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giovedì 19 maggio 2011

La crisi della srl impedisce la restituzione dei finanziamenti ai soci

Diritto societario

La crisi della srl impedisce la restituzione dei finanziamenti ai soci

Finanziamenti inesigibili se «concessi» e «richiesti a rimborso» in presenza di rischio insolvenza

/ Lunedì 16 maggio 2011
La condizione di inesigibilità del credito del socio verso la società, ai sensi dell’art. 2467 c.c., può essere eccepita dagli amministratori della srl nei confronti del socio finanziatore solo quando il finanziamento sia stato disposto e il rimborso richiesto in presenza di una situazione di specifica crisi della società.
È questo l’interessante principio affermato dal Tribunale di Milano nella sentenza del 10 gennaio 2011, in relazione a una tra le più dibattute novità introdotte dalla riforma del diritto societario.
Il socio di una srl aveva concesso alla società un “finanziamento infruttifero immediatamente esigibile” del quale chiedeva la restituzione; otteneva dal Tribunale, quindi, un decreto ingiuntivo. La società si opponeva ritenendo non esigibile il credito in base a quanto sancito dall’art. 2467 c.c. Ai sensi di tale disposizione, infatti, il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito. Ai fini di cui sopra s’intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. Il socio chiedeva il rigetto dell’opposizione dal momento che la norma in questione avrebbe potuto trovare applicazione soltanto in ipotesi di liquidazione volontaria o concorsuale (inesistenti nel caso di specie) e non anche per tutta la durata dalla vita della società.
Il Tribunale di Milano osserva come la scarsa giurisprudenza intervenuta fino ad oggi in materia opti per l’applicazione della postergazione di cui all’art. 2467 c.c. solo nella fase di liquidazione volontaria e/o concorsuale (cfr. Trib. Milano 29 settembre 2005 e Trib. Milano 24 aprile 2007), senza, peraltro, fornire una specifica ricostruzione interpretativa. La dottrina è, invece, divisa. Secondo taluni, in presenza dei presupposti di cui all’art. 2467 comma 2 c.c., sia al momento del finanziamento che al momento della richiesta di rimborso, l’applicazione della postergazione anche durante societate si fonderebbe sul tenore letterale della disposizione, che non pone alcuna limitazione, e sulla ratio della stessa, volta a sanzionare i soci che hanno eluso il rischio del conferimento a capitale quando il loro soddisfacimento altera gli interessi degli altri creditori. Secondo altri, invece, la nozione stessa di postergazione, destinata ad operare in riferimento a un concorso tra creditori, e la previsione dell’obbligo di restituzione in capo al socio finanziatore solo se il rimborso sia avvenuto “nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento”, sarebbero chiari indici della necessità di un’applicazione della norma limitata all’ambito delle procedure esecutive individuali o concorsuali.
Il Tribunale di Milano ritiene necessario superare questa contrapposizione attraverso la formulazione di una nozione unitaria dei presupposti di cui all’art. 2467 comma 2 c.c.; nozione definibile come rischio di insolvenza che dà luogo a una sorta di concorso potenziale tra tutti i creditori della società. Cosicché, in sostanza, la condizione di inesigibilità del credito può essere eccepita dagli amministratori della srl nei confronti del socio finanziatore solo quando il finanziamento sia stato disposto e il rimborso richiesto in presenza di una situazione di specifica crisi della società. Questa soluzione interpretativa assicurerebbe oggettività sia al parametro dell’“eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”, di opinabile lettura anche alla luce delle scienze economiche, sia al parametro della “situazione finanziaria che avrebbe reso ragionevole un conferimento”, dal momento che, in una situazione di crisi, sarebbe condotta “ragionevole”, appunto, non tanto del socio quanto del terzo, quella di non finanziare la società.
Essa, inoltre, sarebbe conforme alle indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione nella sentenza 24 luglio 2007 n. 16393, che, in motivazione, con valore di mero obiter dictum (essendo la questione affrontata solo incidentalmente), ha stabilito che l’art. 2467 c.c. è destinato ad operare in “una fase in cui la società, in relazione all’attività in concreto esercitata, abbia la necessità delle risorse messe a disposizione dai soci (finanziatori) e non sia in grado di rimborsarli”, ovvero – sottolinea il Tribunale di Milano – in presenza di un concreto rischio di insolvenza. Tale conformità, tuttavia, sfuma ove si consideri un altro passaggio motivazionale della sentenza della Suprema Corte dove si afferma che l’art. 2467 c.c. è stato introdotto per le imprese che siano entrate “o stiano per entrare” in una situazione di crisi.

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