Prima casa
Prima casa: se l’immobile è di lusso, il Fisco recupera l’IVA dall’acquirente
La Corte di Cassazione chiarisce che la
norma speciale prevista per la decadenza dall’agevolazione prima casa
deroga alla disciplina ordinaria
Se l’immobile acquistato con
l’agevolazione “prima casa” ha, in realtà, le caratteristiche “di lusso”
che impediscono l’accesso al regime agevolato, l’Ufficio dell’Agenzia
delle Entrate recupera direttamente in capo all’acquirente la maggiore IVA dovuta e la sanzione del 30%.
Questo è uno dei chiarimenti forniti dalla Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 18378, depositata ieri.
Questi i fatti che hanno dato luogo al contenzioso: all’atto di vendita di un’abitazione veniva applicata l’IVA al 4%, richiedendo l’agevolazione “prima casa”. Tuttavia, avendo accertato che l’immobile ceduto aveva, in realtà, le caratteristiche che consentono di qualificarlo “di lusso” (cfr. il DM 2 agosto 1969), l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate emetteva avviso di liquidazione nei confronti degli acquirenti, revocando l’agevolazione. Gli acquirenti, tuttavia, impugnavano l’avviso ritenendo che il recupero dell’IVA con l’aliquota ordinaria (anziché quella agevolata del 4%) dovesse avvenire in capo al venditore e non in capo a loro acquirenti.
La Corte di Cassazione non condivide le loro doglianze e, con l’ordinanza in commento, rigetta il ricorso condannando i ricorrenti alle spese.
In particolare, la Corte di Cassazione ritiene che il comma 4 della Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86, preveda una speciale disciplina per il caso di decadenza dall’agevolazione prima casa, che fa eccezione alla regola generale secondo cui l’unico soggetto passivo IVA è il cedente-prestatore. Tale norma, infatti, dispone che, in caso di false dichiarazioni rese in atto (dall’acquirente) in relazione alla sussistenza delle condizioni per l’applicazione dell’agevolazione prima casa (nonché in caso di decadenza dal beneficio per trasferimento dell’immobile agevolato nel quinquennio dall’acquisto), l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate recupera “nei confronti degli acquirenti” (e non dei venditori) la maggiore IVA e la sanzione amministrativa del 30%. Tale norma, pertanto, vuole escludere di attribuire al venditore la responsabilità per la corretta applicazione dell’IVA, ove la determinazione dell’aliquota agevolata dipenda esclusivamente dalle dichiarazioni rese dall’acquirente e il venditore non abbia alcun potere di contrastare la volontà dell’acquirente, né di verificare la sussistenza delle condizioni.
D’altro canto, aggiunge la Corte, la giurisprudenza sembra orientata a riconoscere natura sanzionatoria all’ammontare totale della somma dovuta a norma del comma 4 della Nota II-bis, in caso di decadenza dall’agevolazione prima casa per gli atti soggetti ad IVA.
Infine, la Corte non condivide neppure l’ulteriore censura dei ricorrenti, secondo i quali la norma dettata dal citato comma 4 possa venire in gioco solo nel caso in cui l’acquirente renda in atto dichiarazioni mendaci relativamente a condizioni soggettive (come, ad esempio, quella relativa alla mancata titolarità di altre abitazioni acquistate con l’agevolazione “prima casa”), ma non possa trovare applicazione nel caso in cui l’acquirente abbia reso dichiarazioni false su condizioni oggettive (come la classificazione catastale dell’immobile). Infatti, secondo la Corte, il riferimento normativo alle “dichiarazioni mendaci” concerne qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio in difetto delle condizioni richieste dalla legge, soggettive o oggettive che siano.
/ Anita MAURO
Questo è uno dei chiarimenti forniti dalla Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 18378, depositata ieri.
Questi i fatti che hanno dato luogo al contenzioso: all’atto di vendita di un’abitazione veniva applicata l’IVA al 4%, richiedendo l’agevolazione “prima casa”. Tuttavia, avendo accertato che l’immobile ceduto aveva, in realtà, le caratteristiche che consentono di qualificarlo “di lusso” (cfr. il DM 2 agosto 1969), l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate emetteva avviso di liquidazione nei confronti degli acquirenti, revocando l’agevolazione. Gli acquirenti, tuttavia, impugnavano l’avviso ritenendo che il recupero dell’IVA con l’aliquota ordinaria (anziché quella agevolata del 4%) dovesse avvenire in capo al venditore e non in capo a loro acquirenti.
La Corte di Cassazione non condivide le loro doglianze e, con l’ordinanza in commento, rigetta il ricorso condannando i ricorrenti alle spese.
In particolare, la Corte di Cassazione ritiene che il comma 4 della Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86, preveda una speciale disciplina per il caso di decadenza dall’agevolazione prima casa, che fa eccezione alla regola generale secondo cui l’unico soggetto passivo IVA è il cedente-prestatore. Tale norma, infatti, dispone che, in caso di false dichiarazioni rese in atto (dall’acquirente) in relazione alla sussistenza delle condizioni per l’applicazione dell’agevolazione prima casa (nonché in caso di decadenza dal beneficio per trasferimento dell’immobile agevolato nel quinquennio dall’acquisto), l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate recupera “nei confronti degli acquirenti” (e non dei venditori) la maggiore IVA e la sanzione amministrativa del 30%. Tale norma, pertanto, vuole escludere di attribuire al venditore la responsabilità per la corretta applicazione dell’IVA, ove la determinazione dell’aliquota agevolata dipenda esclusivamente dalle dichiarazioni rese dall’acquirente e il venditore non abbia alcun potere di contrastare la volontà dell’acquirente, né di verificare la sussistenza delle condizioni.
L’acquirente dichiara la presenza delle condizioni
Pertanto, continua la Corte, non sussiste alcun contrasto giurisprudenziale (come, invece, sostenuto dai ricorrenti, che chiedevano altresì la rimessione alle Sezioni Unite) tra le sentenze (cfr.
Cass. 2 marzo 2012 n. 3291) che – peraltro in tutt’altra materia
(appalto) – affermano la responsabilità esclusiva in capo al prestatore
per l’erronea applicazione dell’aliquota IVA ridotta e quelle (cfr.
Cass. 28 giugno 2012 n. 10807) che, invece, affermano, in relazione
specificamente alla mancata sussistenza delle condizioni per
l’applicazione dell’agevolazione prima casa al trasferimento
immobiliare, l’esclusiva responsabilità dell’acquirente per il pagamento
della maggiore IVA e delle sanzioni. Infatti, queste sentenze fanno
riferimento a discipline diverse, tra loro compatibili:
la disciplina dell’agevolazione prima casa configura una disciplina
speciale, improntata ad evitare il proliferare, in sede di stipula degli
atti immobiliari, di dichiarazioni mendaci
(che deriverebbe dalla “dissociazione” tra il soggetto che dichiara il
falso e il soggetto che subisce le conseguenze della decadenza
dall’agevolazione).D’altro canto, aggiunge la Corte, la giurisprudenza sembra orientata a riconoscere natura sanzionatoria all’ammontare totale della somma dovuta a norma del comma 4 della Nota II-bis, in caso di decadenza dall’agevolazione prima casa per gli atti soggetti ad IVA.
Infine, la Corte non condivide neppure l’ulteriore censura dei ricorrenti, secondo i quali la norma dettata dal citato comma 4 possa venire in gioco solo nel caso in cui l’acquirente renda in atto dichiarazioni mendaci relativamente a condizioni soggettive (come, ad esempio, quella relativa alla mancata titolarità di altre abitazioni acquistate con l’agevolazione “prima casa”), ma non possa trovare applicazione nel caso in cui l’acquirente abbia reso dichiarazioni false su condizioni oggettive (come la classificazione catastale dell’immobile). Infatti, secondo la Corte, il riferimento normativo alle “dichiarazioni mendaci” concerne qualsiasi richiesta di fruizione del beneficio in difetto delle condizioni richieste dalla legge, soggettive o oggettive che siano.
/ Anita MAURO
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