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giovedì 19 maggio 2011

Valido l’accertamento all’immobiliare che vende alloggi diversi allo stesso prezzo

Accertamento

Valido l’accertamento all’immobiliare che vende alloggi diversi allo stesso prezzo

Per la Regionale di Firenze, inoltre, va idoneamente motivata la cessione di immobili quasi al costo e sotto i valori di mercato

/ Martedì 17 maggio 2011
È valido l’avviso di accertamento notificato ad una società immobiliare che ha venduto unità abitative diverse per forma e dimensione allo stesso prezzo, che, peraltro, è risultato di poco superiore al costo. Lo ha stabilito la C.T. Reg. di Firenze, con la sentenza del 4 marzo 2011, numero 11.
Una srl aveva costruito diverse unità immobiliari, appartenenti sostanzialmente a due tipologie di immobili differenti per caratteristiche e specifiche tecniche: una, infatti, includeva gli alloggi di circa 80 mq con giardino, e dell’altra, invece, facevano parte gli appartamenti di poco più di 100 mq con balcone e cantina. Nonostante tali evidenti differenze, però, la società aveva ceduto tali unità immobiliari all’incirca allo stesso prezzo, come risultava dai relativi rogiti.
Tale circostanza aveva richiamato l’attenzione dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate, che, a seguito di verifica fiscale, redigevano il relativo PVC, con cui, sulla base di tale anomalia, unitamente alla circostanza che il prezzo delle vendite di detti immobili risultava al di sotto del valore di mercato, constatavano l’omessa contabilizzazione di ricavi. In forza del PVC, l’Ufficio emetteva, poi, il relativo atto impositivo a carico della società, accertando i maggiori ricavi proposti dai verificatori.
Avverso tale atto proponeva ricorso alla C.T. Prov. la srl, ma i giudici di prima istanza lo rigettavano, confermando la pretesa erariale. Opponeva gravame, allora, la società, denunciando l’illegittimo utilizzo retroattivo della disposizione introdotta dall’art. 35 del DL n. 223/2006, che prevedeva la possibilità di effettuare gli accertamenti sulle cessioni immobiliari considerando come corrispettivo il valore OMI degli immobili, se superiore a quello indicato nei rogiti notarili. L’Ufficio ribadiva, invece, che l’accertamento non era fondato sulla presunzione recata dal predetto art. 35, ma sul metodo analitico-induttivo di cui all’art. 39, comma 1, lettera d) del DPR n. 600/73, che consente, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, di rettificare il reddito dichiarato dal contribuente.
La C.T. Reg., investita della questione, ha stabilito che, in effetti, l’Ufficio, per la rettifica della dichiarazione, non si era avvalso della norma contestata dal contribuente ma delle presunzioni di cui al predetto art. 39. I giudici regionali hanno ricordato, innanzitutto, il consolidato principio giurisprudenziale di legittimità per cui la regolare tenuta delle scritture contabili non impedisce l’accertamento del Fisco sulla base di presunzioni qualificate (cfr. Cass. n. 1409/2008).
Secondo il Collegio, dovevano ritenersi tali quelle addotte dall’Ufficio, atteso che era stato evidenziato che immobili anche molto diversi per caratteristiche erano stati venduti sostanzialmente allo stesso prezzo, circostanza che non poteva ritenersi “normale” nel commercio immobiliare, dove abitualmente le differenti caratteristiche degli immobili incidono sul loro prezzo finale; inoltre, l’Ufficio aveva altresì rilevato che tra i costi specifici delle varie unità immobiliari ed i relativi ricavi derivanti dalle loro cessioni vi era una minima differenza, che rendeva la gestione assolutamente antieconomica.
La differenza tra costi e ricavi rende la gestione antieconomica
Circostanza che, peraltro, secondo i giudici regionali, non era stata idoneamente giustificata dal contribuente, su cui ricadeva tale onere, giacché questi si era limitato a motivare le cessioni di immobili quasi al costo e sotto i valori di mercato con l’insorgere di difficoltà finanziarie della società, ma senza allegare alcuna prova documentale di quanto sostenuto.
In conclusione, secondo la C.T. Reg., tutti gli elementi addotti dall’Ufficio tendevano verso un unico convincimento: la certezza che i prezzi indicati nei rogiti notarili fossero inferiori a quelli reali. Pertanto, i giudici di seconde cure hanno respinto l’appello del contribuente e, confermando la sentenza di primo grado, hanno convalidato l’operato dell’Agenzia delle Entrate.
Dai fatti di causa emerge che, in effetti, l’Amministrazione finanziaria non si era rifatta alla presunzione introdotta con il DL n. 223/2006 e poi abrogata ad opera della Comunitaria 2008 (legge 7 luglio 2009 n. 88), ma si era affidata ad una serie di elementi convergenti per ricostruire induttivamente le operazioni commerciali e, quindi, i ricavi della società. Una ricostruzione che, secondo l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, si fondava su presunzioni qualificate idonee a supportare la pretesa impositiva.

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