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sabato 27 ottobre 2012

Contenzioso Alla Consulta il giudizio di rinvio «tributario»


Contenzioso

Alla Consulta il giudizio di rinvio «tributario»

La Regionale di Ancona non condivide la tesi della Cassazione sulla presunzione degli utili extracontabili nelle società di capitali «ristrette»

/ Venerdì 26 ottobre 2012
Nella Gazzetta ufficiale del 24 ottobre 2012 è stata pubblicata l’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale della Commissione tributaria regionale di Ancona, del 9 luglio 2010 n. 228, ove i giudici contestano la legittimità dell’art. 384 del codice di procedura civile, applicabile anche nel contenzioso tributario.
Tale norma impone al giudice del rinvio di decidere in maniera conforme al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, anche se errato o palesemente contrario alla Costituzione.
In realtà, la questione non è nuova, in quanto la sentenza di cassazione con rinvio copre “il dedotto e il deducibile”, e non consente al giudice del merito, detto, appunto, “giudice del rinvio”, di discostarsi da quanto detto dalla Suprema Corte.
L’art. 63 del DLgs. 546/1992, che disciplina il giudizio di rinvio nel contenzioso tributario, non contiene alcuna deroga a ciò, quindi la Commissione tributaria regionale, allo stato attuale, deve conformarsi al dictum della Cassazione, e poco importa che questo sia errato o meno.
Premesso ciò, nel “nostro processo” entra però in gioco la capacità contributiva, ragion per cui, come si legge nell’ordinanza di rimessione, applicando l’art. 384 c.p.c., “il contribuente andrà irrimediabilmente incontro ad un prelievo costituzionalmente non dovuto e ciò sarebbe ancora più grave ove l’eventuale errore sia stato rilevato prima della definitività del giudizio”.
Sotto questo punto di vista, non resta quindi che attendere la decisione della Consulta.
Molto interessante è il motivo concreto per cui il giudice di secondo grado ha deciso di coinvolgere il Giudice delle Leggi.
La fattispecie oggetto della controversia attiene a uno degli aspetti che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, risulta essere oggetto di aspre critiche da decenni: l’asserita possibilità di accertare i soci di società di capitali “ristrette” sulla sola base dei maggiori utili extracontabili accertati in capo alla società.
Lampante doppia imposizione
È ormai consolidato che, se l’Ufficio dimostra la ristrettezza della base sociale, di fatto automaticamente gli utili vengono prima tassati in capo alla società e poi ribaltati in capo ai soci, vista la complicità che avvince un gruppo in tal modo composto. Vero è che la giurisprudenza, a differenza di ciò che avviene nelle società di persone, ammette la prova contraria, ma non può essere revocato in dubbio che detta prova spesso è praticamente impossibile da fornire.
Richiamando le convincenti parole dei giudici remittenti, “per la Cassazione la preconcetta valutazione di complicità, categoria che, senza ombra di dubbio, evoca azioni negative, assurge a prova del comportamento illecito di tutte le società con ristretta base azionaria, costituendo una sorta di metodo lombrosiano di giudizio riservato solo alle società con ristretta base azionaria”.
Oltre a ciò, si realizza un’evidente duplicazione d’imposta, in quanto i soci potevano, nel contesto normativo vigente, beneficiare del credito d’imposta sui dividendi e, oggi, fruire della diversa tassazione dei dividendi, che comporta una solo parziale doppia imposizione.
Infine, tale ragionamento snatura lo schema giuridico delle società di capitali, ove, salvo le opzioni previste in via espressa dalla Legge, non opera mai la trasparenza fiscale.
 / Alfio CISSELLO

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