Diritto societario
Mero gradimento: recesso sospeso anche per il trasferimento di quote
La clausola di sospensione può essere introdotta in sede di modificazione dello statuto
In presenza di una clausola di mero gradimento o di intrasferibilità delle partecipazioni, lo statuto della srl può prevedere che il termine (massimo) di due anni di “sospensione” del diritto di recesso decorra anche dall’acquisto di una partecipazione già esistente. La clausola di sospensione del diritto di recesso, inoltre, può essere introdotta anche in sede di modificazione dell’atto costitutivo, stabilendo in tal caso che il termine (massimo) di due anni decorra dall’introduzione della clausola ovvero dalla sottoscrizione della partecipazione ovvero ancora dall’acquisto di una partecipazione già esistente. È quanto sancito dal Consiglio Notarile di Milano nella massima 5 aprile 2011 n. 119.
Ai sensi dell’art. 2469 comma 1 c.c., le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo. Il secondo comma della citata disposizione precisa che, qualora l’atto costitutivo preveda l’intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso. In tali casi l’atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può essere esercitato. In ordine a tale disciplina, la massima in esame del Consiglio Notarile di Milano intende chiarire quale possa essere considerato il “dies a quo” ovvero il momento a partire dal quale decorre il periodo (al massimo biennale) durante il quale il recesso non può essere esercitato.
In primo luogo, quindi, si ritiene che possa costituire data di decorrenza del periodo di sospensione del recesso anche la data di acquisto o, più correttamente, di efficacia dell’acquisto nei confronti della società di una partecipazione già esistente. Depongono in tal senso: le osservazioni di una parte della dottrina secondo cui l’intento del Legislatore, nel formulare l’art. 2469 comma 2 c.c., sarebbe stato quello di impedire che il divieto dell’exit ecceda il termine di due anni dall’acquisizione della partecipazione, a nulla rilevando che tale acquisizione derivi da sottoscrizione di una nuova partecipazione ovvero dall’acquisto di una partecipazione già esistente; il fatto che l’omessa esplicita previsione dell’acquisto derivativo sia ragionevolmente motivabile nella possibile preesistenza, nello statuto della società, di una clausola di intrasferibilità; la configurabilità di esigenze di stabilità finanziaria della società (alla cui salvaguardia questa sospensione è normalmente intesa) anche a decorrere dall’acquisto a titolo derivativo, non apparendo convincenti le tesi secondo cui queste finalità sarebbero meritevoli di tutela solo se correlate a un’operazione di capitalizzazione con sottoscrizione di nuove quote; il testo della Relazione illustrativa del DLgs. 6/2003, dove si fa riferimento al momento dell’adesione del socio alla società (terminologia che appare suscettibile di ricomprendere sia il caso della sottoscrizione della partecipazione, sia quello del suo successivo acquisto).
Come evidenziato, inoltre, la clausola di sospensione del diritto di recesso è ritenuta suscettibile di inserimento anche in sede di modificazione dell’atto costitutivo, contestualmente con l’inserimento della clausola di non trasferibilità o di mero gradimento ovvero in relazione a una clausola di non trasferibilità o mero gradimento già esistente (stabilendo che il termine massimo di due anni decorra dall’introduzione della clausola ovvero dalla sottoscrizione della partecipazione ovvero ancora dall’acquisto di una partecipazione già esistente). A sostegno di tale conclusione sono addotte le seguenti argomentazioni: la dovuta considerazione dell’altra data di decorrenza prevista dal Legislatore, coincidente con la sottoscrizione di una nuova quota (il che può ben avvenire, appunto, in relazione a un aumento di capitale eseguito nel corso della vita dell’ente); il raffronto con la disciplina vigente in tema di spa, che – all’art. 2355-bis c.c. – equipara alla data di costituzione della società, ai fini del computo e del decorso del termine massimo di indisponibilità delle partecipazioni da quella norma consentito, la (successiva) data in cui il vincolo di indisponibilità viene introdotto mediante modificazione statutaria; la possibilità, sostenuta da una parte della dottrina, di interpretare la locuzione “costituzione della società”, utilizzata in questa norma, come riferita anche alle vicende modificative di tale costituzione.
Ai sensi dell’art. 2469 comma 1 c.c., le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo. Il secondo comma della citata disposizione precisa che, qualora l’atto costitutivo preveda l’intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso. In tali casi l’atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può essere esercitato. In ordine a tale disciplina, la massima in esame del Consiglio Notarile di Milano intende chiarire quale possa essere considerato il “dies a quo” ovvero il momento a partire dal quale decorre il periodo (al massimo biennale) durante il quale il recesso non può essere esercitato.
In primo luogo, quindi, si ritiene che possa costituire data di decorrenza del periodo di sospensione del recesso anche la data di acquisto o, più correttamente, di efficacia dell’acquisto nei confronti della società di una partecipazione già esistente. Depongono in tal senso: le osservazioni di una parte della dottrina secondo cui l’intento del Legislatore, nel formulare l’art. 2469 comma 2 c.c., sarebbe stato quello di impedire che il divieto dell’exit ecceda il termine di due anni dall’acquisizione della partecipazione, a nulla rilevando che tale acquisizione derivi da sottoscrizione di una nuova partecipazione ovvero dall’acquisto di una partecipazione già esistente; il fatto che l’omessa esplicita previsione dell’acquisto derivativo sia ragionevolmente motivabile nella possibile preesistenza, nello statuto della società, di una clausola di intrasferibilità; la configurabilità di esigenze di stabilità finanziaria della società (alla cui salvaguardia questa sospensione è normalmente intesa) anche a decorrere dall’acquisto a titolo derivativo, non apparendo convincenti le tesi secondo cui queste finalità sarebbero meritevoli di tutela solo se correlate a un’operazione di capitalizzazione con sottoscrizione di nuove quote; il testo della Relazione illustrativa del DLgs. 6/2003, dove si fa riferimento al momento dell’adesione del socio alla società (terminologia che appare suscettibile di ricomprendere sia il caso della sottoscrizione della partecipazione, sia quello del suo successivo acquisto).
Come evidenziato, inoltre, la clausola di sospensione del diritto di recesso è ritenuta suscettibile di inserimento anche in sede di modificazione dell’atto costitutivo, contestualmente con l’inserimento della clausola di non trasferibilità o di mero gradimento ovvero in relazione a una clausola di non trasferibilità o mero gradimento già esistente (stabilendo che il termine massimo di due anni decorra dall’introduzione della clausola ovvero dalla sottoscrizione della partecipazione ovvero ancora dall’acquisto di una partecipazione già esistente). A sostegno di tale conclusione sono addotte le seguenti argomentazioni: la dovuta considerazione dell’altra data di decorrenza prevista dal Legislatore, coincidente con la sottoscrizione di una nuova quota (il che può ben avvenire, appunto, in relazione a un aumento di capitale eseguito nel corso della vita dell’ente); il raffronto con la disciplina vigente in tema di spa, che – all’art. 2355-bis c.c. – equipara alla data di costituzione della società, ai fini del computo e del decorso del termine massimo di indisponibilità delle partecipazioni da quella norma consentito, la (successiva) data in cui il vincolo di indisponibilità viene introdotto mediante modificazione statutaria; la possibilità, sostenuta da una parte della dottrina, di interpretare la locuzione “costituzione della società”, utilizzata in questa norma, come riferita anche alle vicende modificative di tale costituzione.
L’inserimento della sospensione non è causa di recesso
Si osserva, infine, che l’inserimento del periodo di sospensione del recesso nel corso della vita della società non integra, in favore dei soci che non abbiano consentito alla relativa delibera, una causa di recesso ai sensi dell’art. 2473 comma 1 c.c. Tale norma, infatti, annovera tra le cause legittimanti l’esercizio del diritto in questione l’eliminazione di una causa di recesso prevista dall’atto costitutivo; nel caso in esame, invece, si è in presenza di una mera sospensione temporanea di una causa di recesso prevista dalla legge.
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