Il valore dell’immobile ai fini del registro “vale” per l’IRPEF fino a prova contraria
14 dicembre 2012
In ipotesi di cessione di area edificabile,
il valore dell’immobile definito a seguito di accertamento con adesione
ai fini dell’imposta di registro non coincide con il corrispettivo
della cessione, sulla cui base deve essere calcolata la plusvalenza ai
fini IRPEF. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate può utilizzare il valore
accertato ai fini dell’imposta di registro come elemento presuntivo da cui desumere il corrispettivo rilevante ai fini IRPEF, ma tale presunzione semplice può essere vinta dal contribuente mediante prova contraria.
Ove il contribuente fornisca elementi di prova per dimostrare di aver concretamente acquistato a prezzo inferiore rispetto a quanto accertato dall’Agenzia delle Entrate, il giudice che ritenga di confermare la coincidenza tra valore accertato ai fini del registro ed il corrispettivo rilevante ai fini IRPEF è tenuto a precisare per quali motivi ritenga non convincenti o non valide le prove fornite dal contribuente.
Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 23001, depositata ieri.
La sentenza in parola enuncia un principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità (si vedano, da ultimo, le sentenze della Cassazione n. 11012/2012 e 12632/2012), in particolare nell’ambito della cessione d’azienda (principio, peraltro, non condiviso dalla dottrina, cfr. la Norma di comportamento AIDC n. 171).
Infatti, come già segnalato su Eutekne.info (si veda “Legittimo l’induttivo della plusvalenza in base al valore definito ai fini del registro” del 18 agosto 2012), è ormai principio consolidato quello secondo cui, sebbene i principi relativi alla determinazione dell’imponibile divergano, nel caso di trasferimento di un bene, a seconda dell’imposta che si deve applicare (in quanto, ai fini delle imposte sul reddito, per l’accertamento della plusvalenza patrimoniale, occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo d’acquisto ed il prezzo di cessione del bene; mentre, ai fini dell’imposta di registro, si ha riguardo al valore di mercato del bene medesimo), ciò non esclude che l’Amministrazione finanziaria possa procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro ed è onere probatorio del contribuente (anche con ricorso ad elementi indiziari) superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di aver, in concreto, venduto ad un prezzo inferiore. Nella sentenza in parola, la Corte, facendo applicazione di tale principio, cassa la sentenza di merito che aveva semplicemente affermato la coincidenza tra valore dell’immobile accertato ai fini del registro ed il corrispettivo rilevante per le imposte dirette, senza fornire adeguata motivazione delle ragioni per le quali ritenesse non convincenti gli elementi di prova contraria addotti dal contribuente.
In particolare, infatti, il contribuente, in giudizio, aveva affermato che:
- l’adesione all’accertamento ai fini dell’imposta di registro era avvenuto, da parte del venditore, solo perché il costo era destinato a gravare, per contratto, sull’acquirente;
- il prezzo di vendita dichiarato corrispondeva a quanto risultante dalla documentazione bancaria;
- il prezzo di vendita indicato dall’Agenzia delle Entrate era contraddetto da una perizia estimativa prodotta in giudizio.
Pertanto, la Corte di Cassazione rinvia la causa ad altra sezione perché, facendo applicazione dei principi enunciati, “accerti motivatamente se, nella specie, le allegazioni di fatto della contribuente, sopra richiamate siano o meno sufficienti per superare la presunzione semplice di conformità tra il corrispettivo percepito per la vendita di un bene ed il valore del medesimo bene accertato ai fini dell’imposta di registro”.
Ove il contribuente fornisca elementi di prova per dimostrare di aver concretamente acquistato a prezzo inferiore rispetto a quanto accertato dall’Agenzia delle Entrate, il giudice che ritenga di confermare la coincidenza tra valore accertato ai fini del registro ed il corrispettivo rilevante ai fini IRPEF è tenuto a precisare per quali motivi ritenga non convincenti o non valide le prove fornite dal contribuente.
Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione, nella sentenza n. 23001, depositata ieri.
La sentenza in parola enuncia un principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità (si vedano, da ultimo, le sentenze della Cassazione n. 11012/2012 e 12632/2012), in particolare nell’ambito della cessione d’azienda (principio, peraltro, non condiviso dalla dottrina, cfr. la Norma di comportamento AIDC n. 171).
Infatti, come già segnalato su Eutekne.info (si veda “Legittimo l’induttivo della plusvalenza in base al valore definito ai fini del registro” del 18 agosto 2012), è ormai principio consolidato quello secondo cui, sebbene i principi relativi alla determinazione dell’imponibile divergano, nel caso di trasferimento di un bene, a seconda dell’imposta che si deve applicare (in quanto, ai fini delle imposte sul reddito, per l’accertamento della plusvalenza patrimoniale, occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo d’acquisto ed il prezzo di cessione del bene; mentre, ai fini dell’imposta di registro, si ha riguardo al valore di mercato del bene medesimo), ciò non esclude che l’Amministrazione finanziaria possa procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro ed è onere probatorio del contribuente (anche con ricorso ad elementi indiziari) superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di aver, in concreto, venduto ad un prezzo inferiore. Nella sentenza in parola, la Corte, facendo applicazione di tale principio, cassa la sentenza di merito che aveva semplicemente affermato la coincidenza tra valore dell’immobile accertato ai fini del registro ed il corrispettivo rilevante per le imposte dirette, senza fornire adeguata motivazione delle ragioni per le quali ritenesse non convincenti gli elementi di prova contraria addotti dal contribuente.
In particolare, infatti, il contribuente, in giudizio, aveva affermato che:
- l’adesione all’accertamento ai fini dell’imposta di registro era avvenuto, da parte del venditore, solo perché il costo era destinato a gravare, per contratto, sull’acquirente;
- il prezzo di vendita dichiarato corrispondeva a quanto risultante dalla documentazione bancaria;
- il prezzo di vendita indicato dall’Agenzia delle Entrate era contraddetto da una perizia estimativa prodotta in giudizio.
Pertanto, la Corte di Cassazione rinvia la causa ad altra sezione perché, facendo applicazione dei principi enunciati, “accerti motivatamente se, nella specie, le allegazioni di fatto della contribuente, sopra richiamate siano o meno sufficienti per superare la presunzione semplice di conformità tra il corrispettivo percepito per la vendita di un bene ed il valore del medesimo bene accertato ai fini dell’imposta di registro”.
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