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mercoledì 28 novembre 2012

Da coordinare le norme su beni ai soci e beni immobili «patrimonio»

accertamento

Da coordinare le norme su beni ai soci e beni immobili «patrimonio»

Irrisolta la questione relativa ai costi già del tutto indeducibili per legge

/ Mercoledì 28 novembre 2012
Pubblichiamo l’intervento di Marco Cramarossa, Presidente dell’UGDCEC di Bari e Trani.
Siamo ormai vicinissimi alla scadenza per il versamento degli acconti di fine mese e rimane ancora aperta una questione non di poca importanza, peraltro già sollevata il mese scorso proprio sulle colonne di Eutekne.info. Desta più di qualche perplessità, infatti, la mancanza di coordinamento della novella normativa sull’utilizzo dei beni ai soci (art. 2, commi da 36-terdecies a 36-duodevicies, del DL n. 138/2011, convertito con modifiche dalla L. n. 148/2011) con la specifica e peculiare determinazione del reddito relativo ai beni immobili “patrimonio” detenuti dalle imprese di gestione immobiliare. Il fine, legittimo e condivisibile, di questa nuova e penalizzante disciplina è quello di contrastare il fenomeno della concessione in godimento di beni relativi all’impresa a soci, ovvero a familiari di essi, per fini privati. La fittizia intestazione a società di beni, mobili o immobili che siano, comporta generalmente l’evidente possibilità di dedurre costi che diversamente andrebbero ad incidere il privato fruitore di essi. Tale fittizietà rileva anche ai fini della determinazione perimetrale redditometrica.
Preme evidenziare, in tale contesto, l’ipotesi, peraltro non di mero studio, di una società di pura gestione immobiliare che concede ai propri soci immobili “patrimonio”, ovvero fabbricati destinati ad abitazione di tipo civile classificati nella categoria catastale A (con esclusione dell’A10). Ebbene, in tale caso sappiamo che l’impresa per tali immobili determina le imposte dovute in base alle disposizioni in materia di redditi fondiari, ovvero costituisce reddito il maggiore importo fra rendita catastale rivalutata del 5% e canone di locazione conteggiato per l’intero importo. Non si applica, pertanto, la deduzione forfetaria del 15%, ma il canone potrà essere abbattuto con le sole spese di manutenzione ordinaria effettivamente sostenute e, comunque, fino ad un tetto massimo del 15% del canone di locazione pattuito in contratto. Rappresentano, invece, in tale specifica fattispecie, diversamente dalla determinazione del reddito per i beni immobili strumentali, costi integralmente indeducibili, oltre l’eccedenza rispetto all’eventuale 15% delle spese per manutenzione ordinaria, sia le spese di manutenzione straordinaria, sia i costi di gestione e tutti i restanti componenti negativi, ammortamenti compresi. Qualora quegli stessi canoni di locazione fossero dichiarati da una persona fisica, il sistema riconoscerebbe, invece, una deduzione forfetaria del 15%, ovvero del 5% a decorrere dal periodo d’imposta 2013: senza contare la possibilità, ove più conveniente, di optare per la cedolare secca.
La criticità qui lamentata è rappresentata dal fatto che, trattandosi di unità immobiliari non locate, ma concesse – nella “peggiore” delle ipotesi – gratuitamente ai soci, l’impresa tassa gli immobili prendendo a riferimento la rendita catastale rivalutata, rendendo indeducibili tutti gli eventuali costi sostenuti per esse, al pari di quanto accadrebbe se l’immobile fosse intestato alla persona fisica effettiva utilizzatrice del bene: unica differenza è forse l’aumento di un terzo della rendita per gli immobili tenuti a disposizione, aspetto sul quale si può eventualmente ragionare per motivi di simmetria del sistema.
Se la disciplina punta ad evitare risparmi illegittimi d’imposta, atteso l’utilizzo non imprenditoriale dei beni a fronte, invece, di un utilizzo privato degli stessi, è dimostrabile, attingendo ad alcune realistiche casistiche, che tale convenienza non è affatto pacifica, anzi. La novella disciplina prevede, altresì, l’indeducibilità da parte del soggetto concedente dei costi relativi ai beni in parola, oltre alla configurabilità di un reddito diverso in capo all’utilizzatore, rappresentato dal differenziale tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo pattuito per il godimento. Nel caso del reddito prodotto dagli immobili “patrimonio” non locati di una immobiliare di gestione, tutti i componenti negativi di reddito, secondo quanto sopra, sono già completamente indeducibili.
La circolare n. 23/2012 dell’Agenzia ha specificato esistere, in riferimento a questa nuova disciplina, un “criterio di specialità” e, pertanto, la presenza di norme che già forfetizzano i criteri di inerenza dei costi neutralizzano le disposizioni del DL 138/2011 in merito alla deducibilità dei costi in capo al concedente, fermi restando comunque gli altri obblighi, vale a dire l’obbligo della comunicazione e la tassazione del reddito diverso in capo all’utilizzatore. Questo passaggio risolve le problematiche legate al limitato riconoscimento di costi da parte del TUIR, esempio tipico l’art. 164, ma lascia ancora aperta la questione relativa al caso qui rappresentato, ovvero di costi già totalmente indeducibili per legge.
Sembra davvero curiosa la sovrapposizione delle disposizioni predette, con contorni che, quand’anche non riconducibili ad incostituzionalità, dovrebbero consentire di poter attingere all’istituto dell’interpello preventivo, per disapplicare la normativa nei casi in cui non si realizzi nessun illegittimo e dimostrabile risparmio d’imposta. Per l’acconto di novembre, navigazione a vista.
 / Marco CRAMAROSSA FONTE EUTEKNE

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