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venerdì 2 novembre 2012

ACCERTAMENTO : violazioni in materia di reverse charge

ilcasodelgiorno

Natura formale per le violazioni in materia di reverse charge

La Corte di Cassazione fornisce un’ipotesi alternativa sull’applicazione delle sanzioni, fondata sui princìpi dello Statuto del contribuente

/ Venerdì 02 novembre 2012
Le disposizioni in tema di sanzioni IVA per violazioni riguardanti il reverse charge presentano alcune complessità applicative dovute alla disorganicità del sistema approntato dal Legislatore, in specie nelle ipotesi in cui il cessionario/committente possa esercitare in misura piena il diritto alla detrazione.
In particolare, l’art. 6, comma 9-bis, del DLgs. n. 471/1997 prevede una sanzione dal 100 al 200% dell’imposta in caso di mancato assolvimento, ridotta al 3% qualora l’imposta, ancorché irregolarmente, sia stata comunque versata dal cedente ovvero dal cessionario. Tale ultima disposizione sembrerebbe applicabile ai casi di reverse charge “interno”, ove il cedente, ad esempio, abbia emesso ordinaria fattura anziché fattura senza addebito di IVA da assoggettare ad inversione contabile ai sensi dell’art. 17 del DPR n. 633/1972 da parte del cessionario, ovvero nell’ipotesi in cui si sia proceduto ad integrazione della fattura ex art. 47 del DL n. 331/1993 in luogo dell’emissione dell’autofattura ai sensi del citato art. 17 (cfr. Cass. n. 10819/2010). Sul piano sostanziale, peraltro, benché la procedura di integrazione della fattura per scambi intracomunitari sia formalmente diversa dall’emissione e registrazione dell’autofattura ex art. 17 del DPR n. 633/1972, non può non rilevarsi una comunanza di fattispecie, generalmente riconducibili al sistema dell’inversione contabile, che pone a carico del destinatario gli adempimenti contabili in ordine all’operazione assoggettabile ad IVA.
Già nella sentenza Ecotrade (cause C-95/07 e C-96/07), la Corte di Giustizia ha rilevato la natura formale della violazione concernente la mancata applicazione del reverse charge, che non può essere sanzionata in modo tale da rimettere sistematicamente in questione il diritto alla detrazione (punto 66), mentre può essere prevista una sanzione pecuniaria proporzionata alla gravità dell’infrazione commessa (punto 67). Ed è evidente che una sanzione tra il 100 e il 200%, per definizione, assume la medesima misura (ed oltre) rispetto ad un diniego alla detrazione, come pare confermato anche dalla recente sentenza EMS-Bulgaria Transport (causa C-284/11), nella parte in cui ha vietato, in caso di tardivo versamento dell’IVA dovuta sugli acquisti intracomunitari, l’applicazione di interessi moratori di entità tale da vanificare il diritto di detrazione (punto 76).
A dispetto di un sistema sanzionatorio disarmonico e non rispettoso del principio di proporzionalità, il diritto vivente, così come interpretato dalla Corte di Cassazione, sembra offrire un’ipotesi alternativa circa l’applicabilità delle sanzioni fondata sui princìpi desumibili dallo Statuto dei Diritti del Contribuente, di cui alla L. n. 212/2000. A tale proposito, la Suprema Corte, con la sentenza n. 17588/2010, ha affermato che le violazioni consistenti nell’omessa integrazione di fatture intracomunitarie e nella conseguente omissione delle relative registrazioni non possono dare luogo al recupero di alcuna maggiore IVA, in quanto devono ritenersi riferite ad adempimenti formali, privi di rilievo nella determinazione del tributo.
Inoltre, i giudici di legittimità, con la richiamata pronuncia, hanno respinto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria anche nella parte in cui denunciava la violazione e la falsa applicazione dell’art. 10, comma 3, della L. n. 212/2000. In altre parole, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Commissione tributaria regionale che, inter alia, aveva affermato il carattere meramente formale della violazione, tale da escludere l’irrogabilità delle sanzioni ai sensi del citato art. 10, comma 3, della L. n. 212/2000. Sulla base di tale interpretazione, eventuali omissioni riguardanti l’applicazione del reverse charge costituiscono violazioni solo formali e, al riguardo, può richiamarsi anche l’art. 6, comma 5-bis, del DLgs. n. 472/1997, secondo il quale non sono punibili le violazioni che non comportano alcuna perdita di gettito per l’Erario.
La prevalenza della sostanza sulla forma è stata sostenuta anche dalla C.T. Reg. di Torino (sent. n. 82/28/10 del 2010), che ha escluso l’applicazione della sanzione dal 100 al 200% dell’imposta nei casi di omessa di autofatturazione e di omessa integrazione della fattura intracomunitaria, trattandosi di violazioni non aventi carattere sostanziale. È vero che il rispetto degli adempimenti formali è preordinato ad evitare potenziali abusi, garantendo nel contempo l’efficacia dei necessari controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria e che la misura, particolarmente alta, della sanzione è idonea dimostrare l’importanza attribuita dal Legislatore alla “forma” prevista per i soggetti passivi destinatari del regime di inversione contabile. Tuttavia, la portata formale e non sostanziale della violazione si desume dai princìpi dello Statuto dei Diritti del Contribuente, laddove l’infrazione commessa non abbia né inciso sull’imposta da versare, né arrecato pregiudizio all’azione di controllo del Fisco.
FONTE:EUTEKNE / Michele IAVAGNILIO e Marco PEIROLO

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