reddito d’impresa
Perdite su crediti alla verifica dei nuovi requisiti di deducibilità
Secondo il Consorzio studi e ricerche
fiscali di Intesa Sanpaolo, perdite deducibili anche per i creditori non
aderenti all’accordo di ristrutturazione
Con la circolare n. 4/2012, diffusa ieri,
28 novembre 2012, il Consorzio studi e ricerche fiscali del Gruppo
Intesa Sanpaolo affronta, tra l’altro, le questioni controverse della nuova disciplina delle perdite su crediti.
Si ricorda che, per effetto delle modifiche introdotte dal DL 83/2012 (conv. L. 134/2012), per i crediti vantati verso debitori assoggettati a procedure concorsuali, viene consentita la deducibilità immediata delle perdite generatesi per effetto dell’omologazione, da parte del Tribunale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Relativamente ai crediti vantati nei confronti degli altri debitori, la perdita è automaticamente deducibile quando il credito è di modesta entità ed è decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del pagamento o, in alternativa, il diritto alla riscossione è prescritto.
Una fattispecie specifica è stata infine prevista per i soggetti IAS compliant.
Sinora, i maggiori dubbi degli operatori si sono concentrati sulle perdite relative a crediti di esiguo ammontare, intendendosi per tali quelli di importo non superiore a 5.000 euro, per le imprese con volume d’affari o ricavi non inferiore a 100.000.000 di euro, e a 2.500 euro, per le altre imprese.
Un primo problema attiene alla quantificazione del credito da confrontare con le suddette soglie: ci si chiede, in particolare, se occorra riferirsi al valore legale (nominale), a quello contabile oppure a quello fiscale. Secondo la circolare in esame, sembra ragionevole considerare quello nominale, posto che si tratta dell’importo da confrontare idealmente col costo delle azioni di recupero per stabilirne la convenienza o meno. Per i crediti coperti da garanzia assicurativa, il raffronto con le citate soglie andrebbe limitato alla quota non assicurata.
Ai fini della verifica del limite quantitativo, non appare poi chiaro se occorra fare riferimento, in alternativa:
- alle singole posizioni creditorie individualmente considerate;
- a tutti i crediti vantati nei confronti di uno stesso debitore;
- all’insieme dei crediti originati dal medesimo rapporto negoziale.
Ad avviso del Consorzio studi e ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo, la rilevanza della singola posizione creditoria sembrerebbe la soluzione più coerente con la formulazione della norma e sarebbe altresì compatibile con la verifica della scadenza del termine di pagamento. Peraltro, la valenza autonoma dei singoli crediti può risultare poco allineata alla ratio della disposizione, vale a dire all’esigenza di stabilire per legge una soglia di antieconomicità delle azioni di recupero, posto che tali azioni, specie se inserite in una procedura concorsuale, possono avere ad oggetto l’intero saldo creditorio nei confronti del medesimo soggetto.
Così, secondo la circolare in esame, la soluzione più soddisfacente pare essere quella di dare autonoma rilevanza non al singolo credito, ma all’insieme dei crediti derivanti dal medesimo rapporto giuridico (es. un mutuo, un’apertura di credito; qualche dubbio in più si pone rispetto ai crediti derivanti da contratti a esecuzione continuativa o periodica, ecc.).
Il momento in cui verificare la sussistenza delle due condizioni (temporale e quantitativa) andrebbe invece individuato nella chiusura del periodo d’imposta, data alla quale si richiede la sussistenza degli elementi certi e precisi previsti dal dato normativo.
Relativamente all’ipotesi di deducibilità automatica a seguito dell’omologazione, da parte del Tribunale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti, il Consorzio si domanda se la norma si applichi anche nei confronti dei soggetti che non hanno aderito all’accordo, essendo la partecipazione dei creditori necessaria solo per il 60% della complessiva esposizione debitoria dell’impresa.
In proposito, si osserva che la formulazione letterale della norma sembra valorizzare la condizione oggettiva della conclusione di un accordo omologato dal Tribunale (che consentirebbe di considerare il debitore ufficialmente in crisi) piuttosto che quella soggettiva connessa alla partecipazione (o meno) all’accordo.
Considerato, tuttavia, che l’idoneità dell’accordo ad assicurare il pagamento dei creditori estranei non comporta l’attribuzione di alcuna forma di prelazione, né di altri strumenti che possano agevolare la riscossione del credito (tipo fidejussioni o altre garanzie), è possibile ritenere che la relativa stipulazione concretizzi un sintomo qualificato della difficoltà finanziaria del debitore, comunque idoneo a configurare i requisiti di certezza e precisione di eventuali perdite valutative imputate a Conto economico, anche nei confronti dei creditori non aderenti. Pertanto, anche questi ultimi dovrebbero poter dedurre “automaticamente” le perdite eventualmente iscritte in bilancio nelle more della procedura, senza dover altrimenti provare l’esistenza degli elementi certi e precisi.
/ Luca FORNERO
Si ricorda che, per effetto delle modifiche introdotte dal DL 83/2012 (conv. L. 134/2012), per i crediti vantati verso debitori assoggettati a procedure concorsuali, viene consentita la deducibilità immediata delle perdite generatesi per effetto dell’omologazione, da parte del Tribunale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Relativamente ai crediti vantati nei confronti degli altri debitori, la perdita è automaticamente deducibile quando il credito è di modesta entità ed è decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del pagamento o, in alternativa, il diritto alla riscossione è prescritto.
Una fattispecie specifica è stata infine prevista per i soggetti IAS compliant.
Sinora, i maggiori dubbi degli operatori si sono concentrati sulle perdite relative a crediti di esiguo ammontare, intendendosi per tali quelli di importo non superiore a 5.000 euro, per le imprese con volume d’affari o ricavi non inferiore a 100.000.000 di euro, e a 2.500 euro, per le altre imprese.
Un primo problema attiene alla quantificazione del credito da confrontare con le suddette soglie: ci si chiede, in particolare, se occorra riferirsi al valore legale (nominale), a quello contabile oppure a quello fiscale. Secondo la circolare in esame, sembra ragionevole considerare quello nominale, posto che si tratta dell’importo da confrontare idealmente col costo delle azioni di recupero per stabilirne la convenienza o meno. Per i crediti coperti da garanzia assicurativa, il raffronto con le citate soglie andrebbe limitato alla quota non assicurata.
Ai fini della verifica del limite quantitativo, non appare poi chiaro se occorra fare riferimento, in alternativa:
- alle singole posizioni creditorie individualmente considerate;
- a tutti i crediti vantati nei confronti di uno stesso debitore;
- all’insieme dei crediti originati dal medesimo rapporto negoziale.
Ad avviso del Consorzio studi e ricerche fiscali del Gruppo Intesa Sanpaolo, la rilevanza della singola posizione creditoria sembrerebbe la soluzione più coerente con la formulazione della norma e sarebbe altresì compatibile con la verifica della scadenza del termine di pagamento. Peraltro, la valenza autonoma dei singoli crediti può risultare poco allineata alla ratio della disposizione, vale a dire all’esigenza di stabilire per legge una soglia di antieconomicità delle azioni di recupero, posto che tali azioni, specie se inserite in una procedura concorsuale, possono avere ad oggetto l’intero saldo creditorio nei confronti del medesimo soggetto.
Così, secondo la circolare in esame, la soluzione più soddisfacente pare essere quella di dare autonoma rilevanza non al singolo credito, ma all’insieme dei crediti derivanti dal medesimo rapporto giuridico (es. un mutuo, un’apertura di credito; qualche dubbio in più si pone rispetto ai crediti derivanti da contratti a esecuzione continuativa o periodica, ecc.).
Il momento in cui verificare la sussistenza delle due condizioni (temporale e quantitativa) andrebbe invece individuato nella chiusura del periodo d’imposta, data alla quale si richiede la sussistenza degli elementi certi e precisi previsti dal dato normativo.
Relativamente all’ipotesi di deducibilità automatica a seguito dell’omologazione, da parte del Tribunale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti, il Consorzio si domanda se la norma si applichi anche nei confronti dei soggetti che non hanno aderito all’accordo, essendo la partecipazione dei creditori necessaria solo per il 60% della complessiva esposizione debitoria dell’impresa.
In proposito, si osserva che la formulazione letterale della norma sembra valorizzare la condizione oggettiva della conclusione di un accordo omologato dal Tribunale (che consentirebbe di considerare il debitore ufficialmente in crisi) piuttosto che quella soggettiva connessa alla partecipazione (o meno) all’accordo.
Considerato, tuttavia, che l’idoneità dell’accordo ad assicurare il pagamento dei creditori estranei non comporta l’attribuzione di alcuna forma di prelazione, né di altri strumenti che possano agevolare la riscossione del credito (tipo fidejussioni o altre garanzie), è possibile ritenere che la relativa stipulazione concretizzi un sintomo qualificato della difficoltà finanziaria del debitore, comunque idoneo a configurare i requisiti di certezza e precisione di eventuali perdite valutative imputate a Conto economico, anche nei confronti dei creditori non aderenti. Pertanto, anche questi ultimi dovrebbero poter dedurre “automaticamente” le perdite eventualmente iscritte in bilancio nelle more della procedura, senza dover altrimenti provare l’esistenza degli elementi certi e precisi.
/ Luca FORNERO
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