parte di uno studio associato anche con riferimento alle attività diverse da quelle svolte in forma associata.
In particolare, secondo tale pronuncia, il professionista, qualora sia inserito in uno studio associato, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale, diversa da quella svolta in forma associata, deve dimostrare di non fruire dei benefici organizzativi recati dalla sua adesione all’associazione. Quest’ultima, infatti, proprio in ragione della sua forma collettiva, generalmente fa conseguire ai suoi aderenti ulteriori e aggiuntive utilità, le quali non si esauriscono in quelle della separata attività collettiva, atteso che solitamente queste ultime comportano altri vantaggi organizzativi.
Può essere il caso, ad esempio:
- delle sostituzioni in attività, materiali e professionali, da parte di colleghi di studio;
- dell’utilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni;
- della possibilità di conferenze e colloqui professionali ovvero di altre attività allargate;
- dell’utilizzazione di servizi collettivi.
Peraltro, la presunzione della fruizione, da parte del professionista, dei benefici organizzativi recati dallo studio associato ammette la prova contraria: pertanto, il contribuente può dimostrare che il valore della produzione è essenzialmente frutto del lavoro professionale degli associati e che l’organizzazione riveste, invece, un ruolo marginale.
In altre parole, va provata l’assenza (o l’importanza trascurabile):
- della reciproca collaborazione;
- dello scambio di competenze;
- dell’utilizzazione di servizi collettivi;
- della sostituibilità nello svolgimento dell’attività.
A tal fine, dovrebbero assumere rilievo anche le indicazioni contenute nello statuto dell’associazione professionale.
Soggetto al tributo il sindaco “organizzato”
Nell’altra ordinanza, la n. 15803, i supremi giudici si sono espressi a favore dell’assoggettamento ad IRAP di un dottore commercialista che svolge prevalentemente l’attività di sindaco di società, anche con riferimento ai compensi percepiti a fronte di tale attività.Leggendo le motivazioni poste a base della pronuncia, è però possibile affermare che non si tratta di un cambio di rotta della Corte di Cassazione, secondo il consolidato orientamento della quale (sentenze 9 maggio 2007 n. 10594, 28 maggio 2009 n. 12635 e 16 settembre 2010 n. 19607), sono esclusi dall’ambito applicativo dell’IRAP i compensi derivanti da incarichi di amministratore o sindaco di società, qualora siano percepiti da dottori commercialisti od esperti contabili e, come tali, siano “attratti” nell’ambito del reddito professionale. Del resto, la circostanza che “la parte di ricavo netto” derivante dalle attività in commento non sconta l’IRAP è ribadita anche dall’ordinanza n. 15803.
A ben vedere, nel caso di specie, il contribuente viene considerato soggetto ad IRAP, in quanto:
- non è stata separatamente evidenziata, neppure nella domanda introduttiva, la quota di compensi riconducibile all’attività di sindaco;
- il contribuente si avvale di beni strumentali in misura eccedente il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale, come dimostrano, da un lato, l’elevato importo dei costi inerenti l’attività professionale indicati nella dichiarazione dei redditi e, dall’altro, la fruizione di “uno studio commerciale associato di dottori commercialisti e ragionieri il quale si avvale costantemente e continuativamente del lavoro di dipendenti”.
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