Accertamenti tributari ed atti della riscossione: reclamo o ricorso?
12 giugno 2012
Il decreto-legge n. 98/2011 ha innovato la disciplina del contenzioso tributario inserendo il nuovo art. 17-bis rubricato “Il reclamo e la mediazione” all’interno del D.Lgs. 546/1992.
Tale disposizione prevede che per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti dell’Agenzia delle entrate, notificati a partire dal 1° aprile 2012, coloro che siano intenzionati a proporre il ricorso dovranno in via preliminare ed obbligatoria presentare un’istanza di reclamo che anticipi il contenuto dello stesso: il contribuente dovrà infatti chiedere l’annullamento totale o parziale dell’atto sulla scorta degli stessi motivi di fatto e di diritto che intenderebbe portare all’attenzione della Commissione tributaria provinciale nella eventuale fase giurisdizionale.
Il reclamo potrà inoltre contenere una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell'ammontare della pretesa.
Lo strumento deflativo proposto, prevedendo un’obbligatoria fase amministrativa di natura prodromica al ricorso, punta a razionalizzare ed a snellire i procedimenti di minor valore innanzi agli organi giurisdizionali.
Ma quali sono gli atti impugnabili ai quali si applica il nuovo istituto?
Secondo la lettera del legislatore, il contribuente deve esperire la fase amministrativa ogni qual volta intenda impugnare uno degli atti individuati dall’articolo 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, emesso dall’Agenzia delle Entrate, ed il valore della controversia non sia superiore a ventimila euro.
Saranno quindi oggetto di mediazione le controversie relative a:
- avvisi di accertamento e di liquidazione;
- i provvedimenti che irrogano le sanzioni;
- il ruolo;
- il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti;
- il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari;
- ogni altro atto emanato dall’Agenzia delle Entrate, per il quale la legge preveda l’autonoma impugnabilità innanzi alle Commissioni tributarie.
Restano escluse dalla mediazione le controversie concernenti gli altri atti elencati dall’art. 19 del D.lgs. n.546 del 1992, i quali, pur essendo impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie, non sono emessi dall’Agenzia delle entrate e, di norma, non sono riconducibili all’attività della stessa.
Si tratta, in particolare, dei seguenti atti:
- la cartella di pagamento;
- l’avviso di mora;
- l’iscrizione di ipoteca sugli immobili;
- il fermo dei beni mobili registrati;
- gli atti operativi alle operazioni catastali.
A tal riguardo appare fondamentale analizzare le previsioni della nuova disciplina in riferimento agli atti emessi dall’Agente della riscossione.
Per tali atti, infatti, non valendo le nuove disposizioni previste per gli atti emessi dall’Agenzia delle Entrate, nulla cambia rispetto a quanto era precedentemente previsto: qualora il contribuente decidesse di contestarli, quindi, non avrà l’obbligo di presentare dapprima un’istanza di reclamo bensì dovrà presentare direttamente ricorso.
Alla luce di queste novità, sarà fondamentale per il contribuente che intende contestare un atto dell’Agente della riscossione definire inizialmente il “cosa” intende contestare al fine di determinare con esattezza contro “chi” intende ricorrere.
In merito la recente Circolare n. 12/E dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il debitore che intenda impugnare dinanzi al giudice tributario un atto della riscossione:
- deve ricorrere contro l’Agenzia delle Entrate (e quindi presentare inizialmente istanza di reclamo) se contesta vizi dell’attività della stessa e quindi i motivi di ricorso che riguardano la legittimità della pretesa;
- dovrà invece ricorrere contro l’Agente della riscossione (e quindi fare direttamente ricorso) nel caso in cui siano contestati i vizi dell’attività dello stesso, ovvero i motivi di ricorso che riguardano l’attività svolta successivamente alla notifica del ruolo.
L’Agente della riscossione, pertanto, diviene legittimato passivo nei giudizi in cui si dibatte in merito ai vizi relativi alla formazione della cartella, come ad esempio:
- errori di individuazione del contribuente;
- vizi della notifica;
- mancanza della sottoscrizione o del responsabile del procedimento di emissione o di notificazione della cartella di pagamento.
Nel caso inoltre in cui l’oggetto dell’impugnazione siano atti dell’Agente della riscossione diversi dalla cartella di pagamento, quali ad esempio l’iscrizione di ipoteca o il fermo di beni mobili registrati, legittimato passivo è sempre l’Agente della riscossione, tranne i casi in cui nei motivi di ricorso venga contestata la mancata notifica degli atti “presupposti” o la legittimità della pretesa tributaria.
In quest’ultima ipotesi, ove col ricorso venga ad esempio impugnato anche l’atto presupposto adottato dall’Agenzia delle Entrate, il contribuente sarà tenuto ad osservare preliminarmente la disciplina introdotta dall’art. 17- bis del D. Lgs. n. 546 del 1992 e, quindi, a presentare istanza di reclamo.
- Documenti e Approfondimenti
- Agenzia delle Entrate, Circolare del 12-04-2012, n. 12
http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/042752804adc25b494f09435dd2e80f8/Cir12e+del+12+04+12.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=042752804adc25b494f09435dd2e80f8
- Agenzia delle Entrate, Circolare del 12-04-2012, n. 12
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