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giovedì 20 dicembre 2012

Merci comunitarie in lavorazione senza obbligo di registro

iva

Merci comunitarie in lavorazione senza obbligo di registro

Non può trattarsi di acquisto intracomunitario, se il contribuente dimostra il transito a titolo non traslativo di tali beni

/ Giovedì 20 dicembre 2012
L’omessa istituzione del registro di carico e scarico dei beni in lavorazione provenienti dai Paesi comunitari comporta la sola irrogazione della sanzione amministrativa prevista per la violazione dell’obbligo di tenuta di tale registro; il Fisco, in tal caso, non può considerare la merce proveniente da un Paese comunitario per la sola lavorazione in Italia come un acquisto intracomunitario, se il contribuente fornisce la documentazione attestante il transito a titolo non traslativo di tali beni. Lo ha stabilito la C.T. Prov. di Cuneo, con la sentenza n. 145 dell’8 novembre 2012.
L’art. 50, comma 5, del DL 331/1993 prevede che i movimenti relativi a beni spediti in altro Stato della Comunità europea o da questo provenienti in base ad uno dei titoli non traslativi, di cui all’art. 38, comma 5, lett. a), vanno annotati in apposito registro, tenuto e conservato a norma dell’art. 39 del DPR 633/1972. Inoltre, non sono acquisti intracomunitari l’introduzione nel territorio dello Stato di beni oggetto di operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali, se i beni sono successivamente trasportati o spediti al committente, soggetto passivo d’imposta, nello Stato membro di provenienza o per suo conto in altro Stato membro ovvero fuori del territorio della Comunità, nonché l’introduzione nel territorio dello Stato di beni temporaneamente utilizzati per l’esecuzione di prestazioni o che, se importati, beneficerebbero dell’ammissione temporanea in esenzione totale dai dazi doganali.
Nel caso di specie, una srl aveva ricevuto beni da un cliente comunitario, in forza di un contratto di commessa, per la loro lavorazione e successiva restituzione al committente. Riscontrata, però, l’omessa istituzione del registro di carico e scarico di cui al sopraccitato art. 50, l’Agenzia delle Entrate, stante la presenza di tali beni di provenienza comunitaria presso la sede del contribuente, contestava l’esistenza di acquisti intracomunitari, applicando la presunzione di acquisto di cui all’art. 3 del DLgs. 441/1997.
L’Amministrazione finanziaria sosteneva che il predetto registro di cui all’art. 50 serviva proprio a vincere le presunzioni di acquisto e di vendita di cui al DLgs. 441/1997 e la sua omessa istituzione comportava che i beni di origine comunitaria rinvenuti nella sede del contribuente dovessero essere qualificati come acquisto intracomunitario. La società eccepiva che, in realtà, la norma prevede solo l’obbligo istitutivo del registro, ma non stabilisce alcuna sanzione in caso di violazione.
I giudici piemontesi hanno osservato che la ratio sottesa alla disposizione è, in effetti, quella di prevedere uno strumento idoneo a monitorare i trasferimenti di merci in ambito comunitario, soprattutto dopo la soppressione delle barriere doganali. Pertanto, per vincere la presunzione di acquisto applicata dal Fisco, non sarebbe stato necessario il predetto registro, essendo sufficienti eventuali prove alternative fornite dal contribuente. Per il collegio, quindi, si trattava di valutare se le allegazioni documentali della società fossero a tal fine idonee.
La srl aveva esibito un ordine di lavorazione per un bene da consegnare “libero da costi di trasporto ed imballaggio presso la sede della società” e una fattura emessa nei confronti del committente comunitario, recante lo stesso numero d’ordine. Secondo i giudici di prime cure, tali documenti erano idonei a vincere la presunzione d’acquisto, per cui il rilievo del Fisco è stato annullato, mentre è stata confermata la sanzione di 516 euro per l’omessa istituzione del registro di cui all’art. 50, comma 5, del DL 331/1993.
Al riguardo, in passato, l’Amministrazione finanziaria aveva assunto una posizione piuttosto rigida, stabilendo che “la movimentazione dei predetti beni deve risultare da annotazione nell’apposito registro di cui all’art. 50, comma 5” (ris. n. 30 del 10 marzo 2000 - prot. n. 41400). Quindi, non era possibile utilizzare altri documenti ai fini della prova della lavorazione dei beni di provenienza comunitaria, in sostituzione del registro in oggetto.
Più recentemente, però, l’Agenzia ha rivisto la propria posizione e, affrontando il tema della movimentazione dei beni tra Paesi Ue a titolo non traslativo della proprietà e dell’uso dell’apposito registro su cui annotare la movimentazione di merci comunitarie così come previsto dal comma 5 dell’art. 50, ha stabilito che “l’obbligo di annotazione su un apposito registro possa essere assolto (...) mediante la presa in «carico» dei beni, destinati ad essere trasportati nell’altro Paese membro, su un apposito documento, numerato e conservato agli atti della società a norma del citato articolo 39” (ris. n. 39 del 31 marzo 2005). Analoghe considerazioni dovrebbero valere, quindi, per l’operazione inversa, ovvero quando i beni sono trasportati in Italia da uno Stato membro per la loro lavorazione. Alla luce di ciò, deve ritenersi accettabile la soluzione dei cosiddetti DDT di conto lavorazione, con cui si attesta il transito delle merci comunitarie soggette a lavorazione, in luogo delle annotazioni sul registro de quo. Peraltro, il DDT è anche un documento idoneo a vincere la presunzione d’acquisto ex art. 3 del DLgs. 441/1997.
 / Alessandro BORGOGLIO FONTE:EUTEKNE

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