ilcasodelgiorno
Amministratori senza deleghe non possono impedire l’evento penalmente rilevante
Nelle condotte attive rileva la
conoscenza effettiva di segnali di allarme; per quelle omissive, i
poteri di impedire l’evento non sembrano adeguati
La Corte di Cassazione, nella sentenza 2
novembre 2012 n. 42519, ha accuratamente ricostruito alcuni profili di
responsabilità degli amministratori non operativi delle società di capitali a fronte di fatti distrattivi del patrimonio sociale posti in essere dai “delegati”.
La questione, in esito alle modifiche introdotte in ambito civilistico dal DLgs. 6/2003, è stata già affrontata dalla giurisprudenza di legittimità (sono sintetizzati, infatti, i passaggi fondamentali delle motivazioni contenute in Cass. 19 giugno 2007 n. 23838, Cass. 22 novembre 2007 n. 43101, Cass. 9 dicembre 2008 n. 45513, Cass. 3 marzo 2009 n. 9736 e Cass. 22 settembre 2009 n. 36595).
Ne emerge in primo luogo il venir meno, in capo all’amministratore non operativo, di uno specifico obbligo di vigilanza sugli atti compiuti dal delegato alla gestione. Agli amministratori deleganti, infatti, oggi si chiede non di “vigilare”, ma di “valutare” l’andamento della gestione in base alle informazioni ricevute. E sono proprio tali informazioni – che ciascun amministratore può chiedere ai delegati di fornire in cda, sino a dover ritenere che egli debba attivarsi per ottenerle qualora ricorrano dati sintomatici di potenziali fatti pregiudizievoli della società – a costituire il parametro su cui fondare in capo al soggetto privo di delega l’obbligo di attivarsi per impedire il verificarsi di eventi dannosi; obbligo che, in sede penale, può determinare una responsabilità in forza di quanto sancito dall’art. 40 comma 2 c.p. (non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo).
Occorre, peraltro, distinguere il caso in cui gli amministratori privi di deleghe partecipino alle deliberazioni nelle quali si sostanzia l’operazione distrattiva (condotte attive), da quello in cui tale partecipazione manchi e ci si trovi di fronte ad una colpevole inerzia rispetto ad attività materialmente ascrivibili a terzi (condotte omissive).
Rispetto alla prima ipotesi, assume rilievo centrale la previsione normativa che impone agli amministratori di agire in modo informato (art. 2381 comma 6 c.c.), da leggersi in combinazione con l’art. 2392 comma 1 c.c., che impone agli amministratori la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Ne consegue che, intanto, si può discutere di dolo, per l’amministratore privo di deleghe, in quanto egli sia venuto a conoscenza di dati da cui desumere un evento pregiudizievole per la società, o almeno il rischio del verificarsi di un tale evento, e volontariamente abbia omesso di attivarsi per scongiurarlo. Occorre, dunque, la conoscenza del “segnale d’allarme” e non la mera conoscibilità. E non solo. Occorre, infatti, che il dato indicativo del rischio di verificazione dell’evento (ovvero il suddetto segnale d’allarme) sia stato non solo conosciuto, ma anche “rappresentato” come dimostrativo di fatti potenzialmente dannosi da parte dell’amministratore non operativo che, ciononostante, è rimasto inerte.
Diversamente non si potrebbe ancora discutere di dolo, neppure nella sua forma eventuale, che richiede pur sempre da parte del soggetto attivo la determinazione di orientarsi verso la lesione (per quanto in termini di mera accettazione del rischio che essa si produca). In pratica, un conto è che l’amministratore privo di deleghe rimanga indifferente dinnanzi ad un “segnale d’allarme” percepito come tale, e ben altra cosa è che egli continui a riconoscere fiducia, per quanto mal riposta, verso le capacità gestionali di altri. Solo nel primo caso l’amministratore potrà essere chiamato a rispondere penalmente della propria condotta, ma non nel secondo, dove – ferma l’eventuale responsabilità in sede civile – sarebbe ipotizzabile soltanto una condotta colposa, al massimo nella forma della colpa cosciente (per aver erroneamente confidato nelle capacità manageriali di altri).
Con riguardo, invece, al caso dell’amministratore privo di deleghe che, nel previsto scambio informativo, venga a conoscenza di “segnali di allarme” senza attivarsi per impedire il verificarsi di eventi dannosi, la sentenza in commento sottolinea un aspetto di fondamentale importanza, ma senza approfondirlo, dal momento che non presentava rilevanza per il caso concreto. E’ evidenziato, infatti, come il quadro normativo di riferimento – da considerare ancor prima di discutere dell’elemento psicologico – continui ad essere ambiguo. L’obbligo giuridico di impedire l’evento è ravvisabile nell’art. 2392 c.c., che sancisce una responsabilità solidale del delegante quando, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbia fatto quanto poteva per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. Tale prescrizione, tuttavia, è imposta in termini assolutamente generici. “Se sono da intendere solidalmente responsabili, al pari di chi abbia cagionato un evento, coloro che «non hanno fatto quanto potevano» per impedirlo, occorre che quei poteri siano ben determinati, ed il loro esercizio sia normativamente disciplinato in guisa tale da poter ricavare la certezza che, laddove esercitati davvero, l’evento sarebbe stato scongiurato: il che non sembra essere nella legislazione vigente”.
/ Maurizio MEOLI FONTE:EUTEKNE
La questione, in esito alle modifiche introdotte in ambito civilistico dal DLgs. 6/2003, è stata già affrontata dalla giurisprudenza di legittimità (sono sintetizzati, infatti, i passaggi fondamentali delle motivazioni contenute in Cass. 19 giugno 2007 n. 23838, Cass. 22 novembre 2007 n. 43101, Cass. 9 dicembre 2008 n. 45513, Cass. 3 marzo 2009 n. 9736 e Cass. 22 settembre 2009 n. 36595).
Ne emerge in primo luogo il venir meno, in capo all’amministratore non operativo, di uno specifico obbligo di vigilanza sugli atti compiuti dal delegato alla gestione. Agli amministratori deleganti, infatti, oggi si chiede non di “vigilare”, ma di “valutare” l’andamento della gestione in base alle informazioni ricevute. E sono proprio tali informazioni – che ciascun amministratore può chiedere ai delegati di fornire in cda, sino a dover ritenere che egli debba attivarsi per ottenerle qualora ricorrano dati sintomatici di potenziali fatti pregiudizievoli della società – a costituire il parametro su cui fondare in capo al soggetto privo di delega l’obbligo di attivarsi per impedire il verificarsi di eventi dannosi; obbligo che, in sede penale, può determinare una responsabilità in forza di quanto sancito dall’art. 40 comma 2 c.p. (non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo).
Occorre, peraltro, distinguere il caso in cui gli amministratori privi di deleghe partecipino alle deliberazioni nelle quali si sostanzia l’operazione distrattiva (condotte attive), da quello in cui tale partecipazione manchi e ci si trovi di fronte ad una colpevole inerzia rispetto ad attività materialmente ascrivibili a terzi (condotte omissive).
Rispetto alla prima ipotesi, assume rilievo centrale la previsione normativa che impone agli amministratori di agire in modo informato (art. 2381 comma 6 c.c.), da leggersi in combinazione con l’art. 2392 comma 1 c.c., che impone agli amministratori la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Ne consegue che, intanto, si può discutere di dolo, per l’amministratore privo di deleghe, in quanto egli sia venuto a conoscenza di dati da cui desumere un evento pregiudizievole per la società, o almeno il rischio del verificarsi di un tale evento, e volontariamente abbia omesso di attivarsi per scongiurarlo. Occorre, dunque, la conoscenza del “segnale d’allarme” e non la mera conoscibilità. E non solo. Occorre, infatti, che il dato indicativo del rischio di verificazione dell’evento (ovvero il suddetto segnale d’allarme) sia stato non solo conosciuto, ma anche “rappresentato” come dimostrativo di fatti potenzialmente dannosi da parte dell’amministratore non operativo che, ciononostante, è rimasto inerte.
Diversamente non si potrebbe ancora discutere di dolo, neppure nella sua forma eventuale, che richiede pur sempre da parte del soggetto attivo la determinazione di orientarsi verso la lesione (per quanto in termini di mera accettazione del rischio che essa si produca). In pratica, un conto è che l’amministratore privo di deleghe rimanga indifferente dinnanzi ad un “segnale d’allarme” percepito come tale, e ben altra cosa è che egli continui a riconoscere fiducia, per quanto mal riposta, verso le capacità gestionali di altri. Solo nel primo caso l’amministratore potrà essere chiamato a rispondere penalmente della propria condotta, ma non nel secondo, dove – ferma l’eventuale responsabilità in sede civile – sarebbe ipotizzabile soltanto una condotta colposa, al massimo nella forma della colpa cosciente (per aver erroneamente confidato nelle capacità manageriali di altri).
Con riguardo, invece, al caso dell’amministratore privo di deleghe che, nel previsto scambio informativo, venga a conoscenza di “segnali di allarme” senza attivarsi per impedire il verificarsi di eventi dannosi, la sentenza in commento sottolinea un aspetto di fondamentale importanza, ma senza approfondirlo, dal momento che non presentava rilevanza per il caso concreto. E’ evidenziato, infatti, come il quadro normativo di riferimento – da considerare ancor prima di discutere dell’elemento psicologico – continui ad essere ambiguo. L’obbligo giuridico di impedire l’evento è ravvisabile nell’art. 2392 c.c., che sancisce una responsabilità solidale del delegante quando, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non abbia fatto quanto poteva per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. Tale prescrizione, tuttavia, è imposta in termini assolutamente generici. “Se sono da intendere solidalmente responsabili, al pari di chi abbia cagionato un evento, coloro che «non hanno fatto quanto potevano» per impedirlo, occorre che quei poteri siano ben determinati, ed il loro esercizio sia normativamente disciplinato in guisa tale da poter ricavare la certezza che, laddove esercitati davvero, l’evento sarebbe stato scongiurato: il che non sembra essere nella legislazione vigente”.
/ Maurizio MEOLI FONTE:EUTEKNE
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