Penale fallimentare
Fallimento, bancarotta fraudolenta e causazione dolosa possono «concorrere»
Per la Cassazione, è da ammettere il concorso materiale tra i due reati
Il reato di bancarotta fraudolenta “impropria” e quello di causazione dolosa del fallimento concernono ambiti diversi; tra di loro è da escludere il concorso “formale”, mentre è da ammettere quello “materiale”. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza 19 novembre 2012 n. 45009.
In base al combinato disposto degli artt. 223, comma 1 e 216 del RD 267/42 (bancarotta fraudolenta), sono puniti con la reclusione da tre a dieci anni gli amministratori di società dichiarate fallite i quali hanno:
- distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i beni sociali ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, esposto o riconosciuto passività inesistenti;
- sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li hanno tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. La stessa pena si applica agli amministratori di società dichiarate fallite, che, durante la procedura fallimentare, commettono alcuno dei fatti previsti dal precedente punto ovvero sottraggono, distruggono o falsificano i libri o le altre scritture contabili. I soggetti di cui sopra, inoltre, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni quando, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, eseguono pagamenti o simulano titoli di prelazione.
Ai sensi dell’art. 223, comma 2, n. 2 del RD 267/42 (causazione dolosa del fallimento), invece, si applica la reclusione da tre a dieci anni agli amministratori di società dichiarate fallite se hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società. In relazione a tale fattispecie, la dottrina ne ha sottolineato la funzione residuale, ricomprendendo tutte le condotte non riconducibili alle fattispecie di cui all’art. 223, comma 1 e comma 2, n. 1 del RD 267/42.
A fronte di tale dato normativo, la Suprema Corte precisa che il reato di bancarotta fraudolenta e quello di causazione dolosa del fallimento concernono ambiti diversi. Il primo postula il compimento di atti di distrazione o di dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie; atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto. Il secondo concerne condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili, ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento.
Come evidenziato da Cass. 7 maggio 2010 n. 17690, inoltre, il momento caratteristico di tale ultima fattispecie si recepisce nel richiamo alla nozione di “operazione”, la quale implica necessariamente un quid pluris rispetto ad ogni singola azione (o singoli atti di una medesima azione), postulando una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, ecc.), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale, quale è dato riscontrare in qualsiasi iniziativa societaria che implichi un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito perseguito.
Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati:
- è da escludere il concorso formale, che si configura quando un medesimo soggetto con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge. In tal caso, si ricorda, si utilizzerebbe il c.d. “cumulo giuridico”, secondo cui va applicata la pena prevista per il reato più grave, aumentata fino al triplo (ex art. 81, comma 1 c.p.);
- è possibile il concorso materiale, che si configura nell’ipotesi in cui uno stesso soggetto con più azioni od omissioni commette una pluralità di reati. In questa circostanza l’ordinamento è particolarmente rigoroso. Si applica infatti, il c.d. “cumulo materiale”, seppure temperato dalla previsione di talune “attenuazioni” di pena (si vedano soprattutto gli artt. 78 e 79 c.p.). In particolare, in relazione al caso di specie, la sentenza in commento sottolinea come il concorso materiale sia ravvisabile quando, oltre ad azioni comprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 del RD 267/42, si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico/finanziario della società – siano stati causa del fallimento (cfr. Cass. 11 maggio 2010 n. 17978).
/ Maurizio MEOLI
In base al combinato disposto degli artt. 223, comma 1 e 216 del RD 267/42 (bancarotta fraudolenta), sono puniti con la reclusione da tre a dieci anni gli amministratori di società dichiarate fallite i quali hanno:
- distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i beni sociali ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, esposto o riconosciuto passività inesistenti;
- sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li hanno tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. La stessa pena si applica agli amministratori di società dichiarate fallite, che, durante la procedura fallimentare, commettono alcuno dei fatti previsti dal precedente punto ovvero sottraggono, distruggono o falsificano i libri o le altre scritture contabili. I soggetti di cui sopra, inoltre, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni quando, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, eseguono pagamenti o simulano titoli di prelazione.
Ai sensi dell’art. 223, comma 2, n. 2 del RD 267/42 (causazione dolosa del fallimento), invece, si applica la reclusione da tre a dieci anni agli amministratori di società dichiarate fallite se hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società. In relazione a tale fattispecie, la dottrina ne ha sottolineato la funzione residuale, ricomprendendo tutte le condotte non riconducibili alle fattispecie di cui all’art. 223, comma 1 e comma 2, n. 1 del RD 267/42.
A fronte di tale dato normativo, la Suprema Corte precisa che il reato di bancarotta fraudolenta e quello di causazione dolosa del fallimento concernono ambiti diversi. Il primo postula il compimento di atti di distrazione o di dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie; atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto. Il secondo concerne condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili, ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento.
Come evidenziato da Cass. 7 maggio 2010 n. 17690, inoltre, il momento caratteristico di tale ultima fattispecie si recepisce nel richiamo alla nozione di “operazione”, la quale implica necessariamente un quid pluris rispetto ad ogni singola azione (o singoli atti di una medesima azione), postulando una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, ecc.), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale, quale è dato riscontrare in qualsiasi iniziativa societaria che implichi un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito perseguito.
Ne consegue che, in relazione ai suddetti reati:
- è da escludere il concorso formale, che si configura quando un medesimo soggetto con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge. In tal caso, si ricorda, si utilizzerebbe il c.d. “cumulo giuridico”, secondo cui va applicata la pena prevista per il reato più grave, aumentata fino al triplo (ex art. 81, comma 1 c.p.);
- è possibile il concorso materiale, che si configura nell’ipotesi in cui uno stesso soggetto con più azioni od omissioni commette una pluralità di reati. In questa circostanza l’ordinamento è particolarmente rigoroso. Si applica infatti, il c.d. “cumulo materiale”, seppure temperato dalla previsione di talune “attenuazioni” di pena (si vedano soprattutto gli artt. 78 e 79 c.p.). In particolare, in relazione al caso di specie, la sentenza in commento sottolinea come il concorso materiale sia ravvisabile quando, oltre ad azioni comprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 del RD 267/42, si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali – concretandosi in abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta o in un atto intrinsecamente pericoloso per l’andamento economico/finanziario della società – siano stati causa del fallimento (cfr. Cass. 11 maggio 2010 n. 17978).
/ Maurizio MEOLI
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