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venerdì 29 luglio 2011

IRAP

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IRAP: il giudice deve giustificare l’assenza di autonoma organizzazione

Secondo la Cassazione, occorre esaminare i fattori sintomatici di autonoma organizzazione

/ Venerdì 29 luglio 2011
Con l’ordinanza n. 16628, depositata il 28 luglio 2011, la Suprema Corte (ri)affronta il tema dell’assoggettamento ad IRAP dei professionisti, questa volta soffermandosi, in particolare, sulle modalità attraverso le quali i giudici di merito devono dimostrare la sussistenza, o meno, del presupposto impositivo.
La fattispecie oggetto di pronuncia concerne il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza di secondo grado che ha riconosciuto a un professionista, medico pediatra, il diritto al rimborso dell’IRAP con riferimento agli anni dal 1999 al 2001 per l’assenza di un’attività autonomamente organizzata.
Nell’ordinanza, viene preliminarmente ricordato che il riscontro dell’assoggettamento ad IRAP deve avvenire tramite l’esame delle dichiarazioni dei redditi, con specifico riguardo al contenuto del quadro RE del modello UNICO, che specifica la composizione dei costi, riportando, tra gli altri:
- le quote di ammortamento dei beni strumentali (con tipologia ricavabile dai registri contabili tenuti dal contribuente in relazione al regime contabile adottato);
- i canoni di locazione finanziaria e non;
- le spese relative agli immobili;
- le spese per dipendenti e collaboratori;
- i compensi comunque elargiti a terzi;
- gli interessi passivi.
Nello stesso senso, in passato, la Cassazione si era già espressa nelle sentenze 16 febbraio 2007 n. 3675, 23 gennaio 2008 n. 1414 e 19 novembre 2010 n. 23446. In particolare, in quest’ultima, si legge che i dati contabili desumibili dal modello devono essere funzionali alla verifica dell’esistenza di un’attività autonomamente organizzata, atteso che, di per se stessi, non possono determinare l’assoggettamento ad imposta del contribuente.
Di analogo tenore le indicazioni contenute nella circ. Agenzia delle Entrate 13 giugno 2008 n. 45, § 5.5, secondo la quale, oltre al quadro RE, vanno analizzati i modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini degli studi di settore e, in particolare, i quadri relativi:
- al personale addetto all’attività;
- all’unità locale destinata all’esercizio dell’attività;
- ai beni strumentali.
Omesso l’esame della documentazione prodotta dalle parti
Tornando al contenuto dell’ordinanza in commento, secondo i supremi giudici l’impugnata sentenza ha omesso l’esame, sia sotto il profilo qualitativo, sia sotto quello quantitativo, dei fattori sintomatici di autonoma organizzazione (come detto, ammortamenti, compensi a terzi, ecc.), comunque ricavabili dai documenti prodotti dalle parti.
Inoltre, è mancata la rigorosa verifica degli elementi probatori posti a carico del professionista.
Si ricorda, infatti, che, nelle liti di rimborso, l’onere della prova spetta al contribuente. Al riguardo, è forse opportuno rammentare altresì che, pure nel processo tributario, vige il principio di “acquisizione probatoria”. In virtù di ciò, qualora dalla documentazione prodotta dall’ufficio emergano elementi idonei a dimostrare l’insussistenza del presupposto d’imposta, il giudice non può esimersi dal valutarli sulla base della loro provenienza.
Per quanto sopra, la Suprema Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata rinviandola ad altra sezione della Commissione tributaria regionale di Genova affinché proceda ad un nuovo esame sulla base dei principi sopra esposti.

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