Riqualificazione degli atti con contraddittorio obbligatorio
24 novembre 2012
Utilizzando
l’art. 20 del DPR 131/86, spesso l’Agenzia delle Entrate emette
accertamenti fondati sulla circostanza che il conferimento di azienda in
una newco e la successiva cessione delle partecipazioni può essere considerata un’operazione di natura elusiva, in quanto in tal modo il contribuente sconta l’imposta di registro fissa anziché proporzionale.
Per varie ragioni, prima tra tutte l’assoluta liceità fiscale dell’operazione sotto il profilo dell’imposizione diretta (art. 176 del TUIR), sono sempre più numerose le sentenze che cassano tale ragionamento, ma, a parte ciò, esiste un aspetto su cui vale la pena di soffermarsi: la previa instaurazione del contraddittorio.
Detta questione è stata affrontata in maniera esaustiva dalla C.T. Prov. di Torino con la sentenza dello scorso 10 maggio, n. 67/11/12.
Per prima cosa, occorre osservare che l’art. 20 del DPR 131/86 ha una natura sostanzialmente antielusiva, e tale fatto non può essere messo in discussione.
Oltre a tale aspetto, l’art. 53-bis del DPR 131/86 afferma nella sua versione attuale che “le attribuzioni e i poteri di cui agli artt. 31 e seguenti del DPR 29/9/1973 n. 600, e successive modificazioni, possono essere esercitati anche ai fini dell’imposta di registro”, quindi si può affermare che negli accertamenti sulla riqualificazione degli atti si applica, in merito alla procedura, la clausola antielusiva, ovvero l’art. 37-bis del DPR 600/73.
Se così stanno le cose, l’Agenzia delle Entrate è tenuta, a pena di nullità dell’atto, a due adempimenti:
- prima di emettere l’accertamento, deve invitare il contribuente a fornire chiarimenti sull’operato;
- nella parte motivazionale dell’accertamento, bisogna dare conto del motivo per cui le deduzioni difensive del contribuente non sono state ritenute soddisfacenti; in pratica, si dice che l’atto deve contenere una “motivazione rinforzata”.
I giudici affermano come “la volontà del legislatore fosse quella di ampliare e non certo di ridurre la potestà accertativa dell’ufficio in materia di imposta di registro, attribuendogli tutte quelle facoltà previste in materia di imposte dirette dagli artt. 31 e ss. del D.P.R. n. 600/1973, ovviamente nei limiti in cui esse possono essere applicate alla particolare materia e non vi è motivo, ad avviso di questa Commissione, per ritenere che l’estensione non possa essere operata anche all’art. 37-bis“.
In generale, il preventivo contraddittorio sta diventando, come fatto notare dalla Commissione, un principio generale dell’ordinamento tributario, specie in accertamenti caratterizzati da opinabilità come quello emanato ai sensi dell’art. 20 del DPR 131/86.
Se il contribuente è messo nella condizione di potersi confrontare con gli Uffici prima dell’atto, la difesa è maggiormente tutelata. Coglie molto nel segno l’affermazione della sentenza ove si specifica che proprio non convince l’affermazione, sostenuta talvolta anche dalla Cassazione, secondo cui la tutela può essere esercitata in sede giudiziale: è palese che ciò comporta costi per entrambe le parti e che il contraddittorio preventivo può evitare l’emanazione dell’atto, quindi il processo; da qui l’infondatezza, e la palese erroneità sotto il profilo della giustizia sostanziale, dell’assunto della Cassazione.
Il tutto, aggiungiamo noi, è ancora più valido quando il contribuente, di sua iniziativa dopo il “PVC”, abbia presentato le memorie difensive ex art. 12 dello Statuto del contribuente e non abbia ricevuto nessun riscontro, nemmeno in termini negativi.
Per varie ragioni, prima tra tutte l’assoluta liceità fiscale dell’operazione sotto il profilo dell’imposizione diretta (art. 176 del TUIR), sono sempre più numerose le sentenze che cassano tale ragionamento, ma, a parte ciò, esiste un aspetto su cui vale la pena di soffermarsi: la previa instaurazione del contraddittorio.
Detta questione è stata affrontata in maniera esaustiva dalla C.T. Prov. di Torino con la sentenza dello scorso 10 maggio, n. 67/11/12.
Per prima cosa, occorre osservare che l’art. 20 del DPR 131/86 ha una natura sostanzialmente antielusiva, e tale fatto non può essere messo in discussione.
Oltre a tale aspetto, l’art. 53-bis del DPR 131/86 afferma nella sua versione attuale che “le attribuzioni e i poteri di cui agli artt. 31 e seguenti del DPR 29/9/1973 n. 600, e successive modificazioni, possono essere esercitati anche ai fini dell’imposta di registro”, quindi si può affermare che negli accertamenti sulla riqualificazione degli atti si applica, in merito alla procedura, la clausola antielusiva, ovvero l’art. 37-bis del DPR 600/73.
Se così stanno le cose, l’Agenzia delle Entrate è tenuta, a pena di nullità dell’atto, a due adempimenti:
- prima di emettere l’accertamento, deve invitare il contribuente a fornire chiarimenti sull’operato;
- nella parte motivazionale dell’accertamento, bisogna dare conto del motivo per cui le deduzioni difensive del contribuente non sono state ritenute soddisfacenti; in pratica, si dice che l’atto deve contenere una “motivazione rinforzata”.
I giudici affermano come “la volontà del legislatore fosse quella di ampliare e non certo di ridurre la potestà accertativa dell’ufficio in materia di imposta di registro, attribuendogli tutte quelle facoltà previste in materia di imposte dirette dagli artt. 31 e ss. del D.P.R. n. 600/1973, ovviamente nei limiti in cui esse possono essere applicate alla particolare materia e non vi è motivo, ad avviso di questa Commissione, per ritenere che l’estensione non possa essere operata anche all’art. 37-bis“.
In generale, il preventivo contraddittorio sta diventando, come fatto notare dalla Commissione, un principio generale dell’ordinamento tributario, specie in accertamenti caratterizzati da opinabilità come quello emanato ai sensi dell’art. 20 del DPR 131/86.
Se il contribuente è messo nella condizione di potersi confrontare con gli Uffici prima dell’atto, la difesa è maggiormente tutelata. Coglie molto nel segno l’affermazione della sentenza ove si specifica che proprio non convince l’affermazione, sostenuta talvolta anche dalla Cassazione, secondo cui la tutela può essere esercitata in sede giudiziale: è palese che ciò comporta costi per entrambe le parti e che il contraddittorio preventivo può evitare l’emanazione dell’atto, quindi il processo; da qui l’infondatezza, e la palese erroneità sotto il profilo della giustizia sostanziale, dell’assunto della Cassazione.
Il tutto, aggiungiamo noi, è ancora più valido quando il contribuente, di sua iniziativa dopo il “PVC”, abbia presentato le memorie difensive ex art. 12 dello Statuto del contribuente e non abbia ricevuto nessun riscontro, nemmeno in termini negativi.
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