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Ricorsi Tributari

mercoledì 11 maggio 2011

ILLEGITTIMITA’ DEL DIRITTO CAMERALE ANNUALE

ILLEGITTIMITA’ DEL DIRITTO CAMERALE ANNUALE PER CONTRASTO CON LA NORMATIVA COMUNITARIA
Ultimo aggiornamento 17/01/2011
SPECIALISTA IN RICORSI AVVERSO CARTELLE ESATTORIALI, FERMI AMMINISTRATIVI, IPOTECHE, ACCERTAMENTI

Finalmente qualcosa si muove la prima sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Benevento con ordinanza n.473/01/10 ha inviato gli atti alla Corte di Giustizia Europea, condividendo in pieno la tesi dei Giudici della Commissione Tributaria di Foggia del 2004, con una sola differenza, mentre i Giudici Pugliesi avevano ritenuto disapplicare direttamente la norma illegittima, i Giudice Campani invece hanno rinviato gli atti ai colleghi della Corte Europea.
Per avere giustizia dobbiamo sperare solo in una condanna dei Giudici Europei.

La Commissione Tributaria Provinciale di Foggia ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 18, comma terzo, della legge 580/1993 per contrasto con le disposizioni di cui agli articoli 10 e 12 della Direttiva Comunitaria 69/335 nella parte in cui esso preveda l’obbligo per le imprese di pagare il diritto di iscrizione nei Registri appositamente tenuti dalle Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura. Gli articoli 10 e 12 della Direttiva Comunitaria 69/335 vietano agli Stati membri dell’Unione Europea di applicare alle imprese imposte sulla raccolta di capitali. Il tributo di iscrizione di un’impresa nei Registri appositamente tenuti dalle Camere di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura, condizione di procedibilità dell’esercizio dell’attività da parte di questa, è da ritenersi imposta indiretta sulla raccolta di capitali e come tale non è dovuto.
COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI FOGGIA SEZIONE NONA SENTENZA N. 142 DEL 21/09/2004
ILLEGITTIMITA’ DEL DIRITTO CAMERALE ANNUALE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con separati e tempestivi ricorsi le societa' I. srl, G. srl, P. srl, consorzio I.M. 98, F. srl, P. srl, M. scrl, C. 2000 srl; D. srl di Manfredonia proponevano separati ricorsi avverso il diniego espresso di rimborso del diritto annuale pagato alla Camera di Commercio di Foggia per gli anni 2000, 2001 e 2002. Nei propri ricorsi le societa' contribuenti sostenevano che il prelievo annuale, richiesto dalla Camera di Commercio per l'iscrizione nel registro delle imprese, fosse in contrasto con gli artt. 10 e 12 della Direttiva CEE n. 69/335 del 17 luglio 1969 e successive modificazioni, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali. In particolare, a dire delle ricorrenti, l'art. 10 della direttiva vieta agli Stati membri di istituire in qualsiasi forma (diretta o indiretta) prelievi sulle societa' di qualsiasi tipo in relazione agli atti indicati al precedente articolo 4 della medesima direttiva ovvero di prevedere una imposizione " Per l'immatricolazione o per qualsiasi altra formalita' preliminare all'esercizio di un'attivita', alla quale una societa', associazione o persona giuridica che persegue scopi di lucro puo' essere sottoposta in ragione della sua forma giuridica". Sempre a dire delle ricorrenti, la tassa annuale richiesta non rientra neppure nella deroga di cui al successivo articolo 12 della medesima direttiva 69/335 in quanto la tassa annuale non puo' essere configurata come "diritto a carattere remunerativo". Si e' costituita in giudizio la Camera di Commercio di Foggia mediante il dott. P.F. funzionario della medesima Camera di Commercio. Nelle sue controdeduzioni la Camera di Commercio, in via preliminare, sostiene che la normativa comunitaria non sarebbe immediatamente applicabile nell'ordinamento italiano in quanto non sufficientemente precisa ed incondizionata. Nel merito sostiene che la Corte di Giustizia - con la sentenza D. dell'11-6-1996 - avrebbe risolto la questione della compatibilita' della tassa annuale con l'ordinamento comunitario, stabilendo che una tassa annuale - dovuta in funzione della registrazione dell'"impresa" - non e' in contrasto con la direttiva 69/335 anche qualora tale operazione valga come registrazione della societa' di capitali che e' titolare dell'impre'sa. Il legislatore italiano si sarebbe uniformato a tale principio per cui non vi sarebbe violazione dell'art. 10 della Direttiva 69/335 e, quindi, non sarebbe fondato il diritto al rimborso. La Camera di Commercio rileva ancora come tali conclusioni sarebbero state recepite in altre pronunce della Corte di Giustizia e della giurisprudenza italiana. Presentavano memorie illustrative le societa' ricorrenti nelle quali eccepivano preliminarmente la inammissibilita' della costituzione della Camera di Commercio in quanto avvenuta senza l'ausilio di un assistente tecnico. Nel merito contestavano tutte le affermazioni contenute nelle controdeduzioni attraverso un analitico richiamo alla giurisprudenza della Corte di Giustizia ed in particolare alla sentenza D. richiamata dalla medesima Camera di Commercio nelle proprie controdeduzioni per sostenere, invece, la infondatezza del diritto al rimborso avanzato. Con istanza di riunione e nomina di assistenti tecnici la Camera di Commercio chiedeva la riunione dei ricorsi e depositava copia della sentenza n. 152/08/03 di questa Commissione Tributaria Provinciale, sezione ottava, che aveva respinto ricorsi identici di altre societa'. Sempre la Camera di Commercio ha presentato - per il tramite dei suoi assistenti tecnici Avv.ti M. e A. P. A. - memoria difensiva di replica nella quale ha contestato la eccezione di inammissibilita' delle controdeduzioni per difetto di rappresentanza, rilevando la propria mancanza di legittimazione passiva, e, nel merito, ribadendo quanto gia' sostenuto nei precedenti scritti. Alla pubblica udienza sono presenti le parti che si riportano come da verbale.
 OSSERVAZIONI DI DIRITTO
In via preliminare va esaminata la eccezione di inammissibilita' delle controdeduzioni della Camera di Commercio in quanto sottoscritte dal dott. P.F., dipendente della medesima Camera di Commercio e non da un assistente tecnico a norma dell'art. 12 del Decreto Legislativo 546 del 31 dicembre 1992. La eccezione va respinta in quanto superata dalla costituzione in giudizio della Camera di Commercio per il tramite di assistenti tecnici abilitati avvenuta nel corso del giudizio. A questo punto va esaminata la eccezione sollevata dai nuovi difensori della Camera di Commercio secondo la quale la mancanza di potesta' impositiva in capo alla Camera di Commercio determinerebbe la mancanza di legittimazione passiva della stessa nel presente processo. L'eccezione va disattesa: l'affermazione contenuta nella sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 742 del 1999 (secondo la quale le Camere di Commercio non sono enti dotati di potesta' impositiva) va letta nel senso che tali enti non sono dotati di un potere autonomo di determinare se introdurre o meno un tributo, se modificarne o meno le aliquote, e cosi via. Tuttavia le stesse sono le uniche destinatarie di tale provento di cui gestiscono la fase della liquidazione, riscossione ed accertamento. Conseguentemente la Camera di Commercio e' l'unico soggetto legittimato a stare in giudizio ed a rispondere relativamente alla domanda di rimborso avanzata. D'altronde il problema e' stato risolto normativamente dall'articolo 10 del Decreto Ministeriale n. 359 dell'11 maggio 2001, il quale espressamente prevede che le domande di rimborso vadano proposte nei confronti della Camera di Commercio che ha introitato il tributo. Entrando nel merito della controversia, occorre preliminarmente verificare se gli articoli 10 e 12 della direttiva comunitaria 69/335 del 1969 siano norme sufficientemente precise ed incondizionate, tali da potersene richiedere la immediata applicazione da parte del giudice nazionale. A tale interrogativo non puo' che darsi risposta affermativa, essendo sufficiente richiamare la COSTANTE giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha ritenuto incompatibili con il diritto comunitario le norme nazionali in contrasto con la Direttiva 69/335 e con gli articoli 10 e 12 in particolare. Tale incompatibilita', naturalmente, non avrebbe potuto essere pronunciata se la direttiva - e gli articoli 10 e 12 in particolare – non fossero stati ritenuti sufficientemente precisi ed incondizionati. Si veda a tal proposito il punto 55 della sentenza F. del 2 dicembre 1997 in causa C-188/95 - citata ed allegata dalle societa' ricorrenti - la' dove la Corte di Giustizia ha splicitamente affermato che gli articoli 10 e 12 della Direttiva 69/335 sono norme di diretta ed immediata applicazione e tali da essere invocate dai singoli cittadini europei davanti ai singoli giudici nazionali contro una disposizione di diritto nazionale confliggente con detta direttiva. Questo giudice, poi, e' chiamato a rispondere in primo luogo al seguente quesito: se l'articolo 18, comma 3, della legge 580 del 1993 – che istituisce un tributo a carico delle imprese iscritte nei registri tenuti presso le Camere di Commercio - rientri o meno nel novero dei tributi o delle prestazioni imposte che, ai sensi dell'art. 10 lettera c) della Direttiva 69/335, sono vietati in quanto riscossi per formalita' connesse alla forma giuridica delle societa' (ovvero a motivo dello strumento usato per raccogliere capitali, per cui il loro mantenimento in vigore rischierebbe di mettere in discussione anche gli scopi perseguiti dalla direttiva). A tale interrogativo la Camera di Commercio ritiene debba darsi risposta negativa in quanto la normativa nazionale (articolo 18 Legge 580/1993) farebbe pagare un tributo non in funzione della veste giuridica utilizzata, bensi' in funzione della registrazione della impresa presso i propri registri, per cui il prelievo sarebbe legittimo cosi' come riconosciuto anche dalla Corte di Giustizia nella sentenza D. dell'11 giugno 1996 in causa C-2/94. Occorre ricordare che - come riconosciuto anche dalla nostra Corte Costituzionale (sentenza n. 113 del 23 aprile 1985) - la Corte di Giustizia CE e' interprete qualificato delle disposizioni comunitarie ed il rispetto dell'interpretazione di tali norme comunitarie, ad opera di tale giudice, e' obbligatorio da parte dei singoli giudici nazionali (oltre che di tutte le amministrazioni statali), i quali non possono discostarsene se non richiedendo un nuovo giudizio da parte del medesimo giudice comunitario. L'esame della sentenza D. - a parere di questa Commissione - porta a risultati contrari rispetto a quanto sostenuto dall'ente convenuto. Infatti i presupposti normativi olandesi, contrariamente a quanto sostenuto dalla Camera di Commercio, sono diversi rispetto a quelli italiani e, conseguentemente, le conclusioni della Corte di Giustizia non possono valere nel presente contenzioso. Infatti l'unica identita' tra la normativa Olandese e quella Italiana riguarda esclusivamente il fatto che, presso il registro delle imprese Olandesi, si iscrivono le imprese e tale iscrizione vale anche come iscrizione delle societa' ove l'impresa venga svolta sotto la veste giuridica di societa'. Per il resto i presupposti normativi sono differenti. La Corte di Giustizia ha ritenuto legittimo il tributo annuale delle Camere di Commercio Olandesi perche' qualsiasi impresa paga lo stesso importo, indipendentemente dalla veste giuridica adoperata per svolgere tale attivita' (punto 24 della sentenza D.). In Italia, al contrario, le imprese pagano importi diversi per il solo fatto di svolgere la medesima attivita' con una differente veste giuridica (si vedano da ultimo gli articoli 2 e 3 del Decreto Ministeriale del 5 marzo 2004 inerente la determinazione del diritto annuale). In Olanda una societa', che non svolge alcuna impresa e che risulta inattiva presso il registro delle imprese, non deve pagare alcun tributo (punto 25 della sentenza D.). In Italia, al contrario, una societa' - che non svolge alcuna impresa e che risulta inattiva - deve obbligatoriamente pagare il diritto annuale. In Olanda, se una impresa e' svolta sotto forma di impresa individuale e nel corso dell'anno si "trasforma" in societa', non paga nuovamente il diritto annuale (punto 26 della sentenza D.). In Italia, al contrario, se una impresa si "trasforma" in societa' paga nuovamente il diritto annuale. Fatte queste premesse, appare evidente che la normativa italiana non si limita a far pagare una tassa annuale in funzione della registrazione delle imprese presso l'omonimo registro, bensi' applica una discriminante fra imprese a seconda della veste giuridica che le stesse assumono, ovvero esattamente cio' che l'articolo 10, lettera c) della Direttiva 69/335 vuole evitare. Solo quando la normativa italiana fara' pagare esattamente lo stesso importo a qualsiasi impresa ed indipendentemente dalla veste giuridica utilizzata (ditta individuale, impresa artigiana individuale, societa' cooperativa, societa' di persona, societa' di capitali ecc..) sara' rispettato l'articolo 10 lettera e) della direttiva 69/335. Fino ad allora il diritto annuale preteso dalle imprese, che assumono la veste giuridica di societa' di capitali in misura differenziata e maggiore rispetto ad altre imprese, dovra' necessariamente ritenersi illegittimo perche' in contrasto con la normativa comunitaria piu' volte richiamata. La Camera di Commercio - nei propri scritti - sottolinea che la Corte di Giustizia con la ordinanza del 15 marzo 2001 (in cause riunite C-296/99, C-300/99, C-330/99) ha affermato che l'articolo 10 della direttiva 69/335 "... non osta alla riscossione, a carico di una societa' di capitali, di una imposta come l'imposta sul patrimonio netto delle imprese, nemmeno quando il detto tributo colpisce la componente del patrimonio costituita dal capitale sociale annualmente rilevato in bilancio". Nelle memorie di replica la difesa della Camera di Commercio rileva che cio' che e' importante - al fine di dirimere il presente contenzioso - e' di verificare se il "diritto annuale" e' una imposta diretta o indiretta. A parere dell'ente convenuto la tassa in parola sarebbe una imposta diretta e, come tale, fuori dall'ambito di applicazione della Direttiva 69/335. L'affermazione non e' condivisibile. Il richiamo operato dalla Camera di Commercio e' del tutto estraneo alla presente fattispecie. Infatti l'imposta sul patrimonio netto delle imprese (di cui al Decreto Legge 394 del 30 settembre 1992) e' una "imposta" diretta; al contrario il diritto annuale richiesto dalla Camera di Commercio rappresenta una "imposta indiretta" e precisamente una tassa. La distinzione e' fondamentale: mentre l'imposta diretta si applica ad una manifestazione "diretta" di capacita' contributiva (art. 53 della costituzione) manifestazione che puo' essere solo o il reddito o il patrimonio; "l'imposta indiretta" si applica al verificarsi di presupposti che lasciano presumere l'esistenza di una capacita' contributiva e, proprio per questo, la colpiscono (la capacita' contributiva) indirettamente. I diritti annuali dovuti alla Camera di Commercio individuano la presunta capacita' contributiva solo indirettamente e tale indice indiretto e' stato rintracciato nella veste giuridica con la quale si svolge l'impresa. Infatti i diritti vengono differenziati non sulla base del reddito o del patrimonio delle imprese iscritte nel registro bensi' in funzione della mera veste giuridica con la quale le imprese vengono svolte. Conseguentemente il richiamo operato alla imposta patrimoniale e' del tutto inconferente, cosi' come e' inconferente la giurisprudenza richiamata relativa alla Corte di Giustizia. Occorre inoltre rilevare come il concetto di imposta vietata ai sensi dell'art. 10 lettera c) della direttiva 69/335 sia molto ampio cosi' come emerge dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (si veda, per esempio, il punto 27 della sentenza del 29 settembre 1999 in causa C-56/98). Anche la giurisprudenza del tribunale di Milano richiamata dalla resistente risulta non condivisibile. Per quanto riguarda la sentenza 7609 del 5 luglio 2001 preme rilevarne l'errore concettuale: la stessa e' basata, infatti, su un malinteso principio di "modulazione della capacita' contributiva". Non ha senso - economico o giuridico - affermare che una impresa ha una minore o maggiore capacita' contributiva perche' svolge la propria attivita' sotto una veste giuridica o un'altra (tale affermazione si trasforma in una petizione di principio che e' tutta da dimostrare). Si pensi per esempio ad una societa' per azioni che risulti inattiva (e quindi, priva di impresa) e una societa' cooperativa (o una impresa individuale artigiana) che, invece, fatturi per miliardi. Nell'attuale fase transitoria la prima paghera' un importo superiore alla seconda, anche se e' assolutamente priva di attivita' (leggasi impresa). La sentenza n. 8127 del 12 luglio 2001 del Tribunale di Milano e', invece, del tutto irrilevante. Infatti - a parte la non condivisibile qualificazione di imposta diretta del diritto annuale - il giudice milanese non si e' posto il problema se la normativa di cui all'articolo 34 del Decreto Legge 784 del 22 dicembre 1981 fosse o meno in contrasto con la normativa comunitaria. L'intera causa verteva sul significato da attribuire all'inciso contenuto nell'articolo 34 "che svolgono attivita' economica" e se tale inciso potesse valere per le societa' poste in liquidazione. Acclarato, pertanto, che la tassa in questione rientra nel novero di quelle indirette vietate dall'articolo 10, lettera e) della DIRETTIVA 69/335 (in quanto differenziato in ragione della semplice veste giuridica utilizzata per svolgere un'impresa, almeno in questa fase transitoria estesa fino al 2005 - cfr. articolo 18, comma 4, Legge 580 del 1993 e articolo 44, comma 2, Legge 12 dicembre 2002, n. 273), occorre verificare se tale prestazione imposta possa rientrare nelle deroghe ammesse di cui al successivo articolo 12, lettera e) della medesima DIRETTIVA 69/335. Ancora una volta e' di ausilio la giurisprudenza della Corte di Giustizia che, nella sentenza del 21 giugno 2001 in causa c-206/99, si e' cosi' espressa: "... 32. Per quanto riguarda, poi, l'art. 12, n. 1, punto c), della direttiva 69/335, si deve rilevare che la distinzione tra i tributi vietati dall'art. 10 della stessa direttiva ed i diritti di carattere remunerativo la cui riscossione e' autorizzata implica che questi ultimi comprendano soltanto le remunerazioni la cui entita' sia calcolata in base al costo del servizio prestato. Una remunerazione la cui entita' sia priva di qualunque nesso con il costo del servizio concretamente prestato ovvero sia calcolata in funzione non del costo dell'operazione di cui costituisce il corrispettivo, bensi' dell'insieme dei costi di gestione e d'investimento dell'ufficio incaricato della detta operazione, dev'essere considerata come un tributo che puo' solo ricadere sotto il divieto di cui all'art. 10 della direttiva 69/335 (sentenza 20 aprile 1993, cause riunite C-71/91 e C-178/91, P.C. e C. Costruzioni, Racc. pag. 1-1915, punti 41 e 42)." Se si esamina la modalita' di determinazione del diritto annuale, cosi' come disciplinata dall'articolo 18, commi 3 e 4, della Legge 580/93, si nota che tale tributo non e' destinato a coprire i costi relativi alla singola operazione (nel caso di specie per la materiale iscrizione nel registro delle imprese), bensi' per finanziare una serie variegata di attivita' della medesima Camera di Commercio cosi' come individuate nel precedente articolo 2 della medesima Legge 580/93. Appare evidente, pertanto, che tale diritto annuale non puo' essere considerato un diritto a carattere remunerativo di cui all'articolo 12, lettera e), della DIRETTIVA 69/335 nel senso individuato univocamente dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, per cui ricade in pieno nel divieto di cui al precedente articolo 10, lettera c), della medesima DIRETTIVA. Per quanto precede questa Commissione ritiene che il tributo o diritto annuale di cui all'articolo 18 della Legge 580/93 sia in contrasto con gli articoli 10 e 12 della Direttiva 69/335 e, conseguentemente, la normativa italiana vada disapplicata. Ne consegue la condanna della Camera di Commercio di Foggia alla rimborso in favore delle societa' ricorrenti delle somme richieste oltre interessi. Sussistono giusti motivi per procedere alla compensazione delle spese tra le parti.
P. Q. M.
La Commissione accoglie i ricorsi riuniti e, per l'effetto, dichiara dovuto il richiesto rimborso oltre interesse come per legge a far tempo di modica dei ricorsi. Spese di giudizio compensate.

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