Riscossione
Cartelle di pagamento «errate» annullate con silenzio-assenso
Il disegno di legge all’esame del Senato sembra creare più problemi di quelli che intende risolvere
Presso la Commissione Finanze del Senato è in corso l’iter di approvazione del disegno di legge “AS 1551”, relativo all’annullamento automatico delle “cartelle pazze”, per utilizzare un termine già apparso in vari commenti della stampa specializzata.
Diverse sono le perplessità di ordine squisitamente tecnico che tale disegno di legge comporta e, per le ragioni che seguono, si ritiene che esso, potenzialmente, possa introdurre più problemi di quelli che intende risolvere.
In primo luogo, balza all’attenzione lo scarso utilizzo della legistica, ovvero della scienza che si occupa di come deve essere confezionato un testo legislativo: viene introdotto in un sistema intasato da “costellazioni” di norme un articolo ad hoc, quando sarebbe senz’altro necessario inserirlo nel suo “posto” naturale, ovvero nel DPR 602/73, o nella L. 212/2000.
Ma a parte questo aspetto, di secondaria importanza, viene previsto che entro novanta giorni dalla notifica, ad opera dell’agente della riscossione, del primo atto di riscossione o cautelare utile, il contribuente possa presentare un’autodichiarazione con la quale si documenta che gli atti “emessi dall’ente creditore prima della formazione del ruolo” o la cartella di pagamento o l’avviso per cui si procede sono stati interessati da un provvedimento di sospensione amministrativa/giudiziale, da sgravi e/o pagamenti o ancora da sentenze rese in processi ai quali l’agente della riscossione non ha preso parte.
La novità consiste nel fatto che se l’ente creditore, entro 220 giorni dal momento di presentazione dell’autodichiarazione, non ha ancora risposto confermando la correttezza della documentazione del contribuente, si forma il silenzio-assenso e la cartella di pagamento è annullata di diritto.
Invero, tale meccanismo “riecheggia” procedure e/o disposizioni normative già in vigore, in quanto la richiesta di sospensione è prevista sia presentando ad Equitalia il modello di autodichiarazione approvato con la direttiva 10 del 2010, sia dal “nuovo” art. 49 del DPR 602/73 (che riguarda però i soli pagamenti e/o sgravi disposti dopo il ruolo), introdotto dal DL 40/2010 subordinato all’approvazione di un decreto che, ad oggi, non ha ancora visto la luce.
Sarebbe quindi bastato modificare leggermente le norme già in vigore, introducendo il meccanismo del silenzio-assenso e la sanzione dal 100% al 200% delle somme se il contribuente presenti documentazione falsa.
Le perplessità maggiori concernono però il fatto che la procedura non è circoscritta ai casi in cui oggi si può presentare l’autodichiarazione (pagamenti, sospensioni), ma alle ipotesi in cui “gli atti emessi dall’ente creditore prima della formazione del ruolo, ovvero la successiva cartella di pagamento o l’avviso per i quali si procede, sono stati interessati da prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data antecedente alla consegna del ruolo”.
Quindi, se l’avviso di accertamento fosse stato notificato oltre il termine di decadenza, il contribuente può bloccare l’esecuzione? Allora come si pone tale affermazione con il precedente obbligo di ricorrere contro l’atto per far valere tale vizio?
È poi pleonastico che l’accertamento sul mancato rispetto dei termini non può essere visto alla stregua dell’intervenuto pagamento: in altre parole, dal momento che il contribuente documenta il pagamento e/o lo sgravio, non c’è nulla da accertare, allora la procedura descritta trova giustificazione. Ma nel caso dei termini vi possono essere innumerevoli questioni da accertare giudizialmente, relative al perfezionamento della notifica, ai vari raddoppi introdotti dal Legislatore e così via.
Oltre a ciò, nel caso della decadenza è palese che l’ente creditore ben potrà opporre il “diniego”, allora questo atto sarebbe impugnabile, e il contribuente potrebbe sindacare in detta sede ciò che sino ad oggi si deve sindacare nel ricorso contro l’atto affetto dal vizio sul mancato rispetto dei termini?
Se così fosse, sarebbe scardinato il sistema, basato sull’autonomia degli atti impugnabili.
Maggiori perplessità desta la locuzione “da qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso”, posto che non è affatto chiaro quando il credito non è esigibile.
Si potrebbe pensare a casi del tutto peculiari, quali il mancato rispetto della riscossione frazionata o la violazione del principio di specialità, ma in queste ipotesi il credito non può venire meno, in quanto la cartella sarà annullata di diritto ma poi potrà essere riemessa a seguito di sentenza della C.T. Prov.
Certo, l’annullamento d’ufficio entro i 220 giorni può essere sorretto da lodevoli intenzioni, ma, nella maniera in cui è scritta la norma, vi sono troppi dubbi interpretativi, facilmente colmabili cancellando dal dato positivo il riferimento alla decadenza e specificando quando il credito non è esigibile e quali sono i nessi con l’ordinario ricorso.
/ Alfio CISSELLO
Diverse sono le perplessità di ordine squisitamente tecnico che tale disegno di legge comporta e, per le ragioni che seguono, si ritiene che esso, potenzialmente, possa introdurre più problemi di quelli che intende risolvere.
In primo luogo, balza all’attenzione lo scarso utilizzo della legistica, ovvero della scienza che si occupa di come deve essere confezionato un testo legislativo: viene introdotto in un sistema intasato da “costellazioni” di norme un articolo ad hoc, quando sarebbe senz’altro necessario inserirlo nel suo “posto” naturale, ovvero nel DPR 602/73, o nella L. 212/2000.
Ma a parte questo aspetto, di secondaria importanza, viene previsto che entro novanta giorni dalla notifica, ad opera dell’agente della riscossione, del primo atto di riscossione o cautelare utile, il contribuente possa presentare un’autodichiarazione con la quale si documenta che gli atti “emessi dall’ente creditore prima della formazione del ruolo” o la cartella di pagamento o l’avviso per cui si procede sono stati interessati da un provvedimento di sospensione amministrativa/giudiziale, da sgravi e/o pagamenti o ancora da sentenze rese in processi ai quali l’agente della riscossione non ha preso parte.
La novità consiste nel fatto che se l’ente creditore, entro 220 giorni dal momento di presentazione dell’autodichiarazione, non ha ancora risposto confermando la correttezza della documentazione del contribuente, si forma il silenzio-assenso e la cartella di pagamento è annullata di diritto.
Invero, tale meccanismo “riecheggia” procedure e/o disposizioni normative già in vigore, in quanto la richiesta di sospensione è prevista sia presentando ad Equitalia il modello di autodichiarazione approvato con la direttiva 10 del 2010, sia dal “nuovo” art. 49 del DPR 602/73 (che riguarda però i soli pagamenti e/o sgravi disposti dopo il ruolo), introdotto dal DL 40/2010 subordinato all’approvazione di un decreto che, ad oggi, non ha ancora visto la luce.
Sarebbe quindi bastato modificare leggermente le norme già in vigore, introducendo il meccanismo del silenzio-assenso e la sanzione dal 100% al 200% delle somme se il contribuente presenti documentazione falsa.
Le perplessità maggiori concernono però il fatto che la procedura non è circoscritta ai casi in cui oggi si può presentare l’autodichiarazione (pagamenti, sospensioni), ma alle ipotesi in cui “gli atti emessi dall’ente creditore prima della formazione del ruolo, ovvero la successiva cartella di pagamento o l’avviso per i quali si procede, sono stati interessati da prescrizione o decadenza del diritto di credito sotteso, intervenuta in data antecedente alla consegna del ruolo”.
Quindi, se l’avviso di accertamento fosse stato notificato oltre il termine di decadenza, il contribuente può bloccare l’esecuzione? Allora come si pone tale affermazione con il precedente obbligo di ricorrere contro l’atto per far valere tale vizio?
È poi pleonastico che l’accertamento sul mancato rispetto dei termini non può essere visto alla stregua dell’intervenuto pagamento: in altre parole, dal momento che il contribuente documenta il pagamento e/o lo sgravio, non c’è nulla da accertare, allora la procedura descritta trova giustificazione. Ma nel caso dei termini vi possono essere innumerevoli questioni da accertare giudizialmente, relative al perfezionamento della notifica, ai vari raddoppi introdotti dal Legislatore e così via.
Oltre a ciò, nel caso della decadenza è palese che l’ente creditore ben potrà opporre il “diniego”, allora questo atto sarebbe impugnabile, e il contribuente potrebbe sindacare in detta sede ciò che sino ad oggi si deve sindacare nel ricorso contro l’atto affetto dal vizio sul mancato rispetto dei termini?
Se così fosse, sarebbe scardinato il sistema, basato sull’autonomia degli atti impugnabili.
Maggiori perplessità desta la locuzione “da qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso”, posto che non è affatto chiaro quando il credito non è esigibile.
Si potrebbe pensare a casi del tutto peculiari, quali il mancato rispetto della riscossione frazionata o la violazione del principio di specialità, ma in queste ipotesi il credito non può venire meno, in quanto la cartella sarà annullata di diritto ma poi potrà essere riemessa a seguito di sentenza della C.T. Prov.
Certo, l’annullamento d’ufficio entro i 220 giorni può essere sorretto da lodevoli intenzioni, ma, nella maniera in cui è scritta la norma, vi sono troppi dubbi interpretativi, facilmente colmabili cancellando dal dato positivo il riferimento alla decadenza e specificando quando il credito non è esigibile e quali sono i nessi con l’ordinario ricorso.
/ Alfio CISSELLO
Nessun commento:
Posta un commento