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mercoledì 6 luglio 2011

Contenzioso

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Sepe: «L’Agenzia vuole una giustizia tributaria domestica»

Secondo il Presidente dell’AMT, i provvedimenti inclusi nella manovra correttiva hanno l’obiettivo di ridurre l’indipendenza dei giudici tributari

/ Martedì 05 luglio 2011
Tre giorni di astensione dalle udienze. È questa la forma di protesta che l’AMT (Associazione Magistrati Tributari) ha deciso di adottare contro le decisioni, relative al riordino della giustizia tributaria, contenute nella manovra correttiva approvata lo scorso 30 giugno dal Consiglio dei Ministri. Uno sciopero, quello che finirà domani, che rischia di essere solo il primo di una lunga serie di astensioni. “Continueremo fino a quando non ci verrà dato ascolto”, dichiara il Presidente dell’Associazione, Ennio Attilio Sepe, che stigmatizza il metodo con cui si è arrivati all’adozione di questi provvedimenti, “elaborati nelle segrete stanze del potere, senza alcun contraddittorio con la categoria interessata”, ma non solo quello. Anzi, ciò che più lo preoccupa è il merito di quei provvedimenti, voluti con un preciso obiettivo.
Presidente Sepe, come spiega le misure adottate per il riordino della giustizia tributaria?
“Con la volontà, da parte del Ministero dell’Economia, di assecondare le esigenze dell’Agenzia delle Entrate. Stando agli ultimi dati, nei contenziosi tributari l’Agenzia risulta soccombente nel 47% dei casi, quindi, vuol dire che quasi una volta su due gli accertamenti non sono fondati. Questo ovviamente non può far piacere all’Agenzia, che ha espresso dissenso nei confronti dell’operato delle Commissioni, e l’esigenza di avere una giustizia tributaria più “domestica”. In sostanza, l’Agenzia invoca una semi-giustizia che, ovviamente, non potrà tutelare gli interessi dei contribuenti, ma solo quelli dell’Agenzia stessa”.
Una teoria che spiegherebbe anche perché, da un lato, si decide di eliminare dalle Commissioni gli iscritti agli Albi professionali e, dall’altro, si apre all’arrivo degli avvocati dello Stato e degli ispettori della SECIT.
“Impedire agli iscritti ad Albi professionali che non svolgono attività di rilevanza fiscale di entrare a far parte delle Commissioni tributarie è del tutto irragionevole e ingiustificabile. Quanto, invece, all’apertura agli avvocati dello Stato e agli ispettori della SECIT, ai primi è affidata la difesa dell’Agenzia delle Entrate; mentre gli ispettori della SECIT sono organi di supporto del Ministero dell’Economia il quale, pur non essendo parte del processo, rimane il titolare sostanziale degli interessi dell’Agenzia. Insomma, l’incompatibilità mi sembra assolutamente palese”.
Perché, secondo lei, esiste questo ostracismo nei confronti dei professionisti che fanno parte delle Commissioni tributarie?
“Perché hanno raggiunto un elevato grado di indipendenza nell’emettere giudizi imparziali. Anni fa, le Commissioni tributarie erano una sorta di braccio armato dell’Amministrazione finanziaria. Oggi non è più così, perché si è affermato un senso di responsabilità, imparzialità e indipendenza prima sconosciuto. Questo ha suscitato la reazione dell’Amministrazione finanziaria che, però, riteniamo assolutamente sproporzionata. Basti pensare che il testo approvato dal CdM prevede anche che non sia più il Presidente della Commissione, bensì il Ministero dell’Economia, a controllare la struttura amministrativa. Anche questo non può che essere un modo per limitare ancor di più l’indipendenza e l’autonomia dei giudici. Alla fine, arriveremo ad un punto in cui i giudici saranno ospiti del Ministero all’interno delle Commissioni”.
Tra le cause di incompatibilità contemplate dalla manovra, oltre all’iscrizione ad un Albo professionale, c’è anche la parentela, fino al terzo grado, con iscritti ad un Albo nella Regione dove ha sede la Commissione o nelle Province limitrofe. Cosa significherà in termini concreti?
“La paralisi della giustizia tributaria. Le nuove cause di incompatibilità provocheranno l’uscita dalle Commissioni di circa l’80% dei giudici tributari, e prima che vengano sostituiti, con concorsi e nuove nomine, passeranno dei mesi. Quello che è davvero paradossale è che queste misure vengono adottate proprio in un momento in cui, con l’entrata in vigore degli accertamenti esecutivi, si sarebbe dovuto intervenire per potenziare la giustizia tributaria”.
Anche lei, dunque, crede che nella necessità di una riforma della giustizia tributaria. Ma è abbastanza evidente che non è questo ciò che si aspettava. Cosa avrebbe voluto?
“Una riforma finalizzata ad aumentare la competenza dei giudici e ad abbassare l’età di ingresso alla funzione almeno al di sotto dei 50 anni (oggi l’età media dei giudici tributari è di 67 anni, ndr). Un accesso aperto solo a coloro i quali hanno affrontato percorsi di formazione specialistica e assolutamente non precluso ai professionisti che, per la pluralità di conoscenze tecniche, offrono un apporto fondamentale. Non solo. Da tempo, la nostra associazione si batte perché ai giudici non togati siano aperte prospettive di carriera all’interno della giustizia tributaria. Un passaggio importante per elevare la competenza delle Commissioni. Ma è chiaro che, ad oggi, si voglia perseguire scopi ben diversi”.

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