diritto societario
Sas: l’accomandante non può mai divenire legale rappresentante
In mancanza dell’accomandatario, se non nomina un amministratore provvisorio, non lo diventa anche se amministra personalmente
In caso di sopravvenuta mancanza di tutti i soci accomandatari in una società in accomandita semplice, il socio accomandante superstite che, nel periodo di sei mesi concesso dalla legge per ricostituire la categoria di soci venuta meno, non provveda alla nomina di un amministratore provvisorio, ma compia direttamente atti di gestione della società, non assume la qualità di rappresentante legale della stessa. E ciò benché egli perda, a causa dell’immistione nell’amministrazione, il beneficio della responsabilità limitata e risulti, quindi, equiparato, sotto tale profilo, ai soci accomandatari.
È questo il principio affermato dalla Sezione VI della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15067 di ieri, 7 luglio 2011. Con tale pronuncia la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da una sas, sulla base del rilievo che l’avvenuto decesso del socio accomandatario non valesse ad attribuire all’accomandante la legale rappresentanza della società, benché in tale asserita veste, in violazione del divieto di immistione, quest’ultimo avesse rilasciato al difensore la procura speciale in calce al ricorso per Cassazione.
Per comprendere la portata del principio sopra richiamato, va ricordato che uno degli elementi essenziali del tipo societario di cui si tratta è la contemporanea presenza di due distinte categorie di soci: i soci accomandatari, ai quali è riservata l’amministrazione della società e che, analogamente ai soci della snc, rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali, e i soci accomandanti, esclusi dal potere di gestione della società, che rispondono limitatamente alla quota conferita.
La compresenza di tali categorie deve permanere per tutta la durata della sas: proprio per questo l’art. 2323 c.c. stabilisce che, qualora rimangano soltanto soci accomandatari o soci accomandanti, la società si sciolga ove, nel termine di 6 mesi, non venga ricostituita la categoria di soci mancante. Sempre la particolare conformazione della sas è alla base della disciplina del c.d. “periodo transitorio”: è, infatti, previsto che, durante il periodo di 6 mesi concesso per il ripristino di entrambe le categorie di soci, l’attività della società prosegua normalmente ove siano rimasti soltanto soci accomandatari; qualora, invece, siano rimasti solo soci accomandanti, il comma 2 del citato art. 2323 c.c. impone loro di nominare, per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione, un amministratore provvisorio.
Ma cosa succede nel caso in cui gli accomandanti superstiti, come è accaduto nella specie, invece di provvedere alla nomina dell’amministratore provvisorio, amministrino personalmente la società, esercitando prerogative proprie degli accomandatari? La giurisprudenza di legittimità, cui rinvia l’ordinanza in esame, è costante nell’affermare che l’art. 2323 c.c. – nel prevedere, in caso di sopravvenuta mancanza di tutti gli accomandatari, la sostituzione dei soci venuti meno e la nomina, in via provvisoria, di un amministratore per l’ordinaria amministrazione – esclude implicitamente la possibilità di riconoscere al socio accomandante, ancorché unico superstite, la qualità di rappresentante della società per il solo fatto di aver assunto in concreto la gestione sociale (cfr., tra le altre, Cass. n. 5790/1997, 21803/2006, 19736/2008).
In tali casi, il compimento, da parte dell’accomandante, di atti gestori è sanzionato dall’art. 2320 c.c. con la perdita del beneficio della responsabilità limitata per le obbligazioni sociali. Come si è accennato, infatti, gli accomandanti sono esclusi dal potere di gestione e non possono compiere né atti di amministrazione interna, né atti di rappresentanza della società, se non in presenza delle condizioni ed entro limiti tassativamente stabiliti dalla legge.
La violazione del suddetto divieto di immistione determina l’assunzione, da parte del socio accomandante, di una responsabilità verso i creditori sociali che, al pari della responsabilità gravante sui soci accomandatari, ha natura solidale, illimitata e sussidiaria: egli si trova, cioè, a dover rispondere, di fronte ai terzi, per tutte le obbligazioni sociali passate, presenti e future che, a qualsiasi titolo, siano imputabili alla società, indipendentemente da ogni rapporto con esse.
Tuttavia – va evidenziato – nonostante l’equiparazione agli accomandatari in termini di responsabilità, il socio accomandante ingeritosi nell’amministrazione non assume la qualifica di socio accomandatario. Sotto ogni altro aspetto, egli resta, dunque, socio accomandante, con conseguente esclusione dalla gestione e dalla rappresentanza della sas.
E questo vale sia per la rappresentanza “sostanziale”, dovendosi escludere la responsabilità della società per i contratti stipulati dall’accomandante, essendo quest’ultimo un “falsus procurator”; sia sul piano “processuale”, non potendosi che considerare inammissibile – come conclude l’ordinanza in commento – “il ricorso da lui proposto in nome di un soggetto del quale non ha la rappresentanza”.
È questo il principio affermato dalla Sezione VI della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15067 di ieri, 7 luglio 2011. Con tale pronuncia la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da una sas, sulla base del rilievo che l’avvenuto decesso del socio accomandatario non valesse ad attribuire all’accomandante la legale rappresentanza della società, benché in tale asserita veste, in violazione del divieto di immistione, quest’ultimo avesse rilasciato al difensore la procura speciale in calce al ricorso per Cassazione.
Per comprendere la portata del principio sopra richiamato, va ricordato che uno degli elementi essenziali del tipo societario di cui si tratta è la contemporanea presenza di due distinte categorie di soci: i soci accomandatari, ai quali è riservata l’amministrazione della società e che, analogamente ai soci della snc, rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali, e i soci accomandanti, esclusi dal potere di gestione della società, che rispondono limitatamente alla quota conferita.
La compresenza di tali categorie deve permanere per tutta la durata della sas: proprio per questo l’art. 2323 c.c. stabilisce che, qualora rimangano soltanto soci accomandatari o soci accomandanti, la società si sciolga ove, nel termine di 6 mesi, non venga ricostituita la categoria di soci mancante. Sempre la particolare conformazione della sas è alla base della disciplina del c.d. “periodo transitorio”: è, infatti, previsto che, durante il periodo di 6 mesi concesso per il ripristino di entrambe le categorie di soci, l’attività della società prosegua normalmente ove siano rimasti soltanto soci accomandatari; qualora, invece, siano rimasti solo soci accomandanti, il comma 2 del citato art. 2323 c.c. impone loro di nominare, per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione, un amministratore provvisorio.
Ma cosa succede nel caso in cui gli accomandanti superstiti, come è accaduto nella specie, invece di provvedere alla nomina dell’amministratore provvisorio, amministrino personalmente la società, esercitando prerogative proprie degli accomandatari? La giurisprudenza di legittimità, cui rinvia l’ordinanza in esame, è costante nell’affermare che l’art. 2323 c.c. – nel prevedere, in caso di sopravvenuta mancanza di tutti gli accomandatari, la sostituzione dei soci venuti meno e la nomina, in via provvisoria, di un amministratore per l’ordinaria amministrazione – esclude implicitamente la possibilità di riconoscere al socio accomandante, ancorché unico superstite, la qualità di rappresentante della società per il solo fatto di aver assunto in concreto la gestione sociale (cfr., tra le altre, Cass. n. 5790/1997, 21803/2006, 19736/2008).
In tali casi, il compimento, da parte dell’accomandante, di atti gestori è sanzionato dall’art. 2320 c.c. con la perdita del beneficio della responsabilità limitata per le obbligazioni sociali. Come si è accennato, infatti, gli accomandanti sono esclusi dal potere di gestione e non possono compiere né atti di amministrazione interna, né atti di rappresentanza della società, se non in presenza delle condizioni ed entro limiti tassativamente stabiliti dalla legge.
La violazione del suddetto divieto di immistione determina l’assunzione, da parte del socio accomandante, di una responsabilità verso i creditori sociali che, al pari della responsabilità gravante sui soci accomandatari, ha natura solidale, illimitata e sussidiaria: egli si trova, cioè, a dover rispondere, di fronte ai terzi, per tutte le obbligazioni sociali passate, presenti e future che, a qualsiasi titolo, siano imputabili alla società, indipendentemente da ogni rapporto con esse.
Tuttavia – va evidenziato – nonostante l’equiparazione agli accomandatari in termini di responsabilità, il socio accomandante ingeritosi nell’amministrazione non assume la qualifica di socio accomandatario. Sotto ogni altro aspetto, egli resta, dunque, socio accomandante, con conseguente esclusione dalla gestione e dalla rappresentanza della sas.
E questo vale sia per la rappresentanza “sostanziale”, dovendosi escludere la responsabilità della società per i contratti stipulati dall’accomandante, essendo quest’ultimo un “falsus procurator”; sia sul piano “processuale”, non potendosi che considerare inammissibile – come conclude l’ordinanza in commento – “il ricorso da lui proposto in nome di un soggetto del quale non ha la rappresentanza”.
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