Imposta di registro
La cessione totalitaria di quote sociali non è elusiva
Per la Regionale di Milano, quindi, il relativo atto non può essere riqualificato dal Fisco come una cessione d’azienda
Non è elusiva la cessione totalitaria delle quote sociali di una srl e,
pertanto, il relativo atto non può essere riqualificato dal Fisco come
una cessione d’azienda. Lo ha ribadito la C.T. Reg. di Milano, con la
sentenza n. 94/22/12 del 27 settembre 2012.
I due soci di una srl avevano ceduto insieme la totalità delle quote sociali ad un’altra srl, versando l’imposta di registro relativa all’atto di cessione in misura fissa pari a 168 euro ex art. 11 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/1986. Successivamente, però, l’Ufficio, ai sensi dell’art. 20 di quest’ultimo decreto, riqualificava l’atto registrato come cessione d’azienda, applicando l’imposta di registro in misura proporzionale (con aliquote variabili in funzione delle tipologie dei cespiti aziendali, ma generalmente del 3% se non vi sono immobili) e irrogando le relative sanzioni ed interessi.
Mette conto di ricordare brevemente che l’ultima disposizione sopra citata prevede che l’imposta di registro è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente. Pertanto, l’Ufficio aveva riqualificato l’atto in cessione d’azienda, a prescindere dal fatto che il suo titolo fosse quello di una cessione di quote sociali.
Gli ex soci impugnavano gli avvisi di liquidazione, contestando il comportamento del Fisco, che avrebbe illegittimamente utilizzato il predetto art. 20 alla stregua di una norma generale antielusiva, in effetti non prevista ai fini dell’imposta di registro (a differenza, invece, delle imposte dirette), ed inoltre non avrebbe considerato che la società a cui erano state cedute le quote era una holding e, pertanto, la sua attività istituzionale era proprio quella di detenere partecipazioni in altre società.
I giudici di prime cure si pronunciavano a favore dei ricorrenti solo parzialmente, disponendo l’annullamento delle sole sanzioni, atteso che l’operazione era stata ritenuta elusiva, come prospettato dall’Ufficio. Con essa, infatti, secondo il collegio provinciale, i soci avevano di fatto ceduto l’azienda, anche se formalmente si trattava soltanto di un trasferimento di quote sociali, ottenendo così un indebito vantaggio fiscale, costituito dalla minore imposta di registro dovuta in misura fissa, anziché proporzionale, come previsto per le cessioni d’azienda.
Ai fini della riqualificazione, peraltro, l’Ufficio aveva anche stimato il valore dell’azienda e del suo avviamento ai sensi dell’art. 51 del DPR 131/1986, attribuendole il valore venale in comune commercio dei beni che la costituivano, compreso l’avviamento, al netto delle passività risultanti dai libri contabili. Tali valori, a cui l’Ufficio aveva applicato l’imposta di registro in misura proporzionale, erano stati ritenuti congrui dai giudici di prime cure.
I soci si rivolgevano, allora, alla C.T. Reg., che si è pronunciata completamente a loro favore. Il collegio d’appello ha stabilito, infatti, che l’Ufficio aveva artatamente invocato il summenzionato art. 20 per riqualificare una cessione di quote sociali, che aveva soltanto la specifica finalità di trasferire le quote e non quella ulteriore di porre in essere una cessione indiretta d’azienda, come erroneamente asserito dal Fisco.
La C.T. Reg., così, riformando la pronuncia di primo grado, ha integralmente accolto l’appello degli ex soci, annullando totalmente gli avvisi di liquidazione.
Si evidenzia, in proposito, che appena qualche mese fa sulla questione era intervenuto anche il Consiglio Nazionale del Notariato, che, con lo studio 170-2011/T del 1° marzo 2012, aveva stabilito che non può essere riqualificata dall’Ufficio in cessione d’azienda la cessione totalitaria di quote sociali di una srl ad una persona fisica, che ne diviene così l’unico socio. Secondo il Notariato, benché le due operazioni siano sostanzialmente analoghe sotto il profilo economico, esse divergono profondamente dal punto di vista giuridico. La scelta dell’una o dell’altra opzione dipende dalla volontà dei contraenti, e l’Ufficio non può riqualificare l’operazione posta in essere né alla luce dell’art. 20 del DPR 131/1986, né in base a qualsivoglia ulteriore principio giurisprudenziale in materia di abuso di diritto.
/ Alessandro BORGOGLIO
I due soci di una srl avevano ceduto insieme la totalità delle quote sociali ad un’altra srl, versando l’imposta di registro relativa all’atto di cessione in misura fissa pari a 168 euro ex art. 11 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/1986. Successivamente, però, l’Ufficio, ai sensi dell’art. 20 di quest’ultimo decreto, riqualificava l’atto registrato come cessione d’azienda, applicando l’imposta di registro in misura proporzionale (con aliquote variabili in funzione delle tipologie dei cespiti aziendali, ma generalmente del 3% se non vi sono immobili) e irrogando le relative sanzioni ed interessi.
Mette conto di ricordare brevemente che l’ultima disposizione sopra citata prevede che l’imposta di registro è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente. Pertanto, l’Ufficio aveva riqualificato l’atto in cessione d’azienda, a prescindere dal fatto che il suo titolo fosse quello di una cessione di quote sociali.
Gli ex soci impugnavano gli avvisi di liquidazione, contestando il comportamento del Fisco, che avrebbe illegittimamente utilizzato il predetto art. 20 alla stregua di una norma generale antielusiva, in effetti non prevista ai fini dell’imposta di registro (a differenza, invece, delle imposte dirette), ed inoltre non avrebbe considerato che la società a cui erano state cedute le quote era una holding e, pertanto, la sua attività istituzionale era proprio quella di detenere partecipazioni in altre società.
I giudici di prime cure si pronunciavano a favore dei ricorrenti solo parzialmente, disponendo l’annullamento delle sole sanzioni, atteso che l’operazione era stata ritenuta elusiva, come prospettato dall’Ufficio. Con essa, infatti, secondo il collegio provinciale, i soci avevano di fatto ceduto l’azienda, anche se formalmente si trattava soltanto di un trasferimento di quote sociali, ottenendo così un indebito vantaggio fiscale, costituito dalla minore imposta di registro dovuta in misura fissa, anziché proporzionale, come previsto per le cessioni d’azienda.
Ai fini della riqualificazione, peraltro, l’Ufficio aveva anche stimato il valore dell’azienda e del suo avviamento ai sensi dell’art. 51 del DPR 131/1986, attribuendole il valore venale in comune commercio dei beni che la costituivano, compreso l’avviamento, al netto delle passività risultanti dai libri contabili. Tali valori, a cui l’Ufficio aveva applicato l’imposta di registro in misura proporzionale, erano stati ritenuti congrui dai giudici di prime cure.
I soci si rivolgevano, allora, alla C.T. Reg., che si è pronunciata completamente a loro favore. Il collegio d’appello ha stabilito, infatti, che l’Ufficio aveva artatamente invocato il summenzionato art. 20 per riqualificare una cessione di quote sociali, che aveva soltanto la specifica finalità di trasferire le quote e non quella ulteriore di porre in essere una cessione indiretta d’azienda, come erroneamente asserito dal Fisco.
I contribuenti non hanno raggirato alcuna norma fiscale
Secondo il collegio del riesame, i contribuenti non avevano raggirato alcuna
norma fiscale e, quindi, l’Ufficio non era legittimato a riqualificare
l’operazione in cessione d’azienda, giungendo persino a quantificarne il
suo valore ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro in misura
proporzionale. Tanto più che si verteva in ipotesi di imposte d’atto, che devono essere applicate sulla base del contenuto di quest’ultimo.La C.T. Reg., così, riformando la pronuncia di primo grado, ha integralmente accolto l’appello degli ex soci, annullando totalmente gli avvisi di liquidazione.
Si evidenzia, in proposito, che appena qualche mese fa sulla questione era intervenuto anche il Consiglio Nazionale del Notariato, che, con lo studio 170-2011/T del 1° marzo 2012, aveva stabilito che non può essere riqualificata dall’Ufficio in cessione d’azienda la cessione totalitaria di quote sociali di una srl ad una persona fisica, che ne diviene così l’unico socio. Secondo il Notariato, benché le due operazioni siano sostanzialmente analoghe sotto il profilo economico, esse divergono profondamente dal punto di vista giuridico. La scelta dell’una o dell’altra opzione dipende dalla volontà dei contraenti, e l’Ufficio non può riqualificare l’operazione posta in essere né alla luce dell’art. 20 del DPR 131/1986, né in base a qualsivoglia ulteriore principio giurisprudenziale in materia di abuso di diritto.
/ Alessandro BORGOGLIO
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