Contenzioso
Procedura a rischio di incostituzionalità
In sostanza, si subordina il ricorso giudiziale al previo ricorso amministrativo
Tralasciando per un momento le problematiche tecniche, operative e logiche della procedura di reclamo, è il caso di interrogarsi sulla costituzionalità della procedura, visto che, a nostro avviso, molte sono le perplessità al riguardo.
Riportiamo, brevemente, due articoli della Costituzione in tema di giurisdizione: l’art. 24, come noto, impone che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” e che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”; a sua volta, l’art. 113, secondo comma stabilisce che, nei confronti degli atti amministrativi, la “tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti”.
Varie volte la Corte Costituzionale ha espunto dall’ordinamento norme che subordinavano la tutela giurisdizionale al previo esperimento del ricorso amministrativo, come ad esempio è successo per il “vecchio” art. 33 del DPR 642/72 sull’imposta di bollo (sentenza 406 del 1993).
Il concetto è palese: il cittadino deve poter ricorrere immediatamente dinanzi ad un organo terzo e imparziale, non dinanzi alla parte che ha emesso il provvedimento. Il giudice tributario, con tutti i suoi difetti, è un organo imparziale, in quanto, a differenza di ciò che avviene in altre giurisdizioni, non ci sono (e si spera non ci saranno mai) elementi nominati dall’amministrazione pubblica. In altri termini, la parte in causa non si sceglie i giudici, e ciò non è di poco conto.
La formulazione del nuovo art. 17-bis, in maniera un po’ subdola, viola i precetti costituzionali: certo, il reclamo ha gli stessi effetti del ricorso (si nota che, se la procedura conciliatoria non ha esito positivo, il contribuente non deve proporre ricorso, visto che è già stato fatto reclamo, ma provvede direttamente alla costituzione in giudizio); però, in buona sostanza, il contribuente, per adire il giudice tributario, deve esperire prima il ricorso gerarchico, perché di questo si tratta.
Insomma, il previo esperimento del reclamo (o ricorso amministrativo) è, come dice espressamente la legge, condizione di ammissibilità del ricorso, e la sua mancanza causa l’inammissibilità.
Che succede se il contribuente non presentasse il reclamo? Ricorso, come detto, inammissibile, e, a questo punto, il contribuente lo può ripresentare? Assolutamente no, perché sarebbero con ogni probabilità oramai decorsi i sessanta giorni, quindi la pretesa sarebbe cristallizzata per mancato esperimento della fase amministrativa, si ribadisce, amministrativa e non di mediazione.
Non consola il fatto che la fase di mediazione si svolgerà di fronte a “strutture autonome” diverse da quelle che hanno curato l’istruttoria sull’atto reclamabile, visto che tale previsione, sia permesso, si commenta da sola.
Riportiamo, brevemente, due articoli della Costituzione in tema di giurisdizione: l’art. 24, come noto, impone che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” e che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”; a sua volta, l’art. 113, secondo comma stabilisce che, nei confronti degli atti amministrativi, la “tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti”.
Varie volte la Corte Costituzionale ha espunto dall’ordinamento norme che subordinavano la tutela giurisdizionale al previo esperimento del ricorso amministrativo, come ad esempio è successo per il “vecchio” art. 33 del DPR 642/72 sull’imposta di bollo (sentenza 406 del 1993).
Il concetto è palese: il cittadino deve poter ricorrere immediatamente dinanzi ad un organo terzo e imparziale, non dinanzi alla parte che ha emesso il provvedimento. Il giudice tributario, con tutti i suoi difetti, è un organo imparziale, in quanto, a differenza di ciò che avviene in altre giurisdizioni, non ci sono (e si spera non ci saranno mai) elementi nominati dall’amministrazione pubblica. In altri termini, la parte in causa non si sceglie i giudici, e ciò non è di poco conto.
La formulazione del nuovo art. 17-bis, in maniera un po’ subdola, viola i precetti costituzionali: certo, il reclamo ha gli stessi effetti del ricorso (si nota che, se la procedura conciliatoria non ha esito positivo, il contribuente non deve proporre ricorso, visto che è già stato fatto reclamo, ma provvede direttamente alla costituzione in giudizio); però, in buona sostanza, il contribuente, per adire il giudice tributario, deve esperire prima il ricorso gerarchico, perché di questo si tratta.
Il Legislatore è ancora in tempo per intervenire
Siamo lontani da un tentativo di conciliazione sulla falsariga di ciò che avviene nel processo del lavoro, ove, prima della fase giudiziale, datore di lavoro e lavoratore subordinato si incontrano davanti alla Direzione provinciale del Lavoro per “aggiustare la questione”. La DPL è organo terzo, non giudiziale ma sempre terzo. Nel nostro caso, le parti (Agenzia delle Entrate e contribuente) si incontrano di fronte alla parte in causa che ha il coltello dalla parte del manico, ovvero la Direzione provinciale o la DRE.Insomma, il previo esperimento del reclamo (o ricorso amministrativo) è, come dice espressamente la legge, condizione di ammissibilità del ricorso, e la sua mancanza causa l’inammissibilità.
Che succede se il contribuente non presentasse il reclamo? Ricorso, come detto, inammissibile, e, a questo punto, il contribuente lo può ripresentare? Assolutamente no, perché sarebbero con ogni probabilità oramai decorsi i sessanta giorni, quindi la pretesa sarebbe cristallizzata per mancato esperimento della fase amministrativa, si ribadisce, amministrativa e non di mediazione.
Non consola il fatto che la fase di mediazione si svolgerà di fronte a “strutture autonome” diverse da quelle che hanno curato l’istruttoria sull’atto reclamabile, visto che tale previsione, sia permesso, si commenta da sola.
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